Città del Vaticano , 26 June, 2015 / 1:30 AM
Era stato annunciato il 13 maggio, ed è stato ufficialmente firmato il 26 maggio nel Palazzo Apostolico vaticano, l’accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina. Un accordo che riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nello Stato di Palestina. E il cui obiettivo, almeno a sentire i firmatari, è quello di promuovere la pace nella regione. Ma Israele, dal canto suo, rende nota la sua protesta sull'Accordo con un comunicato diramato dall'Ambasciata di Israele presso la Santa Sede e si riserva di studiarlo in dettaglio, minacciando implicazioni per la cooperazione tra Israele e Vaticano.
L'accordo ha molti punti favorevolmente accolti dagli osservatori vaticani. In primis, il riconoscimento giuridico della Chiesa, con il diritto all’obieizione di coscienza, mai stabilito in maniera così forte in un accordo tra la Santa Sede e una controparte, è un segnale importante in una regione (il Medio Oriente) in cui i cristiani soffrono una persecuzione costante. Non solo: l’accordo stabilisce la libertà della Chiesa non solo nei luoghi di culto ma anche nelle attività caritative e sociali, nell'insegnamento, nei mezzi di comunicazione, nella vita pubblica, ed è la prima volta che questo succede in uno Stato a maggioranza islamica. In più, l’accordo si propone come un ‘apripista’ per una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.
Un tema che sta a cuore a Papa Francesco, che per la pace in Medio Oriente convocò il 9 giugno 2014 una preghiera per la Pace nei giardini vaticani. L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri vaticano,” nel suo discorso ha così auspicato che “il presente accordo possa in qualche modo costituire uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israelo-palestinese, che continua a provocare sofferenze ad ambedue le parti.” E ha aggiunto: “Spero che la soluzione dei due Stati divenga realtà quanto prima. Il processo di pace può progredire solo tramite il negoziato diretto tra le parti e con il sostegno della comunità internazionale.”
Anche per i palestinesi la firma dell’accordo rappresenta una pietra miliare nel percorso di riconoscimento dello Stato. “Per la prima volta – sottolinea Riad al Maliki, ministro degli Affari Esteri palestinese - l’Accordo include un riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato da parte della Santa Sede, quale segno di riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e dignità in un proprio Stato indipendente e libero dalle catene dell’occupazione.”
C'è freddezza e protesta da parte di Israele, che esprime il suo disappunto per la decisione vaticana di riconoscere ufficialmente lo Stato di Israele, e sottolinea che questo "passo frettoloso" danneggia le "prospettive" di un accordo di pace e "mette a rischio gli sforzi internazionali di convincere" i palestinesi a "negoziati diretti con Israele."
In realtà,la Santa Sede ha cominciato a riferirsi allo stato di Palestina già a seguito della decisione dell’assemblea delle Nazioni Unite di inserire la Palestina tra gli Stati osservatori non membri del consesso ONU, il 30 novembre 2012, e nell'Annuario Pontificio 2015 ci riferisce a relazioni diplomatiche con la Palestina, e con l'Autorità Nazionale Palestinese, come in passato.
Quando la Palestina fu riconosciuta come Stato dall'ONU, la Santa Sede aveva rilasciato una dichiarazione pesata, non come arbitro, ma come Paese particolarmente interessato allo sviluppo degli eventi e desideroso di mantenere rapporti di vicinanza sia con gli israeliani che con i palestinesi. Con i primi, anche per concludere le trattative sull’applicazione dell’Accordo Fondamentale, che sembrano non finire mai. Con i secondi, perché i cristiani della regione sono soprattutto arabi palestinesi, una minoranza isolata che va protetta.
L'accordo globale con la Palestina rappresenta - nelle intenzioni della Santa Sede - proprio uno dei passi per proteggere i cristiani della Regione. L’Accordo è costituito da un Preambolo e da 32 articoli distribuiti in 8 capitoli. Secondo il professor Vincenzo Buonomo, consigliere dello Stato di Città del Vaticano, “l’accordo si presenta con un suo particolare carattere fatto di rinnovata continuità e di necessaria attualità”. E la novità è soprattutto la libertà “riconosciuta per la Chiesa cattolica, le persone giuridiche canoniche e ogni cattolico” (art. 2 par. 3)” Una libertà che riguarda anche ilriconoscimento di una “autentica obiezione di coscienza quale pratica coerente con il diritto di coscienza, credo e religione.” Mai c'era stato un riferimento così esplicito al tema in accordi analoghi.
