Sassari, 13 October, 2017 / 4:00 PM
Monsignor Gian Franco Saba è il nuovo arcivescovo di Sassari, prendendo possesso della diocesi con una cerimonia solenne che si è svolta nella cattedrale di San Nicola, officiata da mons. Paolo Atzei, circondato dall’affetto dei fedeli che hanno affollato il duomo e la piazza.
I giovani sono stati i più rumorosi, accogliendo il nuovo arcivescovo con un coro da stadio: ‘Uno di noi, Gian Franco è uno di noi...’. L’incontro con i giovani, fortemente voluto dal neo arcivescovo, che si è fatto precedere da una cartolina, inviata a circa 50 under 30, annunciando la prima iniziativa del suo governo pastorale: “Mentre venivano preparati gli spazi per la mia abitazione ho pensato: vicino alla casa del vescovo desidero un luogo per accogliere e incontrare i giovani. Teniamoci in contatto”.
Il vescovo più giovane d’Italia (classe 1968) ha stupito tutti lanciando un’iniziativa e un messaggio whats app. Ha detto ai giovani, destinatari privilegiati del suo ministero episcopale, di voler destinare alcuni locali del vescovado a sede di incontri regolari con l’arcivescovo, un luogo d’incontro, accogliente e bello, dove i giovani possano incontrarlo e dialogare con lui, vicinissimo ai luoghi dove vivrà e presto partiranno le opere di restauro per renderli accoglienti: “Sogno una Chiesa – casa.I giovani sono l’anello di congiunzione tra le generazioni, la forza vitale di cui ha bisogno oggi la Chiesa, e anche la società civile”.
In questo modo mons. Gian Franco Saba, ha preso possesso dell’arcidiocesi di Sassari, chiedendo ai fedeli la preghiera: “Sono persuaso che da entrambe le parti i nostri cuori sono colmi di sentimenti forti e profondi. Lungo il cammino in compagnia del Risorto i nostri cuori si scalderanno della luce dello Spirito ed i nostri occhi sperimenteranno la gioia di incontrare Cristo attorno alla mensa eucaristica e lungo le vie della vita, dove ci attende per essere accolto, riconosciuto, curato. Sia io che voi siamo già stati raggiunti da Cristo per interpellarci: di cosa parlate, quali sono i vostri pensieri, i vostri sentimenti e progetti? Egli ora ha mostrato il suo invito, forse inedito ed inatteso secondo le logiche umane: ho detto Sì a Cristo nella persona di Papa Francesco, lo diciamo insieme come Chiesa famiglia di Dio, popolo in cammino”.
Eppoi ha illustrato il suo ‘programma’ pastorale: “Quale programma dunque? Certo questo non è il momento di progetti, ma solo quello di fissare lo sguardo in Dio e curvare l’orecchio del nostro cuore all’ascolto. Tuttavia, ho pensato di racchiudere il progetto di vita per questo nuovo ‘Sì’ nelle parole tratte dal Libro sulla ‘Santissima Trinità’ di Agostino: ‘Dilectione amplectere Deum’. Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, in questa linea si aprono i larghi orizzonti di rinnovamento spirituale ed umano a cui ci guida lo Spirito Santo nell’insegnamento di Papa Francesco e dei suoi predecessori”.
Da rettore del Pontificio Seminario Regionale Sardo, citando un passo di san Clemente (‘Il Padre è misericordioso in tutto, largo di benefici e di tenerezza ed con dolcezza e amabilità, elargisce le sue grazie a quanti si accostano a Lui con pensiero semplice’), ha affermato che l’amore di Dio apre all’intelletto: “L’amore di Cristo e per Cristo ci custodisca: non siamo divisi! Chiedo a Dio che nel mio abbraccio possiate sperimentare l’abbraccio di Cristo, in modo speciale coloro ai quali è negato ogni riconoscimento fondato sull’amore. L’amore viene da Dio e conduce a Dio apre il cuore e l’intelligenza. Preghiamo sin d’ora affinché siamo servitori di una Chiesa viva, in cammino, impegnata, ricca di slancio missionario, che sappia discernere mete che siano vette. La ricca tradizione pastorale e culturale della Chiesa turritana è veramente grande. Applichiamoci per saper raccogliere l’insegnamento della nostra storia e saperlo comunicare in modo comprensibile e creativo nella vita di oggi. Un profondo esercizio alla cura del cuore, dell’interiorità, dell’intelligenza ci eleveranno da ogni mediocrità”.
