Roma, 21 November, 2024 / 6:00 PM
“Ci siamo. E’ giunto il momento di rompere gli indugi e andare oltre gli oratori e i patronati nelle forme pastorali che ci sono familiari. E’ arrivato il tempo di vincere le nostalgie, salutare ‘la terra dei padri’ e procedere con coraggio in una terra pastorale nuova, in gran parte ancora da esplorare ed abitare”: così scrive lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Mauri, fondatore del Centro Studi ‘Missione Emmaus’, autore del libro ‘Campo base. L’oratorio che verrà?’, nel quale analizza la sfida che interpella la Chiesa di elaborare nuove forme e modelli pastorali in discontinuità con gli attuali.
Il testo analizza i modelli di oratorio fino ad oggi realizzati ed i fattori della loro irreversibile crisi, per poi prospettare una diversa forma pastorale, un nuovo ‘sogno’ profetico e generativo, come fu a suo tempo quello di san Giovanni Bosco. Attraverso un’analisi lucida ed appassionata, il testo ripercorre la storia dell’oratorio, prendendo in esame i due modelli che hanno caratterizzato la vicenda oratoriana moderna dalle sue origini: il modello ‘oratorio cittadella’, ovvero il tentativo di proporre un’alternativa educativa attraente alla modernità; il modello ‘oratorio carovana’, ovvero l’investimento sulla progettualità e la sinergia rinnovata tra le componenti interne all’oratorio e parrocchiali per favorire un’esperienza integrale di educazione alla fede.
Quindi si tratta di cambiare paradigma, adattandolo ai tempi: “E’ giunto il tempo di ‘non trattenere oltre’ ciò che ha concluso il suo percorso, non ‘indurire il cuore’ pastorale ma cogliere i segni dei tempi. ‘Campo Base’ è un germoglio pastorale da coltivare, da cui avviare percorsi trasformativi, luogo da cui partire verso nuove ascensioni, ed a cui ritornare, per narrare/rsi per nuovamente ripartire”.
Partendo da queste ‘provocazioni’, che scaturiscono dal libro, chiediamo al dott. Roberto Mauri di raccontarci quale ‘oratorio verrà’: “L’oratorio che verrà non sarà un ‘oratorio’, almeno nel modo in cui oggi lo conosciamo. Il cambio d’epoca che la Chiesa sta attraversando ha messo in crisi i quattro pilastri del modello su cui l’oratorio da sempre si reggeva (la figura carismatica del sacerdote, il protagonismo giovanile, il radicamento territoriale e l’identità cristiana condivisa). Oggi ‘l’oratorio è nudo!’, per parafrasare nota fiaba di Andersen, essendo venuto meno il ‘mito’ fondativo oratoriano, al di là delle difese d’ufficio. L’oratorio che verrà non potrà essere l’ennesimo aggiornamento o restyling del modello tradizionale, come più volte si è cercato di fare. Non si tratta più di ‘ripartire meglio’, si tratta di cambiare paradigma, quei presupposti ‘invisibili’ in quanto dati per scontato. Occorre lo slancio profetico di immaginare nuove forme originali di presenza e di azione pastorale giovanile, capaci di intercettare le sfide della modernità liquida”.
Per quale motivo l'oratorio è un campo base?
“Oggi l’oratorio non è un campo base, ma lo potrebbe diventare accettando di rinascere su altre basi e premesse pastorali, metodologiche e organizzative. L’oratorio, al pari di altre realtà ecclesiali è una forma pastorale appartenente a un’epoca ormai finita. Il termine ‘campo base’, al contrario, indica l’esigenza di individuare diverse forme pastorali come il già citato cambio d'epoca richiede. ‘Campo Base’ rimanda all’emergere dei cosiddetti ‘terzi luoghi’ pastorali, piccole strutture e spazi di ospitalità e di innovazione molto più flessibili rispetto alle solide tradizionali strutture pastorali cui siamo abituati, realtà leggere più simili ai moderni coworking che all’attuale organizzazione catechistico-familiar-sportivo che solitamente caratterizzano gli oratori attuali. Un Campo Base si caratterizza per la sua essenzialità, leggerezza, accessibilità, apertura. Esso nasce dalla volontà di coltivare il desiderio e non dal bisogno di risolvere problemi. ‘Campo Base’ è un modello tras-formativo, fortemente esperienziale, che mira a coniugare fraternità (lo stare insieme) e grandezza (sperimentare imprese condivise): proprio ciò che rende attraente la metafora del Campo Base”.
