Città del Vaticano , 11 October, 2017 / 2:00 PM
Un processo di riconciliazione, nato sotto l’alto patronato di San Giovanni Paolo II, che rappresenta anche una sfida per l’Europa: l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolico Ucraina Sviatoslav Shevchuk presenta così il Premio per la Riconciliazione Polacco Ucraina, segnando così un passo ulteriore in un cammino iniziato 30 anni fa. Un cammino che da oggi ha San Giovanni Paolo II come protettore.
Il premio che viene conferito quest’anno a Roma, perché fu a Roma, trenta anni fa, che per la prima volta, dal 7 al 17 ottobre 1987, si riunirono i rappresentanti dell’Episcopato polacco e del Sinodo della Chiesa greco cattolica.
Il movimento di riconciliazione fu stimolato da San Giovanni Paolo II, che ben conosceva le ferite della guerra e che sapeva dell’inimicizia che era rimasta tra i due popoli, nonostante il comune destino sotto il giogo sovietico. E non è un caso che fu proprio a Giovanni Paolo II che fu conferito il primo Premio di Riconciliazione, quando questo fu istituita nel 2001.
L’arcivescovo Shevchuk inserisce il tema della riconciliazione nel panorama storico che è seguito alla Seconda Guerra Mondiale: prima fu la riconciliazione tra francesi e tedeschi, poi quella tra tedeschi e polacchi promossa dalla straordinaria figura del Cardinale Kominek, e infine quella tra Chiesa greco-cattolica ucraina e Chiesa polacca.
Ma perché polacchi e ucraini si dovevano riconciliare? Due erano soprattutto le ferite da rimarginare dopo la guerra e tutto quello che vi era seguito.
Una era il massacro di Volyn, Nel 1943, la città fu teatro di una drammatica pulizia etnica contro i polacchi da parte dei nazionalisti ucraini, supportati attivamente dalla popolazione locale che odiava la minoranza. Le vittime del massacro non furono solo polacchi, ma anche russi, ebrei, armeni, cechi e numerose persone appartenenti a minoranze di altre nazionalità residenti nel paese.
Un’altra era la cosiddetta “Operazione Vistola”, nota anche come operazione Wisla, dal nome polacco del fiume. Avvenne nel 1947, e quest’anno ricorrono i 70 anni. Si trattava dalla deportazione della popolazione ucraina che risiedeva nei territori dei nuovi confini sud-orientali della Polonia. Fu attuata dal governo comunista polacco con l’aiuto di Unione Sovietica e Cecoslovacchia, e la motivazione ufficiale sapeva di rappresaglia, visto che l’obiettivo era la soppressione dell’UPA, l’esercito insurrezionale ucraino cui era attribuito il massacro dei civili polacchi nei territori sud-orientali a partire dal 1944. Furono circa 200 mila le persone forzate a stabilirsi nei nuovi territori occidentali e settentrionale che la Polonia aveva guadagnato dalla Germania. Si trattava, di fatto, di una pulizia etnica.
C’era tutto questo ancora fresco nella memoria, e una Unione Sovietica che cominciava a scricchiolare ma che pure continuava a tenere sotto scacco il mondo orientale, quando vescovi polacchi e ucraini si riunirono nel 1987.
Colpisce che per l’Ucraina ci fossero i greco-cattolici, praticamente fatti scomparire nella loro nazione con lo pseudo-sinodo di Lviv del 1947, eppure rappresentanti più vivi della sensibilità e della storia ucraina, con il loro ruolo di ponte naturale tra Est e Ovest. Un dato, però, che non deve sorprendere più di tanto: il primo sinodo greco cattolico si tenne a Roma nel 1981, sempre su volontà di San Giovanni Paolo II, che ben conosceva le difficoltà di quella popolazione in diaspora ed esiliata nella sua stessa terra. L’Osservatore Romano settimanale in edizione polacca che dava notizia di quell’assise fu censurato e mandato al macero in Polonia.
L’incontro del 1987 era così una diretta conseguenza di un percorso iniziato dal Papa polacco. “Pubblicammo il primo di tanti testi di riconciliazione, e da allora abbiamo fatto un libro di testi del genere”, ha detto l’arcivescovo maggiore Shevchuk.
