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Papa Francesco: “La comunità ci guarisce”. Roma incontra il suo Vescovo

La diocesi di Roma incontra il suo Vescovo. Papa Francesco, giunto nella Basilica di San Giovanni in Laterano, conclude il cammino avviato dalle parrocchie e dalle prefetture della Capitale, nel tempo di Quaresima, sulle “malattie spirituali”. Quattro domande e risposte e un discorso ufficiale. 

“E’ la prima volta che sento l’esito di un prelievo di un lavoro diocesano! Il lavoro sulle malattie spirituali ha avuto due frutti – inizia così Francesco parlando al popolo di Roma - Primo, una crescita nella verità della nostra condizione di bisognosi, di infermi, emersa in tutte le parrocchie e le realtà che sono state chiamate a confrontarsi sulle malattie spirituali indicate da Monsignor De Donatis”. “Secondo – continua il Pontefice - l’esperienza che da questa adesione alla nostra verità non sono venuti solo scoraggiamento o frustrazione, ma soprattutto la consapevolezza che il Signore non ha smesso di usarci misericordia: in questo cammino Egli ci ha illuminati, ci ha sostenuti, ha avviato un percorso per certi versi inedito di comunione tra di noi, e tutto questo perché noi possiamo riprendere il nostro cammino dietro a Lui”.

L’incontro si apre con un momento di preghiera; poi una sintesi dei lavori pervenuti dalle parrocchie curata da una commissione diocesana, di cui è portavoce don Paolo Asolan, professore al Pontificio Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense. All’appuntamento partecipano l’arcivescovo vicario della diocesi di Roma Monsignor Angelo De Donatis, i vescovi ausiliari, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e centinaia di laici provenienti dalle parrocchie e dalle altre realtà ecclesiali della diocesi di Roma, nonché i rappresentanti delle aggregazioni ecclesiali, delle cappellanie e delle scuole cattoliche della città.

L’economia dell’esclusione, l’accidia egoista, l’individualismo comodo, la guerra tra noi, il pessimismo sterile, la mondanità spirituale: sono queste le “malattie spirituali” di cui Francesco parla anche oggi. Per Don Paolo Asolan, che riporta i dati dell’analisi della commissione, la malattia di cui soffre di più la Chiesa di Roma è il pessimismo sterile. L’insistere sulle difficoltà rende ciechi su quello che di buono c’è nella diocesi.

Francesco, prima di pronunciare il suo discorso ufficiale risponde a 4 domande. La prima chiede al Papa quale sia la cura, la terapia di base per le nostre malattie spirituali, la seconda come recuperare la comunione con la Diocesi in una realtà grande come Roma, la terza come recuperare la gioia nella novità delle opere e attività parrocchiali, la quarta ed ultima, riguarda i giovani, di cosa hanno veramente bisogno.

Rispondendo alla prima, il Papa commenta: “Ognuno deve trovare la strada. Bisogna avere qualcuno che ci aiuti per trovarla. Il primo è il Signore. Individuata la radice amara, dobbiamo parlare con il Signore. E poi cercare qualcuno che mi aiuti. Farsi aiutare da un altro. Questo è il primo passo. Due anni fa ho regalato ai cardinali un libro per riconoscere le malattie dell’anima e come guarirle. Ma l’unico che può guarire è il Signore”.

Sulla seconda e sul sentirsi comunità a dispetto dell’individualismo e la grandezza di Roma Francesco chiarisce: “Questo individualismo provoca frantumazione…le persone che guardano se stesse cercano il menu personale o hanno ansietà di novità. Fermati e vai all’essenziale. Cerca quello che può guarirti. Solo con un bel pugno di realismo si sciolgono le novità. Dobbiamo cercare quello che fa Chiesa. Come possiamo andare oltre le appartenenze esclusive? Chiedersi ma io vado con il popolo di Dio? Voglio un Gesù Cristo con Dio? La comunità ci guarisce”.

Infine sui giovani il Papa osserva: “Ho avuto una buona impressione sui giovani del Pre-Sinodo. Erano 315. Hanno lavorato sul serio, fino alle 4 di notte. I giovani volevano parlare sul serio. Il grido dei giovani è salvateci dalla droga, ma la droga dell’alienazione culturale. I giovani sono una presa facile dell’alienazione culturale. Sono stato alla fondazione Scholas lo scorso venerdì: pochi mi davano la mano , la maggioranza erano con il telefonino. Sono giovani virtualizzati. E questo sta diventando alienante. Dobbiamo far atterrare i giovani al mondo reale. Ai giovani serve realtà, concretezza. Aiutare gli altri li aiuta in un rapporto sociale. E poi recuperare il dialogo con i genitori, con gli anziani. Non giovani sradicati, loro devono ritrovare le radici”.

Francesco riprende poi il suo discorso ufficiale. “Siamo diventati più consapevoli di essere, per certi aspetti e per certe dinamiche emerse dalle nostre verifiche, un non-popolo chiamato a rifare ancora una volta alleanza con il Signore”, dice il Papa. “Chiavi di lettura come queste già ci riportano, anche solo intuitivamente, a quanto vissuto dal popolo dell’antica alleanza – osserva il Pontefice - che per primo si lasciò guidare da Dio a diventare il suo popolo. Anche noi possiamo nuovamente lasciarci illuminare dal paradigma dell’Esodo”.

Ma quali sono le schiavitù che hanno finito col renderci sterili? Si domanda Francesco. “Dovremmo forse individuare anche chi sia oggi il Faraone: questo potere che si pretende divino e assoluto, e che vuole impedire al popolo di adorare il Signore, di appartenergli, rendendolo invece schiavo di altri poteri e di altre preoccupazioni”, aggiunge il Papa.

“L’analisi delle malattie ha messo in evidenza una generale e sana stanchezza delle parrocchie sia di girare a vuoto sia di aver perso la strada da percorrere – sottolinea Papa Francesco alla diocesi di Roma - Forse ci siamo chiusi in noi stessi e nel nostro mondo parrocchiale perché abbiamo in realtà trascurato o non fatto seriamente i conti con la vita delle persone che ci erano state affidate (quelle del nostro territorio, dei nostri ambienti di vita quotidiana), mentre il Signore sempre si manifesta incarnandosi qui e ora, cioè anche e precisamente in questo tempo così difficile da interpretare, in questo contesto così complesso e apparentemente lontano da Lui. Non ha sbagliato mettendoci qui, in questo tempo, e con queste sfide davanti”.

“Ci siamo accontentati di quello che avevamo: noi stessi – commenta il Papa - Noi stessi: e qui c’è il grande tema dell’ ipertrofia dell’individuo”, così presente nelle verifiche: dell’io che non riesce a diventare persona, a vivere di relazioni, e che crede che il rapporto con gli altri non gli sia necessario. Ci siamo ripiegati su preoccupazioni di ordinaria amministrazione, di sopravvivenza”.

“Vi sto invitando a intraprendere un’altra tappa del cammino della Chiesa di Roma – chiarisce il Pontefice - in un certo senso un nuovo esodo, una nuova partenza, che rinnovi la nostra identità di popolo di Dio, senza rimpianti per ciò che dovremo lasciare. Occorrerà ascoltare il grido del popolo, come Mosè fu esortato a fare: sapendo così interpretare, alla luce della Parola di Dio, i fenomeni sociali e culturali nei quali siete immersi”.

Ma per ottenere tutto questo, “bisogna guardare a questo popolo e non a noi stessi, lasciarci interpellare e scomodare. Questo produrrà certamente qualcosa di nuovo, di inedito e di voluto dal Signore”, conclude Francesco.

 

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