Quale pastorale oratoriana è necessaria per attrarre i giovani?
“La domanda è mal posta e riflette la classica impostazione centripeta oratoriana: non si tratta di attrarre i giovani, di farli venire in oratorio ma di incontrarli in chiave missionaria: si tratta di creare condizioni per ‘uscire’ e non ‘far entrare’, essere sinceramente attratti dal mondo giovanile e non attrarre. L’immagine e modello del ‘Campo Base’ rimanda non più una realtà (quella dell’oratorio) scelta e proposta perché solida e rassicurante ma ad un punto di riferimento aperto e flessibile, luogo di partenza per nuove ascensioni e di ritorno per rielaborare le esperienze vissute e favorire nuove tessiture di senso, in una ritrovata unità di corpo, vita, spirito. Un modello che privilegia la valenza trasformativa dell’esperienza, il primato dei processi rispetto ai progetti, l’utilizzo di metafore e situazioni di tipo ‘iniziatico’, per favorire una rilettura critica delle proprie esperienze umane e spirituali per una nuova tessitura di senso”.
In quale modo si può fare sprigionare la creatività dei giovani?
“Rendendoli e facendoli sentire davvero soggetti e non oggetti dell'azione pastorale, valorizzando la loro sete di libertà ed esplorazione. La creatività giovanile scaturisce quando parte dal desiderio di coniugare ricerca di senso e bellezza, nella libertà, attraverso esperienze sfidanti e la loro rinarrazione trasformativa. Vale la regola sinodale del camminare insieme, così da entrare in contatto con la sana inquietudine dell'incompletezza con la consapevolezza che ci sono ancora molte cose di cui non siamo in grado di portare il peso. La creatività dei giovani si sprigiona a partire dall’assumere una postura spirituale di ascolto, dalla consapevolezza di avere molto da imparare per rigenerare attorno a sé fiducia e credibilità”.
E’ ancora attuale per la Chiesa il ‘sogno’di don Bosco?
“Quello che è davvero attuale, addirittura urgente, per la Chiesa, e che rimarrà tale, è la disponibilità e possibilità di sognare profeticamente, come a suo tempo fece don Bosco. Il sogno profetico è uno dei linguaggi preferiti da Dio nella Bibbia, come ben sappiamo. Sappiamo però anche che non si sogna mai due volte la stessa cosa. Oggi don Bosco con ogni probabilità avrebbe altre fertili intuizioni, diverse dal metodo preventivo e formazione professionale. Il ‘sogno profetico’ di don Bosco raccoglieva la sfida della nascente questione giovanile legata all’affermarsi della modernità industriale ed urbana, mentre oggi la questione giovanile, nella modernità liquida in cui ci troviamo, si pone in termini molto diversi. Il punto critico tuttavia è un altro, ovvero nel fatto che da tempo gli oratori hanno smesso di sognare: cercano segnali di futuro guardando al loro passato e così facendo accentuano lo scollamento tra azione pastorale e vita reale dei giovani. Parafrasando l’epistemologo Michel Serres, gli oratori brillano di una luce simile a quella delle costellazioni che gli astronomi ci dicono morte da tempo”.
Cosa si propone il Centro Studi ‘Missione Emmaus’?
“Il Centro Studi ‘Missione Emmaus’ opera attraverso un approccio di accompagnamento pastorale che si differenza da una semplice proposta di formazione. Lavorare per processi significa attivare nuovi dinamismi a partire da una visione condivisa e non da semplici bisogni. Ciò si concretizza nell’affiancamento e nel sostegno dei responsabili di una realtà pastorale (parrocchia, comunità pastorale, diocesi, congregazione…) senza sostituirsi ad essi, ma facilitando e sviluppando sinergie che valorizzino le risorse presenti”.
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