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Meeting, le religioni e la pace concludono l'edizione 2017

“Se non può mai mancare la collaborazione leale della Chiesa nella costruzione di una società migliore, essa non può non mantenere la propria ‘differenza’ critica. La Chiesa non è una società umanitaria, se così fosse tradirebbe la propria natura e la propria missione. La differenza cristiana nasce dalla fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, secondo lo stile dell'amore”.

Sono le parole pronunciate dal card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano nell’incontro conclusivo della XXXVIII edizione del Meeting dell’amicizia tra i popoli. E non poteva mancare il riferimento al recente viaggio in Russia: “Ho sentito molto la presenza di Cristo e del Suo Spirito. Sono partito con qualche apprensione e timore, ma ho sentito la forza della preghiera con cui tanti mi accompagnavano, nella ricerca di una pace possibile e incontrando le autorità della Chiesa Ortodossa”. Inoltre il card. Parolin ha sottolineato il ruolo del dialogo delle fedi per la pace, citando l’enciclica ‘Evangelii Gaudium’: “Per questo il tema del dialogo è stato posto con forza al centro del pontificato di Papa Francesco: nell’ambito culturale, affinché si possa elevare ‘l'essere umano fino al mistero che trascende la natura e l’intelligenza umana’; in quello ecumenico, affinché la fine delle divisioni confessionali e la ritrovata unità dei cristiani contribuisca alla credibilità del cristianesimo nel concorrere alla costruzione dell'unità della famiglia umana; in campo interreligioso, quasi una precondizione perché si possano superare i fondamentalismi e si possa promuovere la pace; infine nell’ambito sociale e politico, quale contributo a un nuovo ordine”.

A tale proposito ha invitato i giovani ad avere il coraggio di trovare la libertà della ‘figliolanza’: “Dobbiamo interrogarci su quale eredità di stili, di azioni, di pensieri, di testimonianze stiamo lasciando alle nuove generazioni. Poi, dopo avere cercato di creare comunità più accoglienti, più fedeli e più autentiche, dobbiamo correre il rischio della libertà. Dobbiamo avere il coraggio della libertà dei Figli. Sapendo che Dio risuona sempre e continuamente nelle coscienze. E i nostri giovani lo troveranno. Lo vedranno negli occhi di coloro che ameranno; lo ascolteranno nel silenzio che turba di fronte alla malattia; lo sentiranno nella fame e nella sete di giustizia; lo udranno come un ‘no’ inderogabile di fronte allo scandalo della violenza e dell’odio; lo conosceranno come un fuoco che arde senza spegnersi”.

Le parole del  segretario di Stato vaticano hanno concluso un percorso importante del meeting sul dialogo tra le tre grandi religioni abramitiche, ebraismo, cristianesimo e islam, come più volte ha invitato papa Francesco, iniziato con Mohammad Sammak, segretario generale del Comitato per il Dialogo islamo-cristiano in Libano; mons. Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico e membro del Dicastero Servizio per lo Sviluppo Umano Integrale, e il rabbino capo David Rosen, international director of Interreligious Affairs of the American Jewish Committee e director dell’AJC's Heilbrunn Institute for International Interreligious Understanding. I relatori hanno richiamato le esortazioni di papa Francesco a identificare nell’altro non una minaccia ma una scoperta, e a riconoscere come la comunicazione nasca dall’esperienza di un incontro, che non esclude mai nessuno o qualcosa, come ha sottolineato nel suo intervento Sammak: “Dobbiamo conoscerci e andare oltre i luoghi comuni.

Anche tra noi musulmani dobbiamo ricordare cosa dice il Corano del cristianesimo. Gesù è considerato parte di Dio, autore di miracoli che nessun profeta e neppure Maometto ha realizzato. Della Bibbia si afferma che chi la legge segue la parola di Dio. Maria è citata 43 volte ed è definita la donna preferita di tutti i tempi… I terroristi non c’entrano e non sanno nulla di islam, la loro lettura del Corano non ha nulla a che vedere con la realtà. Ebrei e cristiani vivevano in medio oriente prima di noi musulmani. Lo abbiamo fatto in pace per secoli e continueremo a farlo”. Dalla parte cristiana mons. Tomasi ha raccontato le sue esperienze di nunzio apostolico, prima nel Corno d’Africa e poi a Ginevra, nelle sedi della grandi organizzazioni sovranazionali: “Il dialogo è un metodo, un approccio che riguarda tutti.

