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Vanità e ipocrisia allontanano da Dio. XXXII Domenica del Tempo Ordinario

Gesù e la vedova

Gesù, nel brano di vangelo di questa domenica, mette in guardia da tre atteggiamenti che entrano in contrasto con la novità del Vangelo. Innanzitutto la vanità, che ci viene presentata nell’atteggiamento degli scribi che potremmo descrivere come gli uomini dell’immagine, dell’esteriorità, del vuoto interiore. Poi l’ipocrisia davanti a Dio che si manifesta nell’ostentazione di lunghe preghiere. Vanità e ipocrisia diventano cupidigia che provoca una distanza abissale da Dio perché porta a “divorare le case delle vedove”, ossia a commettere qualsiasi ingiustizia pur di avere sempre di più. 

Davanti a queste “storture” Gesù richiama l’attenzione dei discepoli ad un gesto, apparentemente insignificante, compiuto da una povera vedova, la quale versa due spiccioli nel tesoro del tempio di Gerusalemme. Dice: “In verità vi dico, questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”.  Il Signore va oltre le apparenze. Vede la povertà di quella donna, vede il suo cuore e sa che ella non dà il superfluo a Dio, ma dona tutto, tutto quanto aveva per il suo sostentamento, per vivere. 

La diversità di comportando tra i farisei e la donna è abissale: da una parte l’ostentazione, dall’ altra l’umiltà; da una parte il superfluo che non tocca la vita, dall’altra la totalità del dono che coinvolge tutta la persona. A Dio non si deve dare né tanto né poco né nulla, ma tutto. Tutto ciò che abbiamo, infatti, è suo e anche noi siamo suoi. Siamo pronti a fidarci di Dio? Siamo pronti a mettere nelle sue mani tutto ciò che possediamo? In fondo, Dio ci ha donato la vita e ogni cosa che abbiamo. 

Non possiamo pensare di riservare al Signore solo i ritagli della nostra vita. Troppo spesso abbiamo paura di spendere la nostra esistenza al suo servizio perché riteniamo che non sia un buon investimento, o peggio ancora addirittura una perdita. 

Non si può imparare a dare tutto se non attraverso la frequentazione assidua, perseverante e quotidiana di Cristo che si è consegnato totalmente per noi. In effetti, possiamo dire che Gesù nella vedova e nel suo gesto vede l’offerta della Sua vita, il dono radicale di sé al Padre per la salvezza dell’umanità. Un dono, umanamente parlando, folle e scandaloso che nasce da una generosità senza riserve e che trova la sua giustificazione nella totale fiducia verso il Padre. Un amore, quello di Cristo, che sembra una perdita perché tanti hanno rifiutato e continuano a rifiutare Cristo o tentano di spegnere il suo amore. Ma dove tale dono di sé del Cristo viene accolto, incomincia a nascere l’uomo nuovo, che capisce qual è la vera ricchezza che dà senso al vivere e al morire.

Una vedova a Zarepta, così la prima lettura della santa Messa, dona l’ ultimo pane, una vedova a Gerusalemme dona gli ultimi denari. Queste due donne ci insegnano che dare è vivere, tenere è morire; dare è una ricchezza, tenere è povertà; dare è un guadagno, tenere è una perdita.

 

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