Roma, 11 January, 2025 / 2:00 PM
Lo scorso 23 maggio la Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato il riconoscimento di un miracolo attribuito a don Giovanni Merlini, che sarà il primo beato del Giubileo: “Il Sommo Pontefice Francesco, accogliendo e confermando i voti del Dicastero delle Cause dei Santi, ha dichiarato: consta il miracolo, compiuto da Dio per intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Merlini”. Quindi il venerabile don Giovanni Merlini sarà beatificato domenica 12 gennaio nell’arcibasilica papale San Giovanni in Laterano dal card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, suscitando gratitudine in don Emanuele Lupi, moderatore generale della Congregazione dei ‘Missionari del Preziosissimo Sangue’ ed in suor Nicla Spezzati, postulatrice della Causa:
“Tale notizia è per ognuno di noi fonte di grande gioia e di sentimenti di profonda gratitudine a Dio per il dono della santità offerto alla sua Chiesa nella persona del nostro amato don Giovanni Merlini, sacerdote e terzo Moderatore generale della Congregazione dei ‘Missionari del Preziosissimo Sangue’, nato a Spoleto (PG) il 28 agosto 1795 e morto a Roma il 12 gennaio 1873. Uomo di profondo discernimento e di sapienza, ha annunciato, come Missionario Apostolico, il Mistero della Redenzione ad intere popolazioni nello Stato Pontificio e nel Regno di Napoli, favorendo i miseri ed i reietti”.
Per approfondire questa beatificazione abbiamo contattato don Valerio Volpi, missionario del ‘Preziosissimo Sangue’ e direttore dell’ufficio di pastorale giovanile e vocazionale della congregazione: “Per il suo essere stato un uomo ‘tutto di Dio’ in ogni ambito della sua vita. Nella preghiera che lui stesso compone per la Congregazione scrive: ‘Signore, voglio essere tutto, tutto tuo e solo tuo’ e penso che ci sia davvero riuscito. Se è vero che i frutti della santità si riconoscono nella vita non tanto della persona interessata, quanto in quella delle anime che gli sono accanto, un uomo che ha guidato spiritualmente per 42 anni Maria De Mattias (fondatrice della congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo e proclamata santa da papa Giovanni Paolo II, ndr.), facendone una santa non può che essere qualcuno che ha vissuto di cielo. Un uomo insomma, che in tutta la sua vita non ha fatto che ricercare quello che Dio voleva da lui e dalle persone che aveva accanto. Non a caso era solito ripetere: ‘La volontà di Dio sola mi basta’. Santo perché un uomo divenuto volontà di Dio in tutto e nel concreto”.
Perché aderì alla Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue?
“Rimase affascinato dalla predicazione e dall’amabilità di san Gaspare del Bufalo che incontrò nel luglio del 1820, prendendo parte ad un corso di esercizi spirituali da lui stesso predicati nell’abbazia di san Felice di Giano, in Umbria, casa di fondazione dell’allora nascente Congregazione. Rimase colpito dal fuoco di passione e di zelo per il vangelo che quel santo uomo riusciva a trasmettere e da san Gaspare stesso si sentì rivestito di immane fiducia. A seguito di quella settimana di esercizi il fondatore gli affidò direttamente la possibilità di predicare un altro corso di esercizi al suo posto, subito dopo lo portò con sé nella missione popolare di Monte Martano. Don Giovanni si sentì investito di gratuita fiducia da parte di quello che lui stesso considerava un santo. La vita della Congregazione fu da subito, per lui, la possibilità di mettere a frutto la migliore versione del suo sacerdozio, brillando forse oltre quello che lo stesso don Giovanni si sarebbe mai aspettato”.
Per quale motivo volle che la festa del Preziosissimo Sangue si estendesse a tutta la Chiesa?
