Città del Vaticano , 02 April, 2016 / 4:00 PM
Poco meno di due pagine per dare ai vescovi di tutto il mondo una chiave di lettura, degli orientamenti, per la esortazione post sinodale Amoris Laetitia che sarà resa pubblica il prossimo 8 aprile.
La Segreteria Generale del Sinodo ha inviato il testo in ogni diocesi perchè ogni vescovo possa essere preparato a diffondere la Esortazione, che sarà invita qualche giorno prima con altro materiale utile. Una lettera del Segretario Generale accompagna il testo.
Si parte dalla Evangelii gaudium, da quella affermazione per cui “dopo duemila anni, Gesù è tornato ad essere uno sconosciuto in tanti Paesi anche dell’Occidente, «conviene essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (EG 34)”.
Da qui la spiegazione che “lo stile di Papa Francesco è legato alla necessità di un «rinnovamento» e, più ancora, di una vera «conversione» del linguaggio. L’obiettivo è chiaro: far sì che il Vangelo deve essere significativo e deve raggiungere tutti. L’annuncio del Vangelo non deve essere teorico o svincolato dalla vita reale delle persone. Parlare della famiglia e alle famiglie, il problema non è quello di cambiare la dottrina, ma di inculturare i princìpi generali affinché possano essere compresi e praticati. Il nostro linguaggio deve incoraggiare e confortare ogni passo di ogni famiglia reale”.
Ecco allora altre due chiavi di lettura necessarie per la pastorale: discernimento e dialogo. “Il discernimento - si legge nel testo inviato ai vescovi- richiede di non dare per scontata una formulazione della verità né le scelte da compiere.
Spesso Papa Francesco, seguendo i suoi predecessori, ci chiede che in quanto pastori facciamo discernimento tra le diverse situazioni vissute dal nostro popolo fedele e da tutta la gente, le famiglie, le persone. Questo discernimento non è utile soltanto quando si presenta un caso eccezionale. Il discernimento è un costante processo di apertura alla Parola di Dio per illuminare la realtà concreta di ogni vita, un processo che ci porta ad essere docili allo Spirito, che incoraggia ciascuno di noi ad agire con amore, nella situazione concreta e nella misura del possibile: ci anima a crescere di bene in meglio.
Una caratteristica del discernimento ignaziano è l'insistenza a tenere in considerazione non solamente la verità oggettiva, ma anche se essa è espressa con spirito buono, propositivo. Il discernimento è il dialogo dei pastori con il Buon Pastore al fine di cercare sempre la salvezza delle pecore”.
Dialogo e pensiero “imcompleto” per lasciare spazio all’altro, quindi come chiave per leggere al esortazione, perchè “la mentalità de Papa Francesco è una mentalità dialogica. Il pensiero che lui definisce «incompleto» è eminentemente dialogico, vale a dire non autoreferenziale, non monologante, non astratto. Il dialogo è non dare per scontato non soltanto ciò che pensa l’altro, ma anche quello che noi stessi sappiamo. Francesco ci mostra due tipi di soggetto che non dialogano, perché entrambi «si riducono» a se stessi: alcuni riducono il proprio essere al loro sapere o sentire (lui lo chiama «gnosticismo»), gli altri riducono il proprio essere alle loro forze (lui lo chiama «neopelagianesimo»). Il dialogo implica la convinzione del nostro essere sociale, della nostra incompletezza individuale, che è fondamentalmente positiva, perché ci impedisce di essere esseri chiusi e ci apre all’amore da cui proveniamo”.
Tornano i temi che hanno animato il dibatitto delle due assemblee sinodali e in particolare la linea di lavoro indicata da Papa Francesco nel disocorso conclusivo del Sinodo del 2014.
C’è poi il tema della inclusione: “Ma dire che i soggetti siamo tutti non significa una mera somma di tutti gli individui; piuttosto significa la totalità intesa come popolo. Il Papa ci propone esplicitamente di soffermarci su questo modo di intendere la Chiesa: come popolo fedele di Dio. La visione che il Papa ha della società è inclusiva. Inclusione che implica lo sforzo di accettare la diversità, di dialogare con coloro che la pensano diversamente, di favorire la partecipazione di chi ha capacità diverse”.
Dialogo e discernimento si intrecciano e obbligano i pastori a discernere bene le situazioni alla scuola della Familiaris Consortio e della Sacramentum Caritatis .
Quindi c’è da comprendere che “la preoccupazione pastorale non deve essere interpretata come una contrapposizione rispetto al diritto, dunque. Al contrario: l’amore per la verità è il punto di incontro fondamentale tra il diritto e la pastorale: la verità non è astratta e si integra nell’itinerario umano e cristiano di ciascun fedele. Quella pastorale non è nemmeno una mera applicazione pratica contingente della teologia. Non si tratta di adeguare una pastorale alla dottrina, ma di non strappare alla dottrina il sigillo pastorale originario e costitutivo”.
Il linguaggio che il Papa indica come essenziale è ovviamente quello della misericordia che incarna la verità nella vita. Scopo del testo non è cambiare la dottrina quindi ma “ricontestualizzare la dottrina al servizio della missione pastorale della Chiesa. La dottrina va interpretata in relazione al cuore del kerygma cristiano e alla luce del contesto pastorale in cui verrà applicata, sempre ricordando che la suprema lex deve essere la salus animarum, come stabilisce l’ultimo canone del Codice di diritto canonico: “…avendo presente la salvezza delle anime, che deve sempre essere nella Chiesa legge suprema” (Canone 1752)”.
Insieme alle linee guida i vescovi hanno anche ricevuto alcuni brani della “Teologia del corpo” di Giovanni Paolo II dalle catechesi del 1980-82 e altri passaggi delle catechsi alle udienze generali di Papa Francesco dedicate alla famiglia in questi utimi due anni.
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