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Un servizio di EWTN News

Giornata dei poveri: per Monsignor Pesce la preghiera è assunzione di responsabilità

VIII Giornata dei poveri

“La preghiera del povero sale fino a Dio… Riflettiamo su questa Parola e ‘leggiamola’ sui volti e nelle storie dei poveri che incontriamo nelle nostre giornate, perché la preghiera diventi via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza”: così inizia il messaggio di papa Francesco per l’ottava giornata dei poveri, ‘La preghiera del povero sale fino a Dio’, che si celebra domenica prossima, una preghiera che deve diventare ‘via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza’. E nei contesti di guerra questa preghiera assume la forma di un grido, di cui il Papa si fa portavoce tornando a stigmatizzare l’orrore che si vive in alcune zone del mondo.

A Monsignor Francesco Pesce, coordinatore pastorale del settore Centro della diocesi di Roma ed incaricato dell’Ufficio per la Pastorale Sociale, del Lavoro e della Custodia del Creato, chiediamo di spiegarci il motivo per cui la preghiera del povero sale fino a Dio: “La preghiera dei poveri arriva al cielo e nessuno la può fermare perché è una vocazione, una chiamata di Dio stesso; rompe l'intreccio mafioso tra la speranza dei poveri e la furbizia dei ricchi. La preghiera dei poveri non si ferma finché non è arrivata al cielo, che ricorda la Bibbia, è ‘la soddisfazione ai giusti e il ristabilimento della equità’. Noi dobbiamo metterci dentro la preghiera dei poveri: Paolo li chiama ‘coloro che attendono con amore la sua manifestazione’. La preghiera dei poveri lotta contro tanti ostacoli, ma il Signore li abbatte tutti; abbatte l’ostacolo della legge, perché i poveri non accettano più piccoli compromessi per sopravvivere; abbatte anche le barriere ideologiche, le nostre presunzioni morali e culturali”.

In quale modo si può operare per la liberazione del povero?

“La libertà religiosa, l’economia come servizio e non come prevaricazione, la giustizia sociale che garantisce equità, la pace come vocazione per il mondo intero, la dignità di ogni vita, la cura della nostra “casa comune”, la questione migratoria, la sfida della innovazione tecnologica, la difesa di una cultura e di un’etica della democrazia, sono binari che la dottrina sociale della Chiesa indica, ed entro i quali misuriamo la nostra identità di cittadini e di credenti. La dimensione politica è lo spazio nel quale verifichiamo l’efficacia della lettura dei segni dei tempi offerta dal magistero sociale della Chiesa. La convinzione è che occorre creare una realtà sociale alimentata da una visione spirituale che passa anche attraverso la capacità di far diventare le nostre proposte istanze politiche su cui confrontarsi. Non si tratta, nonostante tutto, di essere buoni; si tratta di annunciare il Regno”.

 

Come è possibile coniugare povertà e giustizia?

“Il potere sociale o quello politico, il potere economico, il potere religioso disegnano la vita di una comunità. Per questo va letto e possibilmente capito. Il potere non arriva da solo ma è pensato, voluto, conquistato e perché questo avvenga non ha bisogno solo di chi lo cerca ma di chi poi, subendolo o accettandolo, lo legittima.  Chi lo ricerca deve crearsi spazi di visibilità per comunicare perché lo richiede e che cosa offe in cambio. In questa dinamica ha bisogno necessariamente di ‘collaboratori’ chi gli riconoscono il ruolo e la funzione, che siano obbedienti e fedeli al disegno di cambiamento che il potere, economico, politico, religioso, sociale, vuole perseguire, fino a diventarne paradossalmente i garanti. E’ necessario indagare il senso profondo e la riconoscibile evidenza di questo stretto rapporto tra chi esercita e chi subisce, volutamente o no, le conseguenze di un potere”.

 

 In quale modo è possibile ‘fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro’?

