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Un servizio di EWTN News

Chiesa di Germania, il problema della tassa della Chiesa

L'arcivescovo Georg Gaenswein, Prefetto della Casa Pontificia

In una intervista alla Schwaebishe Zeitung, l’arcivescovo Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, ritorna sul problema della “tassa sulla Chiesa in Germania” e lo definisce “un serio problema”. Si tratta di un tema affrontato a più riprese, anche sotto il Pontificato di Benedetto XVI, e che si collega direttamente al calo di partecipazione dei fedeli alle attività della Chiesa. Ma si collega anche all’ “agenda della misericordia” della Chiesa tedesca, che da alcuni osservatori è vista come un modo per far sentire quante più persone possibile incluse nell’alveo della Chiesa cattolica.

Il problema, in realtà, è molto più complesso. Incontrando i vescovi tedeschi in visita ad limina, Papa Francesco ha certificato la crisi della Chiesa tedesca con un discorso ad ampio raggio, nel quale il Papa individuava nelle radici della crisi anche una mancanza di identità cattolica, e in particolare sul fatto che “il Sacramento della Penitenza” fosse quasi scomparso. Era novembre 2015. A luglio 2015, i dati ufficiali sottolineavano ufficialmente che nell’anno precedente erano stati circa 200 mila i tedeschi che avevano lasciato la Chiesa cattolica.

I dati 2015, presentati di recente, non sono più confortanti. La Chiesa cattolica conti il 29 per cento della popolazione (quasi 24 milioni di fedeli), ma nel 2015 è stata abbandonata da 181.925 persone. Le conversioni al cattolicesimo sono state 2685, mentre 6474 cattolici sono tornati alla fede. La partica domenicale staziona su un circa 10,4 per cento delle persone cosiddette praticanti. 

C’è da una parte la crisi di fede, e dall’altra un problema molto pratico. Sono considerati tra quanti lasciano la Chiesa cattolica anche quanti smettono di pagare la cosiddetta “tassa sulla Chiesa”.

La tassa si chiama Kirchensteuer, ed è in vigore dal 1867, come compensazione per le perdite della Chiesa dovute al processo di secolarizzazione dovuto da Napoleone. I cattolici tedeschi, che hanno forte il senso della comunità e sentono di dover contribuire alla vita della Chiesa, non hanno mai considerato la tassa come un ‘gabello,’ ma piuttosto come un contributo perché la Chiesa mantenesse la sua indipendenza. Ora, la tassa si applica anche ad altre confessioni religiose - evangelici, cattolici, ebrei. 

Fino ai tempi moderni, quando – passo dopo passo – i cattolici tedeschi hanno cominciato a decidere di smettere di pagare la Kirchensteuer. In alcuni casi per mere ragioni economiche. In altri casi, per disaffezione verso la Chiesa di Germania.

In pratica, smettere di pagare la tassa porta ad un procedimento per cui lo Stato – incaricato di riscuotere la tassa – avverte il vescovo locale, che a sua volta cancellava la persona dalla lista delle persone cattoliche. In pratica, non pagare la tassa equivaleva ad una apostasia. Con delle conseguenze spesso inaspettate.

Per esempio, succedeva che un emigrato non fosse a conoscenza della tassa e non la pagasse. Questo portava lo Stato a fare la segnalazione al vescovo locale, che a sua volta segnalava la presunta apostasia al vescovo della parrocchia di origine. Se poi l’emigrato tornava in patria, e voleva sposarsi, non poteva più, perché considerato non battezzato. E questo a sua insaputa. Uno dei casi più famosi di "immigrato per lavoro" (seppur privilegiato) che non ha pagato la tassa è quello del calciatore Luca Toni, finito nel mirino per gli anni in cui era al Bayern Monaco

Sono storie come queste che hanno portato Benedetto XVI a riformare il procedimento. Questi revocò la scomunica latae sententiae. La Chiesa di Germania rispose con un documento che stabiliva che non pagare la Kirchensteuer era equivalente a un “grave peccato pubblico”. Cosa che in pratica portava le stesse conseguenze di una scomunica, perché il “grave peccato pubblico” non permette l’accesso ai sacramenti.

Ovvio che il sistema, visto così, ha delle pecche, e in molti pensano a riformarlo. Di certo, non a chiuderlo del tutto, perché grazie a questo sistema la Chiesa di Germania si garantisce una indipendenza anche economica, che può sviluppare in missioni in tutto il mondo. Basti pensare che la “tassa sulla Chiesa” ha portato nelle casse della Chiesa di Germania 6 miliardi di euro lo scorso anno. Una quantità dovuta al fatto che la “tassa sulla Chiesa” vale l’8 o il 9 per cento delle tasse sul reddito di ogni tedesco.

All’intervistatore che gli faceva notare che di fatto quanti non pagano la tassa in Germania sono effettivamente scomunicati, l’arcivescovo Gaenswein ha risposto che “si tratta di un problema serio. Come la Chiesa di Germania reagisce a quanti lasciano la Chiesa? Con l’espulsione automatica dalla comunità. E questo è eccessivo, abbastanza incomprensibile. Si può mettere in discussione il dogma, nessuno si preoccupa per questo, nessuno viene buttato fuori. Il pagamento della tassa della Chiesa è un peccato più grave della violazione dei pilastri della fede?”

Insomma, ha concluso l’arcivescovo Gaenswein, “per quanto la fede è il problema, allora questo è accettabile. Ma quando il denaro entra nell’equazione, allora le cose diventano più serie”.

Parole che non suonano nuove, e che hanno un riscontro immediato in quello che Benedetto XVI ha fatto durante il suo Pontificato. Restano i moniti lanciati da Benedetto XVI in Germania, durante il viaggio nella sua terra natale del 2011, quando invocò una Chiesa più libera per credere in Dio.

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