“Nei moti rivoluzionari del 1848 il papa si era trovato invischiato in fraintendimenti di quello che lui stesso avrebbe voluto dire ai cristiani. Papa Pio IX sentiva di non doversi schierare da nessuna parte rispetto alle fazioni che erano venute a crearsi perché si considerava padre di tutti. Per riaffermare questo concetto di fraternità del genere umano, secondo don Giovanni Merlini, bisognava partire dal presupposto che la comunione è un dato di partenza per i cristiani e non un punto di arrivo. Mentre tutti cercavano soluzioni umane su come poter ‘costruire’ la comunione e la fraternità, secondo don Giovanni Merlini era necessario invertire l’ottica: la comunione non è un semplice obiettivo da raggiungere, ma un dato di fatto, che ci è già stato conquistato dal sacrificio di Cristo sulla croce, da cui bisogna ripartire. Estendere la festa del Preziosissimo Sangue a tutta la Chiesa voleva dire gridare al mondo che la comunione e la fraternità non erano punti da costruire, quanto piuttosto premesse indispensabili e irrinunciabili da cui far partire ogni altro tentativo. Proprio perché le guerre e le rivoluzioni avevano sconfessato i tentativi umani di costruire comunione e fraternità, bisognava riaffermare che Cristo aveva già compiuto questa opera e che essa andava assunta come principio vitale di fondo per ogni altro pensiero o azione”.
Quale era la spiritualità di don Giovanni Merlini?
“Cento misure e un taglio, amava ripetere. Uomo di profonda preghiera era fermamente convinto che la comunione con Dio si dovesse tradurre in scelte concrete. Tanta preghiera precedeva ogni sua scelta, ma era fermamente convinto che le scelte sono il vero risultato di una vita di comunione con Dio. Ecco perché fu uomo di profonda contemplazione ma anche faro di discernimento spirituale. Una spiritualità che si nutriva della intima comunione con Dio per poter comprendere cosa Dio volesse da lui e dal cuore delle persone che a lui si rivolgevano. Un uomo ‘vuoto di sé stesso’ ma pieno di Dio. ‘Siamo canali, non fonti’, ripeteva a santa Maria De Mattias, frase in cui si vedono bene i due poli della sua vita spirituale: rimanere attaccati in intima unione alla sorgente che è Dio, e fare in modo che questo Dio si comunichi e arrivi alle anime assetate”.
In quale modo coniugò l’adorazione eucaristica con la carità?
“Nella casa di Santa Maria in Trivio era solito pregare nascosto nella cantoria che sovrasta l’altare, in modo che nessuno potesse vederlo mentre adorava il Santissimo Sacramento nel tabernacolo dell’altare maggiore. La prima carità don Giovanni l’ha esercitata da Moderatore Generale con i confratelli. Cercava di guardare tutti con gli occhi con cui si sentiva lui stesso guardato da Dio: Mi raccomando (scriveva a Maria De Mattias) usi carità con tutte, soprattutto con le anime più problematiche”.
In quale modo è stato ‘servitore dei miseri’?
“Un episodio in particolare ci aiuta a vedere il cuore di don Giovanni Merlini nei confronti dei bisognosi. Quando è stato superiore della casa di Sonnino, che era posta fuori dall’abitato, era solito attendere tutte le sere i contadini che si ritiravano stanchi dalla campagna. Don Giovanni si faceva trovare fuori dalla porta della casa di missione, con un orcio d’acqua e un mestolo: un sorso d’acqua e una parola del Vangelo per tutti quelli che passavano, perché potessero ristorarsi prima di riprendere il cammino per la salita che li avrebbe ricondotti in paese”.
Allora, come può aiutare a vivere il Giubileo don Giovanni Merlini?
“Penso che il primo e più grande insegnamento che ci viene da don Giovanni sia la necessità di imparare l’arte del discernimento. Il tema del Giubileo ci richiama alla speranza, una virtù teologale spesso confusa con l’idea del terno a lotto, di quelle frasi che suonano molto come ‘speriamo che Dio mi sia benevolo’, ‘speriamo che Dio voglia le stesse cose che mi porto nel cuore io’, ‘speriamo che vada bene’. Da don Giovanni impariamo che speranza è la capacità di saper vedere in ogni situazione quello che Dio vuole rivelarmi. E’ passare da ‘speriamo che Dio voglia’ ad ‘in quello che vivo, mi basta la tua Volontà, perché so che sarà il meglio per me’”.
(La storia continua sotto)
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