Una esplorazione del testo dell’Accordo è fatta dallo stesso professor Buonomo sull’Osservatore Romano. Il preambolo considera l’autodeterminazione del popolo palestinese, l’obiettivo della two-state solution, il significato non solo simbolico di Gerusalemme, il suo carattere sacro per ebrei, cristiani e musulmani ed il suo universale valore religioso e culturale come tesoro dell’umanità, nonché gli interessi della Santa Sede in Terrasanta.
La Santa Sede è spettatore interessato delle vicende della Terrasanta, ma neutro. Per questo – sul modello del Trattato Lateranense – la Santa Sede mostra volontà di esercitare la sua “missione educativa, spirituale e morale,” ma resta “estranea alle competizioni temporali o politiche e a non reclamare una competenza sulle dispute territoriali tra le nazioni,” a meno che non venga espressamente chiesta una mediazione.
Importante il capitolo II, sulla Libertà Religiosa e di coscienza, che spazia dagli effetti civili del matrimonio al rispetto delle festività, dall’assistenza religiosa per le forze armate fino al diritto dei genitori di impartire ai figli una educazione religiosa e morale.
L’azione della Chiesa è riconosciuta a tutti i livelli. Il Capitolo III dell’accordo riconosce la personalità giuridica e il diritto di autorganizzazione della Chiesa. I tribunali ecclesiastici in Palestina possono esercitare giurisdizione civile, e questo viene confermato. Il capitolo IV riguarda soprattutto matrimonio, filiazione e adozione.
Il capitolo V definisce la tipologia e la natura dei Luoghi Santi. Un tema, questo, che è era anche al centro dell’Accordo Fondamentale firmato con lo Stato di Israele nel 1993, da cui è scaturita una commissione bilaterale Santa Sede – Israele che discute ancora la situazione delle proprietà.
Nell’accordo con lo Stato di Palestina, si parte dal regime dello Status Quo, e definisce – spiega Buonomo – “il concetto di santità, da cui deriva quello di diritti religiosi – come fonte di obbligazione per le autorità civili chiamate a rispettare su di essi in via esclusiva ‘autorità e giurisdizione canonica’ della Chiesa cattolica, salvo intereventi coordinati.”
Il diritto della Chiesa ad operare nel settore educativo, sociale e di assistenza e della comunicazione è stabilito dal Capitolo VI, nel quale si definisce anche la libertà per le istituzioni ecclesiastiche di ricevere fondi e la loro discrezionalità sulle scelte di funzionamento e personale. Il capitolo VII è dedicato al regime fiscale delle proprietà ecclesiastiche. Ci sono criteri funzionali di non imponibilità (non dovrebbero essere tassati i luoghi di culto), ma questo sarà oggetto di un accordo separato.
Un accordo accolto positivamente da entrambe le parti. L’arcivescovo Gallagher si dice “lieto per il riconoscimento giuridico che viene chiaramente stabilito e per le garanzie che si offrono all’attività della Chiesa cattolica e delle sue istituzioni,” e sottolinea che “i cattolici non vogliono nessun privilegio, se non continuare a collaborare con i loro concittadini per il bene della società”. E al Maliki sottolinea che l’Accordo “consolida e migliora le circostanze attuali, in cui la Chiesa cattolica gode di diritti, privilegi, immunità e libero accesso. Conferma la posizione della Cheisa quale importante sostenitrice della vita di molti palestinesi.”
La speranza per i palestinesi è che questo accordo porti a un riconoscimento dello Stato di Palestina, e che li ponga in una posizione più forte nel incontro/confronto con Israele. Per la Santa Sede è invece che proprio questo accordo possa dimostrare agli Stati della regione mediorientale che la Chiesa può avere un riconoscimento giuridico, senza per questo essere considerata una intrusa nella vita della nazione.
Al di là di tutto, ora il problema diplomatico si pone con Israele. Che accusa anche il testo di essere "ad una sola direzione," sottolinea che questo "ignora i diritti storici dei popoli ebrei sulla terra di Israele e sui Luoghi Santi degli Ebrei a Gerusalemme," e sottolinea che lo Stato di Israele " non può accettare le determinazioni unilaterali nell'accordo, che non prendono in considerazione gli interessi essenziali" di Israele.
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