Tbilisi, 01 October, 2016 / 10:00 AM
È una Porta Santa speciale, quella che Papa Francesco ha benedetto (e attraverso la quale è passato) durante la Messa nella stadio di Tbilisi. Arrivata direttamente da Rustavi, per tutto l’Anno Santo è rimasta in un giardino, in attesa di una chiesa della Divina Misericordia che doveva essere costruita là. E ora, dopo la benedizione del Papa, si spera che la situazione si sblocchi.
Una speranza forte, per la comunità di Rustavi, che attende da tempo una chiesa. Si era individuato un terreno, acquistato nel 2013, si erano chiesti i permessi. Poi, improvvisamente, la burocrazia ha bloccato tutto, il comune di Rustavi ha contestato che l'Amministrazione Apostolica ha aver cambiato la destinazione d’uso del terreno. L’Amministrazione Apostolica non si è arresa. Ha fatto ricorso al tribunale, e i riscontri sono stati positivi: due volte ha avuto ragione. Il Comune ha fatto ricorso. Ora, sembra che il governo abbia deciso di concedere la costruzione della Chiesa, ma in un altro posto. E che l’Amministrazione Apostolica sarebbe intenzionata ad accettare l’offerta, non perché lo auspicasse, ma per non inasprire gli animi.
Il fatto è che la mancata costruzione della chiesa dedicata alla Divina Misericordia a Rustavi è una ferita aperta, perché avrebbe servito la piccola comunità locale di 100 famiglie che - sebbene minoranza - hanno bisogno di una chiesa. Per questo, l’altare su cui Papa Francesco ha celebrato Messa a Tbilisi lo raccontava. L’ambone, in legno, sarà posto nella erigenda chiesa. Vi è scritto, in georgiano, “Ascoltiamo”. L’altare anche, ed è stato decorato da Elia, un artista che lavora molto insieme ai disabili del Centro dei Camilliani che il Papa va a visitare nel pomeriggio: le tre icone rappresentano la Lavanda dei Piedi, l’Ultima Cena e la Resurrezione. Sulla cattedra del Papa è scritto in georgiano “Tu sei Pietro” .
L’altare però dice anche la sofferenza che la Chiesa cattolica ha dovuto soffrire durante gli anni del comunismo e dopo. La “Pietà” che si trova posta sul lato sinistro dell’altare proviene da una delle chiese del Sud della Georgia. Il grande crocifisso posto sullo sfondo era in un museo, ma prima era in una delle chiese di Gori (una città a Est della Georgia) che poi da cattoliche sono state riconvertite in ortodosse. Ed è stato anche esposto uno dei crocifissi rovinati dai comunisti.
Ci sono però anche i segnali di speranza. Il dialogo ecumenico è difficile, gli ortodossi si considerano il collante della nazione e non accettano altre denominazioni religiose. Ma ci sono segnali positivi. Il Patriarca Ilia II ha mandato una delegazione ad assistere alla Messa, sebbene poi abbia comunicato ai fedeli che partecipare in qualche modo alla Messa del Papa non è contemplato dal diritto canonico. Ma questo è positivo, commentano i cattolici di qua, perché la circolare non aveva toni duri, e anzi il Patriarca ha parlato del viaggio in termini positivi.
Non che credano in un miglioramento veloce dei rapporti. Ma in una nuova primavera sì. E lo si nota dai canti del coro messo insieme per la Messa, un gruppo di tutti i cori di tutte le confessioni cristiane di Georgia – tranne quella ortodossa – accompagnati da un’arpa, insieme a un coro folcloristico che ha messo in scena le celebri polifonie georgiane, che sono anche protette dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.
Un segno di speranza. Come un segno di speranza è stata la visita di Papa Francesco ieri alla Chiesa caldea di Simone Bar Sabae. Per l’occasione, si è riunito il Sinodo Caldeo, con il Patriarca Sako che è Baghdad, in prima linea lì dove i cristiani subiscono il dramma della guerra. Al termine della celebrazione, una comunità in festa ha accompagnato il Papa all’esterno, e ha liberato due colombe, segno di pace.
Padre Andrea Toma di Alqosh, in Iraq, è tra quelli più felici della visita. “Vengo da Alqosh, non vivo molto lontano dall’ISIS… ma la presenza del Santo Padre qui è un segno di amore verso la comunità caldea, e di attenzione. Ci dà la speranza che le cose possano cambiare”.
La volontà, dice, è quella “per i cristiani iracheni di tornare nelle loro case, di vivere in un mondo pacificato. Tutti sappiamo cosa sta succedendo in Iraq”.
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