E’ prima di tutto una scelta individuale, ma deve diventare modalità di comunicazione anche fra gli Stati. In Corno d’Africa, di fronte a conflitti tribali, etnici e interreligiosi, si sono riunite chiesa ortodossa, cattolica e islam, e siamo riusciti a ridurre scontri e violenza, con la conoscenza reciproca e un’azione comune che spiegava come la violenza creasse solo altro odio e rancore”. E la ricerca di ciò che unisce e non di ciò che divide è stato il filo di Arianna che lega le attività del rabbino Rosen: “Dobbiamo andare oltre stereotipi e pregiudizi che ognuno di noi ha nei confronti dell’altro. Dio ci ha fatti ognuno diverso dagli altri, e se noi siamo fatti a sua somiglianza dobbiamo cogliere il mistero che abita ogni persona. Nessuno ha il privilegio o l’esclusiva della salvezza o verità assoluta. Ciò non significa in nessun modo rinunciare alla propria fede. Solo scoprire che anche nelle altre fedi ci sono bontà e bellezza”.

Mons. Tomasi ha quindi sottolineato l’importante cammino compiuto dalla Chiesa negli ultimi 60 anni, da papa Paolo Vi che con l’enciclica ‘Ecclesiam Suam’ ha scritto una sorta di piccolo trattato del dialogo, fino alla recezione del Concilio Vaticano II con la costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’, ed il magistero di papa Francesco espresso nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’. In questo senso è stata interessante l’analisi  di Wael Farouq, docente di lingua e letteratura araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha esaminato il recente viaggio del papa in Egitto: “Manca il coraggio di annunciare che crediamo in questo amore, che ci vuole una presenza per riempire questo vuoto. Se c’è una lezione della visita del Papa in Egitto è esattamente questa: in modo semplice è riuscito a conquistare il cuore degli egiziani, facendo cadere gli stereotipi”.

Anche da parte mussulmana c’è concordia nell’analisi, come ha sottolineato Mostafa El Feki, direttore della Biblioteca di Alessandria: “Il Papa con la sua visita ha dato la sua testimonianza, un grande schiaffo al terrore nella regione, e un messaggio ai cristiani in medio Oriente che hanno sofferto tantissimo negli ultimi trent’anni… Le religioni, al di là della parte spirituale, sono movimenti di riforma che servono a dare più valore al genere umano. Tutte le tre grandi religioni monoteiste predicano per questo, e i loro insegnamenti dovrebbero essere accettati da tutti. L’Egitto è una delle nazioni più religiose al mondo, nella capitale ci sono nove sinagoghe per gli ebrei, e abbiamo migliaia di chiese, oltre ai più grandi monasteri al mondo. L’Egitto è la terra di Mosè, dove la Sacra Famiglia ha attraversato il Paese. E poi ha ricevuto l’islam. Molti musulmani vanno in chiesa a chiedere benedizione per i loro figli. Le persone che cadono nel terrorismo non sono religiose, sono solo infelici della loro vita”.

Quindi le religioni non fomentano il terrorismo, ha sostenuto Olivier Roy, professore all’Istituto Universitario Europeo e titolare della Cattedra Mediterranea al Robert Schuman Centre for Advanced Studies: “Lo studio dei profili dei giovani che hanno compiuto le numerose stragi delinea delle caratteristiche ricorrenti: sono stranieri di seconda generazione, usano lingue europee, la maggior parte non ha una formazione religiosa e nessuno ha mai militato in gruppi politici. Tutti hanno un passato di piccola delinquenza, sono immersi nella cultura europea, e molti sono coppie di fratelli. Tuttavia non ci sono padri: tutti sono orfani o abbandonati, o sono in rotta con le loro famiglie. Rifiutano di ricevere una cultura”.

La proposta del prof. Roy è la creazione di spazi di spiritualità sia per chi crede, sia per i giovani che hanno bisogno di assoluto: “Per esempio sarebbe opportuno creare delle facoltà teologiche sia cristiane, sia islamiche, fisicamente vicine, non per creare integrazione, ma per vivere la stessa esigenza critica dell’esegesi”. E nell’ultima conferenza stampa è stata comunicata anche le date della prossima edizione, che si svolgerà dal 19 al 25 agosto 2018 con il titolo ‘Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice’: “Si potrebbe dire che per il Meeting di Rimini il 2017 è stato l’anno dell’impegno per la pace.

Un tema che ha caratterizzato le testimonianze da Israele, Egitto e Venezuela, Gerusalemme con la testimonianza del Custode di Terra Santa padre Francesco Patton ma anche con le preghiere che persone di diverse religioni, ognuno con le proprie forme, hanno elevato nello spazio dedicato all’amicizia tra don Giussani e il monaco buddista Shodo Habukawa. Di pace hanno parlato il nunzio in Siria card. Mario Zenari, ma anche il direttore della Biblioteca di Alessandria, Mostafa El Feki, Monica Maggioni (ideatrice con Paolo Magri dello spazio ‘Muri’) e il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani”.

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