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Papa Benedetto XVI e l'Enciclica di Papa Pio XII sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù

Papa Benedetto XVI

“Le parole del profeta Isaia - “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3) - che aprono l’Enciclica con cui Pio XII ricordava il primo centenario dell’estensione all’intera Chiesa della Festa del Sacro Cuore di Gesù - oggi, 50 anni dopo, non hanno perso nulla del loro significato. Nel promuovere il culto al Cuore di Gesù, l’Enciclica “Haurietis aquas” esortava i credenti ad aprirsi al mistero di Dio e del suo amore, lasciandosi da esso trasformare”. Con queste parole, Papa Benedetto XVI descrive l’importanza della devozione al Sacro Cuore di Gesù, oggetto dell’Enciclica di Papa Pio XII. Documento, tra l’altro, citato anche da Papa Francesco nella sua “Dilexit nos”. Le parole di Papa Ratzinger erano rivolte al Preposito Generale della Compagnia di Gesù, Peter-Hans Kolvenbac e la lettera reca la data 15 maggio 2006. 

 

L’Enciclia di Papa Pio XII consta di un’Introduzione e di quattro parti. Nell’Introduzione vengono richiamati alcuni pregiudizi ed errori riguardanti il culto al Sacro Cuore che sono in evidente contrasto conl’insegnamento dei Sommi Pontefici (1-13). Poi, il primo capitolo: Fondamenti del culto al Cuore di Gesù nel «sacro deposito della Parola di Dio»; il secondo approfondisce i cenni storici del culto al Cuore di Gesù; il terzo capitolo si concentra  su alcune precisazioni sul culto al Cuore di Gesù; infine, l’ultimo capitolo, un'esortazione del Pontefice a promuovere l’autentico culto al Cuore di Gesù, “rimedio e salvezza di fronte ai mali del nostro tempo”. L’Enciclica di Papa Pacelli voleva ravvivare il culto e invitare la Chiesa a meglio comprenderne e attuarne le varie forme di devozione, di “massima utilità” per le necessità della Chiesa ma non solo, perché la devozione al Sacro Cuore era visto da Papa Pacelli  anche come “vessillo di salvezza per il mondo moderno”. 

 

Papa Benedetto XVI conosceva bene le pagine di quella Enciclica. E a distanza di cinquant’anni dalla sua scrittura, ribadiva con forza che “il costato trafitto del Redentore è la sorgente alla quale ci rimanda l'Enciclica “Haurietis aquas”: a questa sorgente dobbiamo attingere per raggiungere la vera conoscenza di Gesù Cristo e sperimentare più a fondo il suo amore. Potremo così meglio comprendere che cosa significhi conoscere in Gesù Cristo l'amore di Dio, sperimentarlo tenendo fisso lo sguardo su di Lui, fino a vivere completamente dell'esperienza del suo amore, per poi poterlo testimoniare agli altri”. 

Citava poi il suo predecessore, Giovanni Paolo II: “Vicino al Cuore di Cristo, il cuore umano apprende a conoscere il senso vero e unico della vita e del proprio destino, a comprendere il valore d'una vita autenticamente cristiana, a guardarsi da certe perversioni del cuore, a unire l'amore filiale verso Dio all'amore verso il prossimo”, così si era espresso il Pontefice polacco (Insegnamenti, vol. IX/2, 1986). 

Una lettera, quella di Papa Benedetto XVI, in cui faceva riferimento soprattutto all’amore di Dio che “non costituisce soltanto il contenuto del culto e della devozione al Cuore di Gesù: esso è, allo stesso modo, il contenuto di ogni vera spiritualità e devozione cristiana”. E  conoscere l’amore di Dio - continuava Papa Ratzinger - “è possibile soltanto nel contesto di un atteggiamento di umile preghiera e di generosa disponibilità. Partendo da tale atteggiamento interiore, lo sguardo posato sul costato trafitto dalla lancia si trasforma in silenziosa adorazione”. Una devozione, dunque, che non può che partire dalla preghiera. 

 

Ma Benedetto XVI non si ferma alla sola preghiera, alla sola adorazione del costato trafitto di Cristo. Grazie, infatti, a tutto ciò è possibile essere rafforzati “nel desiderio di partecipare alla sua opera di salvezza diventando suoi strumenti”. E’ la preghiera, la devozione, che divengono azione. 





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