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La riforma e la romanità, Benedetto e Francesco, un colloquio con il cardinale Müller

Benedetto e Francesco, modi diversi di guidare la Chiesa, ma un unico intento, servire la Chiesa e essere pastori del Popolo di Dio. A cominciare dalle riforme. Nel volume del cardinale Müller si parla anche di questo. Vi proponiamo la seconda parte del colloquio esclusivo di Aci Stampa con il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede.

Eminenza, negli ultimi anni si è parlato anche troppo spesso della “ riforma della curia”. Uno dei saggi del libro parla dei criteri teologici di questa riforma. Insomma, non è solo una questione di accorpamenti?

Una nuova organizzazione di alcuni Dicasteri può essere opportuna, ma non è ancora una vera riforma. Della riforma della Chiesa parlano Sant’Agostino e Papa Gregorio VII, conosciamo la grande riforma con i monasteri, quella di Santa Teresa d’Avila, ecc. La parola “riforma” viene dalla Vulgata, dal cap. 12 della Lettera di San Paolo ai Romani, dove si legge: “Non conformatevi al secolo ma riformatevi nello Spirito”. Papa Pio X ha utilizzato come motto: “Instaurare omnia in Christo”, rinnovare tutte le cose in Cristo. La Chiesa non può essere l’oggetto delle nostre idee di riforma, la Chiesa è il corpo di Cristo. Noi come membra di questo corpo possiamo aprire le porte del nostro cuore e lasciarci riformare dalla vecchia mentalità: Papa Francesco mette sempre in guardia dal pericolo della mondanizzazione della Chiesa, proprio come Benedetto XVI parlava di “de-mondanizzazione”, due parole per la stessa idea. Ma, certo, i giornali sono più interessati ai cosiddetti “scandali”. Gli scandali esistono dappertutto: dove c’è denaro c’è sempre un rischio, ma non si deve pensare che la riforma della curia si esaurisca con la ri-organizzazione dello IOR o dell’APSA. La curia romana è composta dai dicasteri che esistono per aiutare il Papa nella sua missione soprannaturale. Per questo, i mezzi che abbiamo, dai mobili ai computer, sono solo degli strumenti utili, ma per tutti i membri e collaboratori della curia, dai cardinali prefetti fino agli uscieri, è importante avere la coscienza di lavorare per il bene della Chiesa e di collaborare con il Papa nella sua missione che gli è stata affidata da Gesù Cristo.

Cosa significa, in questo senso, la “romanità” della curia?

Il Papa non è un vescovo isolato, ma il capo della Chiesa romana. Questa diocesi partecipa del primato del Papa, che come vescovo di Roma è successore di Pietro, pastore universale della Chiesa. Nel corso del tempo i chierici più importanti della Chiesa romana, i Cardinali, costituivano in qualche modo il “senato” del Papa, il “sinodo” della Chiesa romana. Si può dire che la curia è l’espressione della collaborazione del collegio cardinalizio al ministero del papa. I membri delle Congregazioni sono cardinali, con alcuni vescovi aggiunti.

Allora non ci possono essere rivoluzioni nella Chiesa, ma sempre continuità?

La rivoluzione in senso politico significa stravolgere le fondamenta, e in questo senso la Riforma protestante è stata una rivoluzione, perché ha negato alcuni elementi costitutivi della fede, come ad esempio il principio della sacramentalità della Chiesa, che non è appunto solo un’associazione dei giustificati il cui nome conosce solo Dio. La Chiesa visibile è l’espressione visibile della presenza del Signore e per questo nei sacramenti si realizza la salvezza. I vescovi luterani, secondo la fede cattolica, non sono veri vescovi, perché Lutero ha interrotto la successione apostolica, la legittimità sacramentale dell’episcopato. Ha anche negato il fondamento del ministero petrino, pur essendo stato Gesù a consegnare le chiavi a Pietro. In quel momento Simone è scomparso come persona singola, ma vive ancora oggi nei suoi successori. Il Papa non è successore di Simone, ma di Pietro. E Pietro rimane, la sua missione rimane. In questo senso non vedo alcuna rivoluzione se non nella “stampa gialla”. Certo, può darsi che qualcuno ne voglia una, e consideri “conservatori” coloro che rimangono fedeli alla struttura sacramentale della Chiesa, introducendo questa ideologia “conservatori e progressisti”.

Un po’ passato di moda, no?

L’ideologizzazione della Chiesa non aiuta. Crediamo nella Parola rivelata di Dio, non in un’ideologia o in idee costruite da uomini come nella politica. La Chiesa non è un frutto della politica umana, è opera di Dio.

Qual è il compito del teologo oggi, allora, per risanare questa frattura?

La Chiesa deve essere il segno dell’unione intima con Dio in Gesù Cristo, ma anche dell’unità di tutto il genere umano. Dobbiamo dare il primo esempio nel superamento di queste deformazioni ideologiche. Tanti hanno perso di vista la dimensione trascendente; questa realtà d’altronde permane: i teologi hanno il compito di mostrare che uno spirito finito ha bisogno di un punto di riferimento assoluto, che l’uomo ha bisogno di Dio, che è bello e affascinante credere nel Dio che ci ha mostrato in Gesù il suo volto e ci ha aperto il suo cuore. Quando però non si crede più in Dio, che ci dà la libertà per mezzo della fede, allora si è costretti ad assolutizzare qualcosa di creato, anche il pensiero “creato”. E questo significa rendere il pensiero un “idolo”, non venerare Dio che rende liberi, ma appunto un idolo che ci fa servi, schiavi. L’ideologia è un idolo.

Quali sono le differenze teologiche tra Francesco e Benedetto?

Non tutti i Papi sono teologi. Dei 266 Papa quanti sono stati teologi, in senso formale e accademico? Simon Pietro non era teologo, ma nelle sue lettere ha offerto spunti importanti per una buona teologia. E nella sua testimonianza ha posto il fondamento della teologia: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Tutti i Papi dell’era moderna hanno studiato teologia, ma non tutti devono essere professori di teologia. I pastori sono anzitutto servitori e testimoni della parola. Come diceva il Cardinale Ratzinger sul compito dei vescovi: dopo il Concilio, si pensava che il vescovo ideale era il vescovo conciliare, poi sono venuti i contrasti e si diceva che il vescovo ideale era conciliante, e ora ci vuole di nuovo il vescovo confessore. Questo vale anche per il Papa, che è chiamato in primo luogo a confessare la fede e a servire l’unità del popolo di Dio.

Papa Benedetto vedeva nel relativismo una delle minacce peggiori per la Chiesa, Papa Francesco parla molto spesso dell’indifferenza. Come si legano queste due minacce per la Chiesa?

Sono due lati di una sola moneta. Il relativismo nasce da un capovolgimento e crea una dittatura: si relativizza l’assoluto e si assolutizza il relativo. L’indifferenza è una grave malattia spirituale: spesso sembra valere solo il denaro e l’uomo viene ridotto al suo valore economico, alla sua funzione economica. Il relativismo nega la verità; se si traduce in campo etico, diventa indifferentismo. In internet c’è una lista dei miliardari del mondo, ma dov’è la lista degli uomini e delle donne che aiutano i bambini negli ospedali? Eppure fanno molto di più per l’umanità.

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