Secondo il vescovo la Parola di Gesù apre all’impegno: “L’impegno che attinge all’interiorità ci eleva e ci mostra orizzonti più larghi rispetto ad un Io chiuso in se stesso. E nei momenti di stanchezza ci dona l’energia per risalire. In alto i cuori, preghiamo nell’Eucaristia sulla scia di sant’Agostino, il quale ci ricorda che siamo ‘tessuti dall’alto e se siamo tessuti dall’alto è impossibile che siamo dilaniati’. L’interiorità ha perciò una forza sociale rinnovatrice: spinge la nostra azione a tessere comunità solide, impegna la creatività dello spirito umano a spendersi per rinsaldare tessuti usurati e crearne di nuovi alla luce delle rinnovate voci della persona umana”. Proponendo l’esempio dei patroni diocesani, i martiri Gavino, Proto e Gianuario, nostri patroni, ha ricordato ai fedeli che la fede è stata ‘donata per attrazione’ attraverso le vie di comunicazione marittima del mar Mediterraneo in epoca romana: “Anche oggi la capacità di abbracciare con il linguaggio dell’amore evangelico gli spazi pubblici dell’interdipendenza umana ci farà assaporare la gioia della missione, la fatica dell’apostolato e la dolcezza della prossimità alla persona umana. La via dell’amore sprigiona dinamiche inclusive, sostiene i processi di rigenerazione e conforta la dedizione piena ad accogliere la sfida culturale, educativa e spirituale”. Quindi anche la pastorale dovrà coniugarsi al ‘plurale’, seguendo l’esempio di sant’Agostino: “Anche nella nostra terra abitiamo un terreno plurale. Il riconoscimento dell’unicità di ciascuno rende questo terreno fertile.
E tutti siamo chiamati da Cristo a lavorare nel Suo campo, a lavargli i piedi nell’estraneo. L’amore per Dio e l’amore per l’umanità sono inseparabili. Contemplando il Cristo Crocifisso diverremo discepoli di un Dio che ha tanto amato il mondo da donare il Suo Figlio Unigenito. La contemplazione del Cristo Crocifisso ci dona la grazia di contemplare l’incontro (sacrum commercium) tra Dio e l’uomo. Soltanto alla scuola del Maestro impareremo insieme a forgiare strutture e soprattutto formare cuori ed intelligenze che traducono i doni della fede con lo stile dell’incontro che dice all’altro: ‘Voglio che tu sia ciò che sei’ (Volo, ut sis)”. Solo in questo modo si può comprendere il modo di costruire la Chiesa: “Apprendiamo insieme l’arte di costruire la Chiesa, ci insegna il beato Paolo VI; siamo atleti di Cristo, unti con l’olio dello Spirito per entrare nello stadio per conseguire una corona incorruttibile, per portare la fiaccola dell’amore accesa sino al giorno di Cristo Signore. Costruire la Chiesa è perciò un’opera di fede e di amore. Nessuno può porre un fondamento diverso di quello che vi è stato posto, che è Gesù Cristo. In Lui tutto cresce ben ordinato”.
Citando san Giovanni Crisostomo, che esortava a non staccarsi mai dalla Chiesa, perché, come ha detto papa Francesco la Chiesa è come un fiume, ha parlato della ‘spiritualità inclusiva’: “La spiritualità inclusiva matura nel quadro di una cultura che coglie le complessità delle umane situazioni. Si spegne la paura di discendere nei vasti campi della vita umana e apre un ‘dialogo col mondo in cui si trova a vivere’, divenendo ‘parola, messaggio e colloquio’. Elaborare una cultura inclusiva equivale ad accogliere la sfida dei nostri tempi… Tendiamoci la mano gli uni gli altri per servire l’uomo, per promuovere un rinnovato umanesimo fondato sulla cultura dell’incontro. La dimensione spirituale e teologica dell’abbraccio nella carità si traduce in progetti concreti che favoriscono la cultura dell’accoglienza a partire dagli ambiti più ordinari della vita pubblica e sociale. La contrapposizione piccolo e grande non appartiene ad una pastorale che scaturisce dalle viscere del Dio delle misericordie”.
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