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Pastorale vocazionale, la ricetta del Papa

La pastorale vocazionale non è un ufficio curiale ma è “un incontro con il Signore! Quando accogliamo Cristo viviamo un incontro decisivo, che fa luce sulla nostra esistenza, ci tira fuori dall’angustia del nostro piccolo mondo e ci fa diventare discepoli innamorati del Maestro.” Così il Papa, ricevendo in udienza i partecipanti al Convegno internazionale di pastorale vocazionale, promosso dalla Congregazione per il Clero.

Il titolo del convegno è il motto episcopale di Papa Francesco: “Miserando atque eligendo”. “Ho scelto questo motto - ricorda il Pontefice - facendo memoria degli anni giovanili in cui sentii forte la chiamata del Signore: non avvenne a seguito di una conferenza o per una bella teoria, ma per aver sperimentato lo sguardo misericordioso di Gesù su di me”.

Andate oltre il convegno - sprona Francesco - “la pastorale vocazionale è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio Padre”.

Gesù non è statico. Lo riportano i Vangeli. E’ “fermento di novità laddove la gente lotta per una vita diversa”. Tre sono i verbi che caratterizzano il “dinamismo di ogni pastorale vocazionale: uscire, vedere, chiamare”.

Uscire. “La pastorale vocazionale - spiega il Papa - ha bisogno di una Chiesa in movimento, capace di allargare i propri confini, misurandoli non sulla ristrettezza dei calcoli umani o sulla paura di sbagliare, ma sulla misura larga del cuore misericordioso di Dio. Non può esserci una semina fruttuosa di vocazioni se restiamo semplicemente chiusi nel comodo criterio pastorale del si è sempre fatto così. Dobbiamo imparare a uscire dalle nostre rigidità che ci rendono incapaci di comunicare la gioia del Vangelo, dalle formule standardizzate che spesso risultano anacronistiche, dalle analisi preconcette che incasellano la vita delle persone in freddi schemi”. Questa regola vale soprattutto per Vescovi e presbiteri “principali responsabili delle vocazioni cristiane e sacerdotali, e questo compito non si può relegare a un ufficio burocratico”.  “Uscendo, ascoltando i giovani, potete aiutarli a discernere i movimenti del loro cuore e a orientare i loro passi. E’ triste quando un prete vive solo per sé stesso, chiudendosi nella fortezza sicura della canonica, della sacrestia o del gruppo ristretto dei fedelissimi”. 

Bisogna invece “essere pastori in mezzo al popolo, capaci di animare una pastorale dell’incontro e di spendere tempo per accogliere e ascoltare tutti, specialmente i giovani”

Vedere. Gesù guarda negli occhi ma “oggi, purtroppo, la fretta e la velocità degli stimoli a cui siamo sottoposti, non sempre lasciano spazio a quel silenzio interiore in cui risuona la chiamata del Signore. Talvolta, è possibile correre questo rischio anche nelle nostre comunità: pastori e operatori pastorali presi dalla fretta, eccessivamente preoccupati delle cose da fare,che rischiano di cadere in un vuoto attivismo organizzativo, senza riuscire a fermarsi per incontrare le persone”. Teniamo presente il Vangelo, - osserva Francesco - che invece “ci fa vedere che la vocazione inizia da uno sguardo di misericordia che si è  posato su di me. E’ quel termine: miserando, che esprime al tempo stesso l’abbraccio degli occhi e del cuore”. Ogni pastore come Gesù deve essere “attento, non frettoloso, capace di fermarsi e leggere in profondità, di entrare nella vita dell’altro senza farlo sentire mai né minacciato né giudicato. E’ uno sguardo, quello del pastore, capace di suscitare stupore per il Vangelo, di svegliare dal torpore in cui la cultura del consumismo e della superficialità ci immerge e di suscitare domande autentiche di felicità, soprattutto nei giovani. E’ uno sguardo di discernimento, che accompagna le persone, senza né impossessarsi della loro coscienza, né pretendere di controllare la grazia di Dio”.

In quanto attento e vigile quello sguardo - aggiunge ancora il Pontefice - è “chiamato continuamente a purificarsi. E quando si tratta delle vocazioni sacerdotali e dell’ingresso in Seminario, vi prego di fare discernimento nella verità, di avere uno sguardo accorto e cauto, senza leggerezze o superficialità. Lo dico in particolare ai fratelli Vescovi: vigilanza e prudenza. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di sacerdoti maturi ed equilibrati, di pastori intrepidi e generosi, capaci di vicinanza, ascolto e misericordia”.

Infine, chiamare. Gesù chiama e “in questo modo, suscita in lui il fascino di scoprire una nuova meta. Il desiderio di Gesù è mettere le persone in cammino, smuoverle da una sedentarietà letale, rompere l’illusione che si possa vivere felicemente restando comodamente seduti tra le proprie sicurezze. Questo desiderio di ricerca, che spesso abita i più giovani, è il tesoro che il Signore mette nelle nostre mani e che dobbiamo curare, coltivare e far germogliare”.

La fede - conclude il Papa - non è “un libro di ricette” né “un insieme di norme da osservare”. Il compito di chi lavora nella pastorale vocazionale non è facile, e pertanto non bisogna chiudersi a lamentarsi ma occorre uscire. “Non abbiate paura di annunciare il Vangelo, di incontrare, di orientare la vita dei giovani. E non siate timidi nel proporre loro la via della vita sacerdotale, mostrando, anzitutto con la vostra gioiosa testimonianza, che è bello seguire il Signore e donare a Lui la vita per sempre. E, come fondamento di questa opera, ricordatevi sempre di affidarvi al Signore, implorando da Lui nuovi operai per la Sua messe e sostenendo le iniziative di preghiera a sostegno delle vocazioni”.

 

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