Magliano Sabina, 09 December, 2016 / 2:00 PM
Un “trono nobile di velluto rigamato alla cinese”. Così viene descritto nel più antico inventario della cattedrale di Magliano Sabina, ora in diocesi di Rieti, il baldacchino per la cattedra episcopale. Un raffinato oggetto d’arte oggi riportato allo splendore antico.
La storia e il restauro sono raccontati nel libro “Il baldacchino “di gusto cinese” di Magliano Sabina e il cardinale Annibale Albani. Storia e restauro”a cura di Barbara Fabjan.
Il baldacchino di Magliano Sabina , fu donato dal cardinale Annibale Albani all'amata diocesi attorno al 1737. Il baldacchino per cattedra episcopale di Magliano Sabina fu segnalato per la prima volta da Mariano Guardabassi in occasione delle ricognizioni effettuate nell’allora Provincia umbra per conto della Commissione artistica governativa nel 1866, subito dopo l’unità d’Italia. Nel suo Indice-Guida (1872) lo studioso perugino lo descriveva come “Paramento di trono d’un dignitario cinese regalato alla Cattedrale dal Cardinale Albani nel 1737; rara opera condotta su velluto cremisi con finissimi raccami in oro, argento e seta”.
Fu Guardabassi a fare le prime foto realizzata su lastre al collodio umido. Magliano Sabina fu la prima sede vescovile del Cardinale Annibale Albani (Urbino 1682-Roma 1751), cultore e splendido mecenate delle arti, nipote di Papa Clemente XI (1700-1721) e fratello del più celebre Alessandro, che la predilesse e vi effettuò molti lavori (1730-43).
Il parato fa parte di quel gusto per l’esotismo che dalla seconda metà del Seicento aveva cominciato ad invadere l’Europa, riflettendo il fascino dei lontani paesi di Oriente e d’Occidente. Le relazioni dei missionari, la descrizione di popoli diversi, narrati nel loro modo di vivere, dagli abiti alle costruzioni, all’organizzazione della vita religiosa, politica e sociale erano ampiamente diffuse e le immagini che illustrano queste pubblicazioni studiate e riprodotte.
E la gran parte delle raffigurazioni che troviamo sul baldacchino, in particolare sulle cascate, derivano da uno di quei diari, la popolarissima Legatio Batavica di Johan Nieuhof, artista che aveva accompagnato e documentato la missione in Cina sponsorizzata dalla Compagnia delle Indie olandesi negli anni 1655-57. Il lungo e delicato restauro condotto tra 2009 e 2012 da Barbara Santoro e Zahra Azmoun per la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio con la direzione di Barbara Fabjan, ha permesso di stabilire che il baldacchino è frutto del rimaneggiamento di un precedente manufatto nato originariamente per l’arredamento di una dimora principesca, escludendo una finalità liturgica. Alcune forme come quelle a zig-zag o acuminate presenti nei bordi elaborati che delimitano i soggetti figurati, oppure la penetrazione di un elemento decorativo in un altro, si riscontrano frequentemente nella prima produzione dei tessuti chiamati dagli storici bizarre, specificamente quella degli anni 1700-1705.
La fattura di questo arredo è manifestamente opera di una bottega di ricamatori altamente specializzata, che a Roma poteva trovare una fonte di approvvigionamento per i tessuti nel Ghetto, famoso per l’attività di “cenceria”. Attualmente, il baldacchino è depositato presso la Curia Vescovile di Poggio Mirteto.
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