San Giovanni Paolo II seguì il movimento passo dopo passo. In visita a Przemyśl il 2 giugno del 1991, il Papa polacco affermò: “Con quanta sincera gioia desidero, fratelli e sorelle, la riconciliazione e un’autentica fratellanza tra gli ucraini e i polacchi. Oggi proprio tutto ci chiama alla riconciliazione, alla fratellanza e al rispetto reciproco; alla ricerca di ciò che ci unisce.”
Parole che – afferma il numero 1 della Chiesa greco-cattolica ucraina – devono rappresentare “la nascita di una nuova Europa”, specialmente nell’Europa in cui oggi rinascono gli egoismi nazionali”.
Altre tappe importanti di questo cammino sono state la Messa che San Giovanni Paolo II celebrò a Leopoli nel 2001, durante la quale il Cardinale Lubomir Husar, allora arcivescovo maggiore della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, sottolineò l’importanza della riflessione sulla riconciliazione ucraino-polacca e pronunciò persino la parola “scusa”.
Quindi, c’è stata anche una lettera comune della Chiesa Greco-Cattolica in Ucraina e l’Episcopato polacco a Varsavia.
Nel 2013, poi, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk visitò la Polonia in occasione del 70esimo anniversario del massacro di Volyn, al termine della quale fu letta una dichiarazione congiunta. E nel 2016, intellettuali e leaders religiosi e politici ucraini inviarono, nell’ambito dell’anno della Misericordia, una lettera di perdono e penitenza al popolo polacco, che fu ben accolto.
Il conferimento del Premio di Riconciliazione sarà solo il culmine di una due giorni di celebrazione del trentennale.
La mattina dell’11 ottobre c’è stata una preghiera sulla tomba di san Giovanni Paolo II a San Pietro, e lì il Papa santo è stato “proclamato patrono del movimento di riconciliazione polacco-ucraino”. Il 12 ottobre, parteciperanno insieme alla Congregazione per le Chiese Orientali alla messa di Papa Francesco a Santa Maria Maggiore. Nel mezzo, un convegno internazionale "Chiesa Cattolica nel processo di dialogo e di riconciliazione polacco-ucraina" presso il Pontificio collegio ucraino di san Giosafat.
Spiega ancora l’arcivescovo Shevchuk: “Ci sono due tipi di memoria: la memoria negativa e la memoria positiva. La negativa ricorda solo il male, ricorda i peccati degli altri ma non i propri. Ma c’è una memoria positiva, che costruisce e aiuta a portare alla luce momenti più positivi del nostro passato e si fa memoria che costruisce il futuro. Anche il popolo ucraino è stato costruito nella memoria nazionale, ma per secoli non abbiamo avuto uno Stato che difendeva la dignità del nostro popolo. E anche noi cadiamo nell’errore di portare avanti una memoria negativa, perciò questo evento, questo anniversario, anche la consegna di questa onorificenza ci aiutano a scoprire, promuovere e portare avanti la memoria positiva che ci aiuterà a costruire un futuro migliore”.
Un futuro da cui deve partire la rinascita dell’Europa, per un cammino di riconciliazione cominciato tardi perché – spiega ancora l’arcivescovo maggiore Shevchuk – “prima, con la dominazione sovietica, tutto era stato nascosto”.
C’è tutto questo sullo sfondo del premio di Riconciliazione, attribuito nel corso degli anni ad intellettuali, giornalisti, istituzioni di vario genere. Quest’anno, vengono premiate due istituzioni.
La Congregazione per le Chiese Orientali sarà premiata per il sostegno dei valori che uniscono i popoli nell’edificazione di un futuro comune, in armonia con le parole di san Giovanni Paolo II: “Grazie alla purificazione della memoria storica siano tutti pronti a mettere al di sopra ciò che unisce e non ciò che divide, per costruire insieme il futuro basato sul rispetto reciproco, sulla fraterna collaborazione e sull’autentica solidarietà.”.
La redazione della Radio Vaticana (sezioni polacca, ucraina e slovacca) riceve il premio per la sua trasmissione imparziale delle informazioni e per la promozione del dialogo interculturale nell'Europa centrale e orientale superando gli stereotipi e i pregiudizi reciproci.
Con la speranza che "riconciliazione" non sia solo un auspicio, ma il tratto costituzionale delle Chiese di tutta Europa.
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