Roma, 26 September, 2016 / 1:00 AM
Gratuità, giustizia e solidarietà: sono i tre temi alla base delle relazioni economiche, ha sottolineato il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Tre temi che hanno una fondazione “antropologica e culturale”, e che per questo possono rispondere alla crisi dell’economia. Una crisi che è prima di tutto morale, come hanno spiegato Benedetto XVI prima e Papa Francesco poi.
Il Cardinale Ravasi ha parlato ad un evento del Cortile dei Gentili intitolato proprio “Per una economia più umana e più giusta”. Tenutosi il 21 settembre nella prestigiosa cornice di Palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede, l’evento vedeva come relatori economisti del calibro di Jean-Paul Fitoussi e Sir Angu Deaton, già Nobel per l’economia.
Il tema è stringente, specie nel momento in cui la questione della giustizia sociale – un tema centrale nella predicazione di Papa Francesco, e ancora più centrale con la scelta di intitolare un dicastero alla ricerca dello “sviluppo umano integrale” – è diventata il “ponte” della cultura dell’incontro. Un modo, insomma, di mettere credenti e non credenti insieme per raggiungere l’obiettivo che è il centro della Dottrina Sociale e dell’attività diplomatica della Santa Sede: il bene comune.
Ecco allora la necessità di superare la crisi morale che ha portato alla crisi economica. Secondo il Cardinale Ravasi, sono egoismo ed autismo spirituale a mettere a rischio la dimensione umana, vale a dire la chiusura della relazione con gli altri e con Dio. Come superare la questione? Il Cardinale cita il presidente John Fitzgerald Kennedy, che nel 1961 – insediandosi alla presidenza degli Stati Uniti – sottolineò che “una società libera che non è in grado di aiutare i molti che sono poveri non riuscirà mai a salvare i pochi che sono ricchi”.
Le parole del Cardinale Ravasi sono condivise anche da Daniele Mancini, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede. Il quale nel suo intervento nota che ormai tutto è cambiato dai tempi del Dopoguerra, che c’è “una accentuazione delle diseguaglianze”. E se c’è sempre più divario tra il reddito del ricco e quello del povero, a soffrirne è soprattutto la solidarietà che di fatto aveva sempre fatto “da collante”, indebolendo così “il senso di comunità e la stessa fiducia nelle istituzioni”. Mancini ha quindi sottolineato che la riduzione delle diseguaglianze è parte integrande dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Nel dibattito è intervenuto anche il presidente del Senato Piero Grasso, che ha rivendicato il fatto che l’economia debba essere “scienza umana” e ha sottolineato come le diseguaglianze acuiscano le migrazioni.
Ma in che modo la teoria economica ha contribuito a creare queste diseguaglianze? Sir Angus Deaton non se l’è sentita di demonizzare il capitalismo, perché “è vero che tanti soffrono di sottosviluppo e ingiustizie, ma in generale il mondo sta migliorando sempre di più”. Il problema è più locale, che generale, perché è nelle singole nazioni – sottolinea Deaton – che “a volte le diseguaglianze diventano ingiustizia”.
Il problema è che la voglia di arricchirsi – ha aggiunto – ha portato a “un certo modo speculativo di gestire l’economia da parte delle lobbies sta riducendo le opportunità per i giovani, favorendo la disoccupazione degli over 50. Crescono i suicidi, aumenta l’alcolismo e l’uso di analgesici”.
L’economista francese Jean Paul Fitoussi, dal canto suo, ha messo in luce che le diseguaglianze stiano intaccando “il patrimonio intangibile più importante del bilancio delle nazioni”, mentre Dominique Y Van der Mensbrugghe – con uno sguardo all’ambiente – ha messo in luce come l’accordo di Parigi sia solo “un primo passo”. Il problema è sempre chi governa i processi. “Con una commissione - sulle emissioni energetiche – sottolinea Van der Mensbrugghe - forse anche i più poveri potrebbero usufruire dell’energia”.
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