Pechino, 04 April, 2016 / 4:15 PM
Il vescovo Zeng Jingmu è morto a 96, e la notizia vera è che il governo cinese ha permesso ai fedeli di esporre il suo corpo per quattro giorni. Un dato che dimostra come forse la Cina si stia aprendo di più all’esercizio pubblico della fede cattolica sotto il governo di Xi Jinpig. Ma anche il segno che, in fondo, in una società che va sempre più in crisi – per il progressivo invecchiamento creato dalla politica del figlio unico; per la crisi economica che non mancherà di far sentire i suoi effetti; per la difficoltà stessa di controllare una popolazione sterminata – c’è bisogno di tendere una mano verso la Chiesa cattolica.
Anche se poi questa mano non è del tutto distesa. I fedeli avevano chiesto di poter esporre il corpo per 8 giorni, gliene erano stati concessi la metà. La notizia della morte di Zeng è stata data dal portale cinese Catholic Online.
Classe 1920, Zeng è entrato in seminario nel 1930, ordinato sacerdote nel 1949 e consacrato segretamente vescovo nel 1990. Arrestato decine di volte, ha trascorso circa 23 anni in carcere, sempre rifiutando di aderire all’Associazione Patriottica, la Chiesa “ufficiale” in Cina che agisce sotto il controllo del governo. Oggi, l’idea che in Cina ci siano “due Chiese”, una sotterranea e l’altra ufficiale, non rappresenta più la situazione al meglio, spiegano in Vaticano. In Cina c’è una sola Chiesa – dicono – una parte della quale è riconosciuta dal governo. Di certo uno sforzo di avvicinarsi alle posizioni governative che a volte non porta i suoi frutti.
Per esempio, il successore di Zeng, Giovanni Peng Weizhao, è stato ordinato nel 2014, è stato arrestato e rilasciato nel 2014, quando viene ordinato sacerdote. Mentre la comunità dello Jianxi è guidata in maniera ufficiale dal vescovo Giovanni Li Suguang di Nachang, ordinato nel 2010. Yujiang, infatti – la diocesi di cui era titolare il vescovo Zeng – è diventata parte della diocesi di Nanchang, che racchiude le cinque diocesi dello Jianxi.
Nonostante tutto, ci sono stati quasi segnali di scongelamento tra Cina e Santa Sede.
“La Cina adesso è più vicina”, diceva recentemente l’arcivescovo Claudio Maria Celli, che per una vita si è occupato dei rapporti sino-vaticani e che, nella recente presentazione di un libro, ha sottolineato che è vero che la fede in Cina è come in una gabbia, ma che adesso la gabbia è più grande.
Di certo, non era grande quando il vescovo Jeng Zingmu ha esercitato il suo ministero, venendo arrestato più e più volte. A 96 anni, la morte lo ha colto dopo che ha battuto la testa a seguito la caduta. Il funerale si terrà il prossimo 6 aprile.
Vescovo non riconosciuto dal governo di Pechino, e parte di quella schiera di presuli eroici che vissero in piena comunione con Roma ma non riconosciui dal governo di Pechino, Zeng Jingmu è stato arrestato diverse volte anche negli anni Novanta. Nel 1995, a 77 anni, fu arrestato in connessione con una Messa di Pasqua cui partecipavano circa 20 mila fedeli dalla provincia di Jiangxi. Fu liberato poco dopo, poi di nuovo in prigionato il 4 ottobre di quell’anno, rilasciato nell’Ottobre di quell’anno, poi di nuovo arrestato il 22 novembre, senza possibilità di trattamento medico nonostante avesse contratto la polmonite. E poi di nuovo era stato arrestato nel marzo 1996.
Fu arrestato anche nel 2000, in concomitanza con la beatificazione di 120 martiri cinesi per l’anno del Giubileo, ma anche con una visita del Cardinal Roger Etchegaray in Cina.
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