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Papa Francesco agli Oblati di San Giuseppe: nascondimento, paternità e attenzione agli ultimi

L'udienza di Papa Francesco di stamattina

“Come sapete, anche la mia famiglia ha origini astigiane. Abbiamo radici comuni in quella terra di Piemonte, che ha dato i natali al vostro fondatore San Giuseppe Marello”. Con un ricordo personale, Papa Francesco ha iniziato il suo discorso ai partecipanti al XVIII Capitolo Generale della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe (detti anche “Giuseppini di Asti di San Giuseppe Marello”). 

E continua: “Come guida dei vostri lavori capitolari avete scelto la frase di San Paolo a Timoteo: «Tiricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te». Sono parole impegnative, con cui vi  riconoscete beneficiari di un dono – la santità del Fondatore, il carisma e la storia della vostra Congregazione – e vi impegnate a fare le vostre responsabilità che ne derivano: custodire e far fruttificare i talenti ricevuti lasciandoli oggi a servizio dei fratelli”. E proprio riguardo al verbo “custodire”, la memoria del Pontefice corre a San Giuseppe “che è il modello, l'ispiratore e l'intercessore della vostra Congregazione”. Di lui, sottolinea e analizza “tre dimensioni” della sua esistenza “importanti anche per la vostra vita religiosa e per il servizio che svolgete nella Chiesa”: il nascondimento, la paternità e l'attenzione agli ultimi.

 

Primo: il nascondimento. “San Giuseppe Marello ha sintetizzato questo valore con il motto:  “certosini in casa e apostoli fuori casa”, ed è molto importante. Lo è prima di tutto per voi, perché sappiate radicare la vostra vita di fede e la vostra consacrazione religiosa in un quotidiano “stare” con Gesù. Non illudiamoci: senza di Lui non stiamo in piedi”, precisa Papa Francesco. Lo sguardo, poi, si rivolge ai giovani che “non hanno bisogno di noi: hanno bisogno di Dio! E più noi viviamo alla sua presenza, più siamo capaci di aiutare loro a incontrarlo, senza protagonismi inutili e avendo a cuore solo la loro salvezza e felicità piena”. 

 

Seconda dimensione di San Giuseppe, la paternità. «Sono molto significative, in merito, le parole che San Giuseppe Marello scriveva a don Stefano Delaude: «Povera gioventù, troppo abbandonata e negletta, generazione povera crescente troppo lasciata in balia di te stessa!». Si sente qui il cuore di un padre, che si commuove di fronte alla bellezza dei suoi figli umiliati  dall'indifferenza e dal disinteresse di chi dovrebbe invece aiutarli a dare il meglio di sé”. 

 

In ultimo, l'attenzione agli ultimi. Papa Francesco sottolinea come “una delle cose che colpiscono, nel Santo sposo di Maria, è la fede generosa con cui ha accolto in casa sua e nella sua vita un Dio che, contrariamente ad ogni aspettativa, si è presentato alla sua porta nel figlio di una ragazza fragile e sprovvista di ogni possibilità di recriminazione”. Eppure, Giuseppe “ha riconosciuto la reale presenza di Dio nella loro povertà e l'ha fatta sua, anzi l'ha unita alla sua”. 

 

San Giuseppe Marello (Torino, 26 dicembre 1846 - Savona, 30 maggio 1895), di umili origini, a dodici anni, grazie a un pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona riconsce la sua vocazione. Ordinato sacerdote nel 1868 ad Asti dal Vescovo Carlo Savio, viene nominato suo segretario. Diventato vescovo di Acqui nel 1872, partecipa ai lavori del Concilio Vaticano. Prende come modello di vita religiosa San Giuseppe. E priprio a lui si ispira per la fondazione della congregazione degli Oblati di San Giuseppe (1878). Viene proclamato santo dal 2001 da San Giovanni Paolo II.

 

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