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Egidio Bandini: don Camillo in dialogo con Cristo è la lezione di Guareschi

Fernandel "nei panni" di Don Camillo

“Si era oramai sotto Natale e bisognava tirar fuori d’urgenza dalla cassetta le statuette del Presepe, ripulirle, ritoccarle col colore, riparare le ammaccature. Ed era già tardi, ma don Camillo stava ancora lavorando in canonica. Sentì bussare alla finestra e, poco dopo, andò ad aprire perché si trattava di Peppone...Peppone si sedette mentre don Camillo riprendeva le sue faccende e tutt'e due tacquero per un bel pò. Oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone. Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo. E dimenticò la galera. Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise vicino la Madonna. ‘Il mio bambino sta imparando la poesia di Natale’, annunciò con fierezza Peppone. ‘Sento che tutte le sere sua madre gliela ripassa prima che si addormenti. E’ un fenomeno’. ‘Lo so. Anche la poesia per il Vescovo l’aveva imparata a meraviglia’, ammise don Camillo”.

Prendiamo spunto dal racconto del presepe, raccontato da Giovannino Guareschi in ‘Giallo e Rosa’ apparso nel settimanale umoristico ‘Candido’ del 21  dicembre 1947, per presentare il volume ‘In dialogo con Cristo. La lezione di don Camillo’, a cura dell’associazione ‘Amici di Giovannino Guareschi’: “Questo libro è strutturato in modo molto semplice: le istruzioni per l’uso le ha scritte il nostro presidente; a queste segue un’introduzione scritta diversi annetti or sono da uno dei maggiori scrittori italiani: Alessandro Baricco. A essa seguono interventi di grandi personaggi che non sono più con noi: i cardinali Biffi e Maggiolini, oltre all’indimenticabile amico di sempre Giorgio Torelli e, per spezzare la monotonia Frate Indovino. Quindi la più straordinaria introduzione mai scritta per il Don Camillo: quella di Michele Serra per la biblioteca di Cuore. Di qui si procede in ordine alfabetico con docenti universitari esteri: il professor Alan R. Perry dell’Università di Gettysburg e la professoressa Olga Gurevich dell’Università di Mosca, traduttrice in russo del Don Camillo e della Favola di Natale”.

Al presidente dell’associazione ‘Amici di Giovannino Guareschi’, Egidio Bandini, condirettore del mensile ‘Candido’, abbiamo chiesto di raccontarci il mondo di Giovannino Guareschi: “Un mondo antico e sempre nuovo, fatto di valori irrinunciabili come la fiducia nel prossimo, il reciproco rispetto, la ricerca della verità, il coraggio di affrontare anche le situazioni più drammatiche, la solidarietà e la compassione, l’amicizia incondizionata e, alla base di tutto, la fede nella Divina Provvidenza e nelle leggi di Dio che, assieme alla Patria e alla Famiglia (entrambe con l’iniziale maiuscola) rappresentava il fondamento del piccolo mondo guareschiano che, però, dovrebbe essere grande come il mondo”.

A Firenze papa Francesco così aveva ‘dipinto’ Guareschi: ‘Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente… Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto’. Per quale motivo don Camillo era un pastore con l’odore delle pecore? 

“Perché era sempre dentro, insieme, legato al suo gregge. Riferimento per tutti, fedeli e non, credenti e scettici, don Camillo conosce tutti i suoi parrocchiani, le loro angosce e i loro dolori, le loro gioie e i loro desideri: piange con loro e ride con loro. Proprio quello che ha detto Papa Francesco”.

 

In quale modo don Camillo risvegliava la coscienza? 

“Lascio rispondere Giorgio Vittadini: … non ho potuto fare a meno di pensare ai dialoghi tra don Camillo e il Cristo del suo crocefisso, passaggi cruciali dell’opera ‘Mondo Piccolo’ di Giovannino Guareschi. Come ebbe a scrivere lo stesso autore, ‘chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma il mio Cristo cioè la voce della mia coscienza’. Don Camillo parla con Cristo di quello che gli accade, mettendo a tema le vicende tristi e liete della vita quotidiana, sue e delle persone intorno a lui: la povertà, il lavoro, la giustizia sociale, la meschinità, la sete di vendetta e in generale il male procurato dagli uomini e quello che viene dalla natura, la politica locale e quella globale. Il linguaggio della ‘coscienza di Guareschi’, espressa dal Cristo nei racconti è quello dei Vangeli. Non si impone con violenza e autoritarismo, ma partendo dall’osservazione dei fatti spinge don Camillo, spesso con ironia, a riflettere, a ragionare, utilizzando la verità che è dentro di lui”.

 

Quale era il rapporto di don Camillo con Dio? 

“Lo stesso di Guareschi: amore sconfinato e obbedienza assoluta alle leggi divine che, in quanto tali, non possono essere messe in discussione”.

 

Chi era Cristo per don Camillo? 

“La voce della sua coscienza che, poi, era la coscienza di Giovannino Guareschi perché, non dimentichiamolo, don Camillo è null’altro che il suo stesso autore”. 

 

Quale è la 'lezione' di don Camillo in dialogo con Cristo? 

“Lascio ancora una volta la parola a Giorgio Vittadini: Guareschi, in controtendenza, fa del dialogo continuo e personale con il Cristo che parla la radice stessa della personalità di Don Camillo. Don Camillo obbedisce senza sé e senza ma alla Chiesa universale, ma non può fare a meno di paragonare tutto quel che sente e tutto quel che gli capita con questa misteriosa Presenza. Così scopre che Gesù non è una idea, un concetto, una astrazione ma una Presenza reale il compagno, l’amico, l’autorità vera che lo accompagna, lo conforta, lo corregge”.

 

Concludiamo con la ‘favola di Natale’, un particolare racconto di Guareschi: “Nel dicembre 1944 Guareschi scrive la favola che viene letta e rappresentata il 24 dicembre insieme all’amico Coppola il quale ‘con la fisarmonica accompagnava le canzoncine di cui io avevo scritto il testo e che vennero eseguite da un gruppo di pezzenti come me, pieni di freddo, di fame, di nostalgia. In quella squallida baracca zeppa di altri pezzenti come noi’. Per Guareschi era il secondo Natale in prigionia e scrisse la favola per resistere con l’allegria alla tristezza sua e quella tra i compagni del lager. La nostalgia che divorava i prigionieri, era, a suo modo, nostalgia di futuro non del passato. 

 

A guerra conclusa Guareschi illustrerà la favola con stupendi disegni riprodotti che ne fanno una sorta di inedito fumetto. Tra fame e freddo Guareschi scrive la storia di Albertino, della nonna, del papà prigioniero, e delle piccole creature (buone o cattive) che vivono e parlano in un bosco fantastico. Il bambino, la nonna e il papà si incontrano a metà strada nel bosco dove, solo nella notte di Natale, si incontrano creature e sogni di due mondi nemici e rivali. Con questa convinzione si svolge il pranzo di Natale dove il panettone ha il sapore del cielo e del bosco, dove nella notte si rinnova il miracolo di Dio che si fa uomo tra gli uomini”.

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