Perugia, 18 June, 2024 / 12:30 AM
Nello scorso maggio circa 150 catechisti dell’Umbria e delle Marche hanno partecipato al convegno, che si è tenuto alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli di Assisi, sul tema ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma’, le cui riflessioni saranno consegnate alla CEI che, dopo aver ricevuto tutte le proposte delle altre regioni d’Italia, avvierà una nuova progettazione per la catechesi a livello nazionale, come ha affermato mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, delegato della Conferenza Episcopale Umbra per la catechesi.
A don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Perugia-Città della Pieve, coordinatore della commissione per la catechesi della Conferenza episcopale umbra, abbiamo chiesto in quale modo è possibile celebrare la bontà del Signore?
Per celebrazione non intendiamo soltanto il culto liturgico sacramentale, che ha nella Eucarestia domenicale il suo punto di ‘fons’ e ‘culmen’, secondo la costituzione sulla sacra liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’; occorre anche riscoprire il culto nel suo significato paolino, ‘offrire i vostri corpi in sacrificio soave a Dio, questo è il vostro culto spirituale’. Non ci dimentichiamo che i gesti liturgici sacramentali provengono da parole, riti e materiali presi in prestito dalla vita quotidiana: il mangiare, il bere, il lavarsi, lo stare a tavola, il riposo, la festa, il pane, il vino, l’olio…
In quale modo essere Chiesa in un tempo che cambia repentinamente?
“Oggi viviamo in un cambiamento d’epoca come ci ricorda Papa Francesco. Il segno evidente di questo cambiamento è che siamo arrivati all’apice di quel processo iniziato dopo il Medioevo, con il Rinascimento, l’Umanesimo e soprattutto l’illuminismo, di separazione tra vita e fede. Questo fenomeno, che ha generato il relativismo e la scristianizzazione, ha portato al collasso quel tipo di società in cui siamo nati e cresciuti e che si riconosceva nei valori cristiani; in poche parole non viviamo più in un regime di società cristiana. Come scriveva lo scrittore francese Charles Peguy nella sua opera ‘Veronique’: ‘Noi siamo la prima generazione di una società dopo Gesù, senza Gesù’, l’affermazione finale fa tremare i polsi, perché dice ‘la verità è che ci sono riusciti’.
Dentro questo panorama, la questione della ‘Comunità’ oggi è la questione per eccellenza, al punto tale che uno dei relatori (il vescovo di Gubbio – Città di Castello, mons Luciano Paolucci Bedini), ha affermato che: ‘Occorre non tanto puntellare quelle esistenti mettendo una toppa qua e là, ma generane di nuove’. Infatti dice Gesù, che non si può mettere una stoffa nuova su un vestito vecchio. Questo è il grande problema che come Chiesa occidentale stiamo vivendo. Occorre partire da una domanda: Quale modello di comunità oggi ci aiuta meglio a rendere sperimentabile il volto di Gesù?
Quindi comunità capaci di essere ‘generative’?
“Io credo fermamente che il volto di Chiesa verso la quale stiamo andando, non per una convinta scelta pastorale ma per una realtà che si sta imponendo, è quello profetizzato dall’allora card. Joseph Ratzinger in un ciclo di trasmissioni radiofoniche in Germania nel lontano 1969, quando affermava che il futuro della Chiesa sarà nell’essere un ‘piccolo gregge’. Affermazione che poi da papa ha chiarito definendo questo piccolo gregge una ‘minoranza creativa’. Penso che come Chiesa italiana dovremmo approfondire questa modalità di Chiesa del futuro. Infatti in varie parti d’Europa è già una realtà, anche in quei paesi di antica tradizione cristiana. Interessante è l’esperienza vissuta in questi anni in Olanda e contenuta in un libro intervista al card. Willem Jacobus Eijk, ‘Dio vive in Olanda’”.
Come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social?
Non dimentichiamoci che il cuore del cristianesimo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi ‘carne’ in una località ben precisa della geografia mondiale ‘Nazareth’. I padri della Chiesa affermavano ‘Caro Cardo Salus’, cioè la salvezza viene dalla carne. Non possiamo delegare in toto l’annuncio del Vangelo e la bellezza della vita cristiana al mezzo tecnico. In questo senso tutti abbiamo sperimentato il disastro ottenuto durante il periodo della pandemia Covid, quando abbiamo ‘abituato’ la gente a ‘vedere’ in televisione la santa Messa, ed ora facciamo fatica a farla tornare in chiesa. Certamente le nuove tecnologie sono una opportunità, ma anche una sfida nel diventare nuove frontiere di evangelizzazione”.
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