Roma, 29 November, 2024 / 4:00 PM
“Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma”.
A poche settimane dall’apertura della Porta Santa, prendiamo spunto dall’incipit della Bolla di indizione del Giubileo, ‘Spes non confundit’ per colloquiare con don Raffaele (Lello) Ponticelli, docente di psicologia nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, psicologo e psicoterapeuta per farci raccontare il motivo per cui ‘la speranza non delude’:
“La speranza non delude perché ha le sue radici ‘in alto’, nella Risurrezione di Cristo dai morti. Già papa Benedetto XVI lo aveva ricordato parlando della ‘Grande speranza’ nell’enciclica ‘Spe Salvi’, distinta da quelle piccole, molto belle e importanti, che sostengono dinanzi alle difficoltà e alle prove, ma non reggono dinanzi all’enigma della morte. Insomma, la fede nella Risurrezione di Cristo, cuore dell’annuncio cristiano, fa la differenza”.
In quale modo la Chiesa riesce a dare una parola di speranza?
“Annunciando con umile fierezza il Vangelo di Gesù, la sua morte in Croce per amore e la sua Risurrezione. Questo annuncio, però, è credibile se accompagnato (anzi, talvolta preceduto) dalla testimonianza di donne e di uomini che sono essi stessi segni di speranza come operatori di pace e giustizia, amanti della vita dal suo sbocciare fino al suo naturale tramonto; donne e uomini che esprimono agli ammalati, ai detenuti, ai migranti, agli esuli e ai profughi, ai poveri e agli indigenti, vicinanza, tenerezza e compassione, secondo lo stile stesso di Dio. La Chiesa, poi, dona speranza quando accompagna con discrezione i giovani, li incoraggia, ne valorizza e ne custodisce i sogni, favorendo la conoscenza e l’incontro con Cristo”.
Davanti al dolore quale speranza?
“Quella innanzitutto di trovare sollievo, di non essere lasciati soli, di ricevere , per esempio, le cure mediche necessarie, fino a sempre più efficaci terapie del dolore e ad un accompagnamento affettivo, psicologico e spirituale pure nell’ora del morire. E’ importante donare una speranza che non nasconda la drammaticità del dolore e neanche la sfida che, soprattutto quello innocente, pone alla fede. C’è bisogno di una speranza che educhi ad accostarsi al dolore altrui con discrezione e verità, senza favorire il vittimismo, ma, anzi, sapendone sdoganare, assumere e rispettare i momenti di rabbia e protesta, sconcerto e delusione, silenzio e disperazione, offrendo vie per trovare un senso e non per favorire forme di fuga. A nessuno è consentito discettare con supponenza o con parole di circostanza su questo; ma ai cristiani è chiesto soprattutto di seguire l’esempio di Cristo che passò facendo del bene, ma soprattutto condividendo il dolore e trasformandolo in occasione di salvezza con il dono di sé”.
In quale modo i cristiani possono essere pellegrini di speranza?
“A quanto detto aggiungerei che è importante pregare come poveri e mendicanti per chiedere a Dio il dono della speranza per sé e per gli altri. Si diventa pellegrini di speranza imparando dai quei cristiani che sono in condizioni di minoranza od, addirittura, sono perseguitati, emarginati, lasciati soli eppure continuano a sorridere ed a ‘vedere la spiga dove gli occhi di carne vedono solo un seme che marcisce’, come diceva don Primo Mazzolari. Ma c’è tanto da imparare anche da donne e uomini di altre culture e fedi religiose che spesso custodiscono e vivono l’essenziale della speranza, animati segretamente dallo Spirito Santo”.
Nella Bolla di indizione del Giubileo papa Francesco ha sottolineato l’importanza del sacramento della penitenza: come riscoprire la bellezza di questo sacramento?
“Chiedendo a Dio di poter cercare e incontrare confessori buoni e saggi, ‘ladroni graziati’ anche essi, ma felici della misericordia di cui fanno esperienza e di cui diventano servi, non padroni; dispensatori e non censori o doganieri. Si riscopre il Sacramento della penitenza, guardando al Crocifisso e sperimentando si sentirsi amati e perdonati da Lui a prescindere, con la certezza che ci perdona sempre, sempre, sempre. Ho visto persone che hanno scoperto la bellezza di questo Sacramento abbandonando un’immagine distorta di Dio e di se stessi a partire dal Vangelo e si sono accostate alla Confessione anche dopo tanti anni, accettandone con coraggio il rischio. Sperimentare l’abbraccio di Dio che è pronto a far festa per ogni figlia e figlio che torna: c’è qualcosa di più bello?”
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