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Un servizio di EWTN News

Diritti violati e pena nel pensiero di Aldo Moro

Nella vita di tutti i giorni aprendo un qualsiasi quotidiano spesso leggiamo notizie che ci lasciano senza parole per la non buona notizia appresa. Ed accanto a ciò, quasi sempre, come reazione pensiamo alla necessità di ristabilire un ordine civile che la violenza ed il male, con il loro atto, hanno intaccato. Quando ci rifacciamo a ciò il discorso non può che non cadere sul tema della pena.

Essa, dal punto di vista pratico, rappresenta una possibilità di ricostituire un ordine sociale civile partendo proprio dal male commesso. Il più volte alla pena si affianca il concetto di punizione ed alle volte anche la sua parallela affermazione di vendetta per quanto accaduto. Ciò è fin troppo umano se si pensa al dolore per la perdita di un parente caro o per una grave ingiustizia subita.

Ma niente di tutto questo appartiene al concetto che la pena, per il Cristianesimo, dovrebbe essere ed è. Ciò è vero anche se non ci deve mai far dimenticare che in tale atto vi è una duplicità di prospettive: l’errore da una parte con il male commesso e l’uomo che lo ha messo in atto. Nella compagine evangelica il Cristo stesso ha sempre apertis verbis combattutto il male mai dimenticandosi di sollevare l’errante ridonadolo ad una nuova vita.

Questa è la prospettiva che la dottrina sociale della Chiesa conferma con lo studio su tali questioni che toccano da vicino l’uomo.

Se il Cristo si è sottoposto alla morte da parte dell’uomo è stato per redimere l’intera umanità dal peccato, quindi in tal caso questo concetto riparativo ha mostrato un risultato utile rappresentato dalla Redenzione finale dell’intera umanità, anche se con un effetto illegittimo in quanto il Cristo era esente da reato e quindi non suscettibile di pena.

Al contrario, nella nostra realtà abbiamo il più delle volte una pena con funzione di riparazione per il male commesso ma scevra dal contenuto precettivo presente nell’atto redentivo. Seguendo questo ragionamento il concetto cosi esposto palesa in maniera evidente ciò che la pena dovrebbe rappresentare per il Cristianesimo: una possibilità di distacco dal male commesso tramite una sanzione che, privando della libertà, il reo gli consente di riflettere su quanto commesso.

Non come era per la storia precedente alla tradizione neo testamentaria dell’ “occhio per occhio e dente per dente” bensì riflettere per non ripetere. Ciò è confermato dalla lettura dell’articolo 27 della nostra Costituzione il quale conferma l’umanizzazione della funzione riparatoria della stessa in vista di una completa rieducazione del male commesso. Sul punto Aldo Moro - di cui ricorre oggi il 39/mo anniversario dell'uccisione da parte delle Brigate Rosse - partecipando ai lavori dell’Assemblea Costituente, nel 1947, evidenziò la necessità di bandire, dal nostro ordinamento, qualsiasi pena che fosse contraria al cennato principio.

Ed inoltre evidenziò che questa doveva avere la funzione non di colpire ma di far capire al soggetto interessato quanto commesso per non ripeterlo più. Secondo l’autore pugliese tale concetto che prende il nome di funzione etico-retributiva penale è alla base dell’intero sistema giuridico che si occupa di tali interessi di natura pubblicistica. In ciò dev’essere chiara la funzione che la stessa è chiamata a comporre nelle azioni umani. Infatti non si può, secondo l'autore, sottolineare che tale funzione ha un forte legame con i diritti che la norma penale assurge a difesa ed essi sono la vita, l’incolumità fisica, il patrimonio... Ecco perchè essa prende il nome di etica in quanto solamnete difendendo dei principi inerenti al bene comune può irrogare una sanzione afflittiva che genera purtoppo e suo malgrado sofferenza. Ovviamente, tale concetto va sempre paramentrato alla Giustizia ovvero alla necessità di dover riparare mediante tale privazione al dolore causato nella compagine sociale. Infatti non si può scomporre il binomio pena-giustizia in quanto il male commesso dev’essere rilevato, compreso ed espiato per poter portare dei frutti positivi. Se tale percorso dovesse subire della fasi alterne essa non potrebbe svolgere quel compito che le Istituzioni democratiche hanno assunto ovvero di proteggere la nostra società per poter permettere ai consociati un’esistenza libera e sicura.

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