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La speranza di Chagall nella "Crocifissione bianca"

La Crocifissione bianca di Chagall

Vola, il Crocifisso "bianco” (titolo originario, "White Crucifixion") di Chagall. Sembra essere un uccello in volo, verso il Cielo, il Paradiso. Un bianco, “sporco” (le tonalità del grigio sono ben evidenti) rende questo Crocifisso un'opera pittorica unica nel suo genere. Ha qualcosa di sublime, leggero, e al contempo di presente, corporeo: la carne del Cristo crocifisso riesce a donare allo spettatore questo andamento dilemmatico dell'animo Scale, fuochi, personaggi che volteggiano attorno alla figura di Cristo che è sulla Croce. 

Tutto questo “fantasmagorico” mondo (sembra essere davvero frutto della fantasia del famoso pittore ebreo) è possibile ammirarlo dal 27 novembre, a Roma, a Palazzo Cipolla, sede del nuovo Museo del Corso – Polo museale, progetto promosso dalla Fondazione Roma. Quarta mostra della rassegna “Giubileo è cultura” a cura del Dicastero per l'Evangelizzazione, Sezione per le Questioni fondamentali dell'Evangelizzazione nel mondo, in collaborazione con la Fondazione Roma che, a ingresso libero, durerà fino al 27 gennaio. Questo dipinto (del 1938) è uno dei lavori più profondi e simbolici di Chagall, creato all'indomani della “Notte dei Cristalli”, l'inizio dell'escalation di terrore e violenza nazista antisemita.

“La Crocifissione Bianca” rappresenta, infatti, una potente riflessione sulla sofferenza e sull'unità tra le religioni, ponendo Gesù, crocifisso al centro, come simbolo di speranza universale. L'opera è particolarmente cara a Papa Francesco, che ne ha sottolineato il messaggio di fratellanza e di riconciliazione tra cultura e fedi.

 

Il pittore ebreo, bielorusso, matura la sua esperienza religiosa nel piccolo villaggio di Vitebsk prima di aprirsi al mondo culturale ed artistico del sud Europa e di accingersi a dipingere ben 105 pannelli sembra raffiguranti scene della Bibbia: “Mi è sempre sembrato e mi tuttora che la Bibbia sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora, ho sempre cercato questo riflesso nella vita e nell'arte. Per me, come per tutti i pittori dell'Occidente, essa è stata l'alfabeto colorato in cui ho intinto i miei pennelli”. A questo proposito, il filosofo Gaston Bachelard scriverà: “Chagall legge la Bibbia e subito i passi biblici diventano luce per tutti”.

Il dipinto, per la sua bellezza e per il suo profondo carattere simbolico, sembra davvero storidire lo spettatore: al centro della tela, campeggia una grande Cristo sulla Croce, che indossa un drappo simile al tallii, il mantello da preghiera ebraico. Cristo, avvolto da un fascio di luce divina, riposa in pace e porta la beatitudine nella morte. Ciò che colpisce di più e tutto ciò che avviene attorno al soggetto centrale: terrore e devastazione colpiscono il popolo eletto, mentre nel cielo, fluttuanti, ci sono diversi personaggi che sembrano alzarsi lamenti. In quel Cristo è possibile rivedere ogni perseguitato: è l'uomo di tutti i tempi, appartiene a tutti come la Bibbia e il suo messaggio. 

 

Poi, raffigurati ci sono i “pogrom”, le distruzioni dei villaggi ebrei.  Ci sono case incendiate, distrutte, capovolte, sedie rovesciate, tombe profanate, un uomo morto per terra che sembra divorato dalle fiamme. Non manca il violino, assai piccolo, accanto a tre uomini seduti vicino alle rovine delle loro case. Il violinista nella comunità ebraica chassidica il violinista accompagnava nascite, matrimoni, funerali: per Chagall, figura assai cara, “indispensabile” per le sue tele. 

 

Ma in questo terribile, atroce scenario (dove sembra quasi il mondo frantumarsi e liquefarsi, forse, in quel bianco che è colore-non colore) ecco che Chagall pone la luce della “menorah” proprio ai piedi della croce: una luce che diviene speranza . E' la speranza della rinascita: fenice che risorge e per i cattolici speranza che dopo la morte c'è Resurrezione. Il dialogo tra le fedi si “gioca” tutto su questo punto: la speranza. E non poteva che essere quest'immagine, l'icona del Giubileo ormai alle porte. 




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