Città del Vaticano , 25 October, 2024 / 9:00 AM
Tra i membri italiani che partecipano a questa seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi vi è anche – in rappresentanza dell’episcopato italiano – l’Arcivescovo di Milano, Monsignor Mario Delpini che per questa occasione ha tenuto un vero e proprio “diario”, pubblicato quotidianamente sul sito dell’Arcidiocesi ambrosiana.
“Alcune Chiese – scrive l’Arcivescovo di Milano - sono come vecchie zie: dopo tanto lavoro si godono la pensione. Sono generose, ma non si sentono mai abbastanza ringraziate e valorizzate. Si lamentano del mondo, dei bambini, dalle prediche lunghe. Alcune Chiese sono come giovani spose innamorate: a loro non basta mai quello che fanno per lo Sposo, sono estasiate dai figli, si rallegrano se in casa vengono gli amici dei figli e delle figlie. Al Sinodo la domanda non è se, ma dove ci sarà un futuro per la Chiesa”.
Al Sinodo poi – osserva ancora Monsignor Delpini – si parla “nella libertà amica della verità e del bene della Chiesa” e non usando “il galateo della compiacenza, la prepotenza dell’ideologia e l’isolamento della presunzione”.
Un altro passaggio significativo dei pensieri raccolti dall’Arcivescovo è quello riguardante la buona teologia: “nell’aula del Sinodo c’è il tavolo degli esperti, che sono proprio loro, i teologi. Per dire una parola alla Chiesa non bastano le buone intenzioni, le belle esperienze, il buon senso. Sono necessarie parole frutto della pazienza nello studio, della umiltà nel confronto, del silenzio in meditazione e preghiera. È necessaria la buona teologia”.
Più che il linguaggio, dopo il Sinodo – auspica Monsignor Delpini – si dovrà “cambiare la mentalità”. E l’Arcivescovo propone un esempio: “in italiano ci si domanda: quale posto occupa? e si applica alla Chiesa: quale posto occupa il vescovo, il prete, il diacono, la donna, la vita consacrata, il ministero istituito? Ma come si fa a occupare un posto se siamo un popolo in cammino? Piuttosto si dirà quale servizio rende?”.
In tutto il periodo del Sinodo, infine, l’Arcivescovo di Milano si è voluto immergere nel ruolo del mendicante. A Roma per “mendicare la rivelazione del futuro della Chiesa, il dono della gioia del Vangelo, l’incoraggiamento della comunione fraterna”.
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