“La preghiera autentica è un rapporto col Padre. La parola Padre è quella più vera e Lui la preferisce. Ma se preghiamo bene, sentiamo spesso di preferire il silenzio. La vera parola che esprime Dio è la non-parola, è il silenzio, è l’affacciarsi ai nostri limiti, e alzare la preghiera al Padre o appunto rimanere immobili e muti. La preghiera poi è assunzione di responsabilità del mondo in cui viviamo. Che cosa fa Abramo? Abramo prega Dio che risparmi la città peccatrice: ‘Ci saranno cinquanta, quaranta, trenta, venti, dieci giusti?’ Si preoccupa della città. Da bambini ci insegnavano ad abbandonare le distrazioni fuori dalla chiesa; io esorterei a riempire la preghiera di distrazioni, cioè di riempirla della premura per il mondo intero. Come facciamo ad isolarci se accanto a noi c’è un mondo che soffre, i poveri schiacciati, tante vittime di giustizia e di prepotenza? Noi dobbiamo preoccuparci di questo, pregare per questo”. 

“E come non ricordare qui, nella città di Roma, San Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783), il cui corpo riposa ed è venerato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Pellegrino dalla Francia a Roma, rifiutato da tanti monasteri, egli trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo. Non avendo nemmeno una piccola stanza dove alloggiare, dormiva abitualmente in un angolo delle rovine del Colosseo, come ‘vagabondo di Dio’, facendo della sua esistenza una preghiera incessante che saliva fino a Lui”. Per quale motivo papa Francesco nel messaggio ha proposto san Benedetto Giuseppe Labre?

“San Benedetto Giuseppe Labre ci sorregge in quella grande avventura dello Spirito che è la nostra vita di fede. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola d’amore che Dio pronuncia su di noi, sul mondo, sulla storia e che carezza come un vento leggero la nostra vita, spesso così difficile in tante giornate. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola efficace che opera ciò per cui era stata mandata. Ha testimoniato che la Parola di Dio porta in sé il gemito di ogni carne in cammino verso la pienezza, di Dio. Ha testimoniato qui a Roma che una Chiesa in preghiera con Pietro e per Pietro è una Chiesa in cammino verso il Risorto.

 

La sua testimonianza continua lungo i secoli. La nostra società vuole ispirarsi ai grandi principi dell’uguaglianza e della fraternità, cari all’Illuminismo, e ai principi cristiani, ma si trova a compiere una impossibile quadratura del cerchio. Fa finta di voler inserire in sé, dentro le proprie città, l’escluso, (l’immigrato, il clandestino, il senza fissa dimora, il carcerato) ma non ci riesce; perché non ci riesce?    

 Non ci riesce perché dovrebbe contestare se stessa, nei propri principi costitutivi, e non ne ha il coraggio, anzi meglio non ne abbiamo il coraggio. San Benedetto Giuseppe Labre ha avuto il coraggio di contestare se stesso, la società e la Chiesa del suo tempo; San Benedetto Giuseppe Labre è un testimone per ogni tempo, della dignità dell’uomo, di ogni uomo”.

Allora in quale modo è possibile ‘essere amici dei poveri’?

“Risponderei con un’altra domanda: chi sono i poveri oggi? Sono coloro che stanno sempre con noi:’I poveri infatti li avete sempre con voi’(Mt 26,11). Sono uomini e donne, nomi e cognomi, sono milioni, e rappresentano esattamente come la Parola di Dio, una spada a doppio taglio che penetra nella coscienza civile e cristiana di ognuno di noi; sono lo scandalo perenne di una società moderna che ha costruito il suo ‘accampamento’ lo ha cinto di mura invalicabili e si è lasciata alle spalle, cinicamente, di nascosto e senza pietà un mucchio di pietre scartate. Possiamo essere amici dei poveri allora stando semplicemente con loro, gettando tanta zavorra inutile, con uno stile di sobrietà nelle nostre scelte personali, e vorrei anche aggiungere, a telecamere spente, senza far vedere ogni istante sui social quello che si fa’; spesso c’è una spettacolarizzazione del servizio ai poveri, fastidiosa ,egocentrica e narcisista, che è il contrario di quello che faceva Gesù”.

 

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