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Il Duomo di Monreale ha 750 anni. Bagnasco: “Non abituiamoci a tanta bellezza”

Il Cardinale Bagnasco celebra il Giubileo del Duomo di Monreale, 26 aprile 2017

È con una celebrazione tenutasi lo scorso 26 aprile che il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha inaugurato l’anno Giubilare del Duomo di Monreale. Un Duomo che porta con sé 750 anni di storia.

La cattedrale fu infatti consacrata il 25 aprile del 1267, anche allora primo lunedì dopo l’ottava di Pasqua, dal Cardinale Rodolfo di Chevrires, vescovo di Albano e legato apostolico, ma la riccorrenza della dedicazione fu spostat al 26 aprile, per la coincidenza con la festa liturgica di San Marco.

Dedicata alla Madonna, la Cattedrale di Monreale impressiona per le straordinarie opera musive, che raccontano la storia della salvezza e sono un inno alla misericordia. È un Duomo destinato a celebrare il passaggio dalle tenebre alla luce, il cui ingresso è ad occidente e l’altare ad oriente, a simboleggiare il fatto che la liturgia ti porta verso la luce.

E la straordinaria opera d’arte del duomo di Monreale parla – dice il Cardinale Bagnasco – del mistero di Dio, mentre “la cultura oggi ha perso il senso del mistero di Dio, e così è diventata preda di segreti e misteri che, pur vuoti e ingannevoli, suggestionano. La storia testimonia che quando l’uomo si dichiara non credentediventa credulone, facile preda di ogni superstizione e bugia”. 

Nell’omelia, il Cardinale Bagnasco ha ricordato che il fascino del Duomo “non cessa di stupire il mondo: entrare nella chiesa ed esserne rapiti è una cosa sola”. Viene l’istinto di “cadere in ginocchio, non perché schiacciati, ma perché abbraccciati da una sovrumana bellezza che sentiamo non essere nelle nostre mani, e che tuttavia avvertiamo come la nostra casa”.

Siamo a casa perché “varcare la soglia della basilica è come entrare nell’anticamera del santuario, il cielo, con una “grandiosa iconografia biblica” che è il segno esemplare di quella “biblia pauperum che la Chiesa ha amato e voluto, affinché tutto il popolo potesse godere della bellezza fatta immagine, racconto delle opera di Dio, della creazione della redenzione operata da Cristo, al suo ritorno glorioso”.

Ma tutta questa bellezza – ha ammonite Bagnasco – deve entrare nelle nostre anime, perché “il Dio della maestà e dello splendore ha volute essere anche il Dio dell’umilt e dell’amore per noi”. Nel Duomo “ognuno è interpellator in modo unico, la sua libertà è chiamata a giocarsi”, e dunque le pietre “parlano anche di noi, della nostra vita e del nostro destino”.

Dedicare, in fondo, è dare uno spazio a Gesù, e dunque – conclude il president dei vescovi – “entrare nelle nostre chiese è dunque entrare nello spazio di Gesù”, non “fare delle cose per Dio”, ma “lasciarci fare da lui”, non “cercare di possedere Dio” come nei riti pagani e nelle superstizioni di oggi, ma “lasciarci possedere da lui”, per diventare – come la prima comunità cristiana “assidua nella preghiera, nell’Eucarestia, nell’insegnamento apostolico, nella benevolenza e nel servizio”.

 

 

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