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Gli apostoli della penna: quando la fede diviene letteratura. Flannery O'Connor

Flannery O'Connor

La Scrittura, nel corso della storia della letteratura, molte volte è passata attraverso la scrittura, quella con la “s” minuscola. Le pagine di molti libri ci danno testimonianza di questo percorso. E possiamo definirlo percorso, visto che in esso confluiscono diverse biografie, esperienze del sacro, che costituiscono dapprima un cammino personale (quello dello scrittore), per poi divenire “universale”, quello del pubblico di lettori. E' interessante notare come i due termini, “Scrittura e scrittura” (con la “s” minuscola), siano stati - diverse volte - molto vicini fra loro. La letteratura, nella sua complessità di forme - prosa o poesia, ad esempio - ha raccolto prestigiose penne, menti sublimi che dal tema del sacro, della fede, hanno attinto. 

Acistampa propone un breve viaggio, un rapido volo, sulle figure più importanti (ea volte nascoste) di questa particolare tipologia di letteratura. Potremmo definirli “Apostoli della penna” : donne e uomi che con la loro scrittura hanno testimoniato la bellezza e la grandezza di Dio.

«Vedo le cose dal punto di vista dell'ortodossia cristiana. Questo significa che per me il significato della vita è accentrato nella nostra redenzione attraverso Cristo e quello che vedo nel mondo lo vedo in rapporto a questo”. Sono parole forti. Sono parole di una donna forte che ha sfidato nella sua biografia ogni tipologia di preconcetto: è la scrittrice statunitense Flannery O'Connor (Savannah, 25 marzo 1925 – Milledgeville, 3 agosto 1964) nel suo Diario che registra tale considerazione. Riassumere la vita, la spiritualità, lo stile di una scrittrice così poliedrica non è cosa semplice soprattutto perché si tratta di una figura che sfugge dalle categorie . Una vita veloce, troppo veloce (morirà a soli 39 anni per via di una malattia cronica di natura autoimmune, il lupus, ereditata dal padre scomparso quando Flannery aveva solo 15 anni) che produrrà 32 racconti, 2 romanzi, alcune prose d'occasione e più di 100 recensioni di libri per due quotidiani.  

Ogni diario già per sua natura non può che rappresentare lo scritto più intimo di uno scrittore o comunque di qualsiasi persona. Nel caso della O’Connor diviene un vero e proprio dialogo intimo soprattutto con il Signore. E con sé stessa, ovviamente. Scritto tra il 1946 e il 1947 ai tempi dell'università, è molto più di una raccolta di preghiere: è un più che singolare dialogo con Dio. "Non intendo rinnegare le preghiere tradizionali che ho detto per tutta la vita; ma le dico e non le sento... Vorrei scrivere una preghiera bellissima". Flannery O'Connor vuole spingersi ancora più in là; ancora più vicino a un Dio che guarda soprattutto alle azioni degli uomini piuttosto che alle parole. E sembra strano che un tema del genere venga sottolineato proprio da chi riesce ad armonizzare divinamente le parole stesse.  In questo scritto troviamo il colloquio silenzioso e appassionato di una giovane donna alla ricerca della propria strada per poi mettere al servizio di Dio la sua persona, la sua carriera, i suoi affetti. L’autrice scava nel profondo dei propri sentimenti; arriva ad affrontare le sue paure (come il giudicarsi mediocre, non intelligente, persino presuntuosa). Lo sfondo - che diviene, alla fine, protagonista di ogni sua parola, immagine poetica, parola scritta - rimane la fede cattolica e il suo rapporto con essa e con Dio. 

Flannery, fervente cattolica, che viveva nella Bible Belt, il Sud d’America animato e popolato dalla fede protestante. Ed è proprio in questo spazio di terra che la giovane scrittrice si procura libri di teologia cattolica. Approfondisce, esamina, entra dentro le parole della Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino, suo libro preferito. E poi c’è la scrittura, esistenziale, esistenzialmente cattolica. In una letterà del 1955 scriverà: “Scrivo come scrivo perché sono (non sebbene sia) cattolica. E’ un fatto, tanto vale dirlo a chiare lettere”. Colpisce molto la frase “E’ un fatto” quasi come a dire: “E’ così e basta, non c’è tanto da discutere”. E’ tutta la fermezza di una giovane donna che parla, “a chiare lettere”: una scrittura che arriva al nocciolo della questione, senza fronzoli, senza arabesche locuzioni e frasi. 

Due romani ha scritto Flannery O'Connor: La saggezza nel sangue, del 1952 e Il cielo è dei violenti del 1960. Solo due romanzi ma con tanto da dire. Delle sue trame scriverà: “Tutte le mie storie riguardanti l'azione della grazia su un personaggio non troppo disposto ad assecondarla, ma la maggior parte delle persone pensa che si tratti di storie dure, disperate, brutali”. Nella sua visione cristiana delle storie-trame-biografie dei personaggi che animano la scrittura della O'Connor (vite che potremmo vedere nel nostro presente così come la scrittrice le vede e le sente nel suo di presente) quasi sempre troviamo una sorta di schema che l'autrice stessa confessa: in primo luogo avviene “una caduta”, poi “una redenzione” e, infine, “ci sarà un giudizio”. E continua: “La redenzione crea un debito che va pagato. La redenzione cambia tutto. Chiunque, attraverso la sofferenza, prende parte alla redenzione. (...) La grazia è un dono che Dio elargisce gratuitamente, ma per mettersi in condizione di riceverlo bisogna imparare a rinunciare a sé stessi”. E' pura teologia che la scrittrice “distilla” nei suoi romanzi, nei suoi racconti.  

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