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Bologna, una marcia per la pace nel segno della "non violenza"

Un momento della Marcia per la Pace di Bologna

La 49esima marcia della pace, organizzata con il sostegno della Cei e di molti movimenti cattolici ha fatto tappa a Bologna, meditando il tema della nonviolenza, nella prospettiva sostenuta da Papa Francesco nel messaggio della giornata mondiale per la pace, ‘La nonviolenza: stile di una politica per la pace’.

L’anno prossimo sarà il cinquantenario di una iniziativa che ebbe luogo la prima volta a Sotto il Monte, città natale del papa san Giovanni XXIII, con un titolo mutuato da una frase di p. David Maria Turoldo: ‘La pace non è americana, come non è russa, romana o cinese; la pace vera è Cristo’. In quell’anno straordinario della fede papa beato Paolo VI scrisse il primo messaggio per la pace con lo scopo di ‘difendere la pace nei confronti dei pericoli, che sempre la minacciano’: “Pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita; la verità, la giustizia, la libertà, l'amore. Ed è per la tutela di questi valori che Noi li poniamo sotto il vessillo della pace, e che invitiamo uomini e Nazioni, e innalzare, all'alba dell'anno nuovo, questo vessillo, che deve guidare la nave della civiltà, attraverso le inevitabili tempeste della storia, al porto delle sue più alte mete”.

Da allora le marce della pace del 31 dicembre, percorrendo le strade di tante città italiane, si sono sempre più confermate come momenti forti di sensibilizzazione sui problemi più urgenti della società e del mondo intero. Quest’anno, la marcia della pace ha dunque fatto tappa a Bologna, meditando appunto il tema della non violenza, che “non è solo un fatto morale, ma deve essere un atteggiamento attivo, capace di generare gesti concreti”, ha affermato durante il convegno che l’ha preceduta mons. Fabiano Longoni, direttore nazionale dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Cei.

“Si marcia – ha aggiunto mons. Longoni - perché la pace per noi è accoglienza di coloro che fuggono dalla guerra e dalla morte e per dare libera espressione alle proprie idee di pace e di giustizia”.

Mons. Giovanni Ricchiuti, presidente italiano di Pax Christi e vescovo della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, ha evidenziato l’importanza della marcia, data “dall’essere popolo della pace che si mette in cammino sempre alla ricerca della vera pacificazione della vita dei popoli”. Una pace, ha evidenziato il presule all’inizio della marcia, “che può essere generata dalla sua radice che è la non violenza, parola che non dobbiamo avere paura di pronunciarla neanche nella Chiesa”. 

Insomma la nonviolenza è uno stile di vita quotidiana, ha sottolineato nella celebrazione eucaristica conclusiva l’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Maria Zuppi, nel ricordo di mons. Tonino Bello: “Chi - ha detto l’arcivescovo di Bologna - sceglie la nonviolenza, (e va scelta, non viene da sola!), costruisce pace. Parlare di nonviolenza affidata in primis allo stile di ognuno ci ricorda che siamo ministri della sua pace. Non è astratto o talmente generico che non incide nella vita ordinaria! Ne parlava con la passione che ricordiamo e conserviamo Tonino Bello. La pace non è ‘un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale vita pacifica. Sì, la pace prima che traguardo, è cammino”.

Attraverso il cammino della nonviolenza – ha proseguito il presule - il cristiano deve essere un ‘cero pasquale’, perché come affermava Thomas Merton la pace ‘non è una ricetta per un’evasione individualistica o per una realizzazione agonistica’.

“La storia cambia, può cambiare! La storia deve cambiare, altrimenti non c’è futuro e dobbiamo avvertire il pericolo di avvenimenti terribili che ‘possono essere catastrofici per nazioni intere e forse anche per gran parte dell’umanità’, diceva consapevolmente Paolo VI. Adesso è peggio di allora. Solo la nonviolenza è politica di pace e via per raggiungerla! Per questo scegliamo di stare dalla parte delle vittime. Diceva Lercaro che ‘la Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia’”.

Quindi la scelta nonviolenta della pace è uno stile, come ha proposto papa Francesco nel suo messaggio: “Non è solo un impegno fuori di noi, ma dentro; non è una parentesi ma uno stile; non è solo una pur importante buona azione esemplare ma è una politica per la pace. Non è mai indifferente come vivo, sia nel male ma sia anche nel bene. Siamo spesso così individualisti da credere che tutto inizia e finisca con me. Non aspettiamo la fine della violenza per scegliere di essere non violenti! Significa non arrendersi al male e combatterlo con l’unico muro che protegge per davvero, con l’unica arma efficace e intelligente che può davvero sconfiggerlo, quella che è di Dio e in realtà la più vera dell’uomo: l’amore, con l’intelligenza e la forza che questo significa”.

Attuare in questo senso la pace significa per mons. Zuppi attivare una ‘rivoluzione cristiana’, come chiedeva papa Benedetto XVI: “Bandiamo la violenza dal nostro cuore, dalle parole, dai gesti e vedremo le loro spade spezzate, finalmente gli aratri, le falci, perché ‘una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra’, ma quella più divina e più umana che è l’arte della pace. Uno stile di politica, insomma, che tutti, dai rappresentanti delle istituzioni ai semplici cittadini, sono chiamati ad adottare per dare speranza a un’umanità che in tante regioni del pianeta è divenuta platealmente ostaggio dell’avidità del denaro, degli interessi geopolitici e dell’industria delle armi”. Al termine della celebrazione eucaristica sono state raccolte le offerte per sostenere i profughi che hanno trovato rifugio nel Kurdistan iracheno.

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