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Un servizio di EWTN News

Papa Francesco a Verona: "Gli accordi di pace nascono dalla realtà, non da ideologie"

La cultura fortemente marcata dall’individualismo rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità, dove c’è forte individualismo sparisce la comunità. Chi ricopre un ruolo di responsabilità rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe e questo avvelena l’autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno. Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l’insieme della comunità e della società”. Lo ha detto Papa Francesco rispondendo alle domande di alcuni partecipanti all’incontro “Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno”, che si è svolto all’Arena della città scaligera.

“L’autorità di cui abbiamo bisogno – ha ribadito - è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri punti di forza e i propri limiti, e quindi di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione. L’autorità per costruire processi solidi di pace sa valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi. Se non c’è partecipazione le cose non funzionano, una grande sfida oggi è risvegliare nei giovani la passione per la partecipazione. Insieme. La strada per il futuro non può passare solo attraverso l’impegno di un singolo, per quanto animato delle migliori intenzioni e con la preparazione necessaria, ma passa attraverso l’azione di un popolo, in cui ognuno fa la propria parte, ciascuno in base ai propri compiti e secondo le proprie capacità”.

“È il Vangelo – ha aggiunto - che ci dice di metterci dalla parte dei piccoli, dei deboli, dei dimenticati. Con le sue azioni Gesù rompe convenzioni e pregiudizi, rende visibili le persone che la società del suo tempo nascondeva o disprezzava, non nascondere le limitazioni, e lo fa senza volersi sostituire a loro, senza strumentalizzarle. A me piace quando vedo persone con limitazioni fisiche che partecipano a questi incontri, perché Gesù non escludeva. Ognuno ha la propria voce, sia che parli con la lingua, sia che parli con l’esistenza e a volte non sappiamo ascoltarla. Per porre fine ad ogni forma di guerra e di violenza bisogna stare a fianco dei piccoli, rispettare la loro dignità, ascoltarli e fare in modo che la loro voce possa farsi sentire senza essere filtrata. Usciamo dalla cultura dell’indifferenza. Pensiamo ai bambini costretti a lavorare, ce ne sono tanti che non sanno giocare perché la vita li ha costretti a vivere così. I piccoli soffrono per colpa nostra, siamo noi i responsabili. Tutti siamo responsabili di tutti. Possiamo dare a molti il Premio Nobel del Ponzio Pilato, perché siamo maestri del lavarci le mani. Le istituzioni non sono esterne o estranee a questo processo di conversione. Il primo passo è riconoscere che non siamo noi al centro. E poi accettare che il nostro stile di vita inevitabilmente ne sarà toccato e modificato”.

“Nella nostra società – ha proseguito il Papa rispondendo ad altre domande - viviamo questa tensione: da un lato, tutto ci spinge ad agire velocemente, siamo abituati ad avere una risposta immediata alle nostre richieste e diventiamo impazienti se si verifica qualche ritardo. Nella nostra società si respira un’aria stanca, la pace non si inventa, va curata, se non la curiamo ci sarà la guerra e oggi nel mondo c’è il peccato grave di non curare la pace. Occorrerebbe a volte saper rallentare la corsa, non lasciarci travolgere dalle attività e fare spazio dentro di noi all’azione di Dio. Rallentare è l’invito a ricalibrare le nostre attese. Si tratta di fare una “rivoluzione”, la pace si fa con il dialogo:  la sfida enorme che abbiamo davanti è quella di andare controcorrente . Dobbiamo avere la pazienza di costruire la pace, la pazienza è la parola che va ripetuta continuamente”.

“Se c’è vita, se c’è una comunità attiva, se c’è un dinamismo positivo nella società, allora ci sono anche conflitti e tensioni. È un dato di fatto: l’assenza di conflittualità – ha precisato Papa Francesco - non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede. Saremo sempre chiamati a fare i conti con le tensioni e i conflitti e non si può star fermi, bisogna essere creativi. Il conflitto è una sfida alla creatività. Da un conflitto non si uscirà mai da solo, il conflitto è un labirinto da cui non si esce da soli, si esce da sopra per essere migliori. Si esce con realismo, non con l’anestesia. Spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione. Così facendo amputo la realtà di un pezzo scomodo ma anche importante. Sappiamo che l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere e frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti. Lo vediamo nella politica, in famiglia, nella società. Quando ci sono problemi bisogna parlare. Ma da soli non se ne esce. Non bisogna aver paura della pluralità. Il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura. Non temere se ci sono idee diverse che si confrontano e forse si scontrano. Lasciarci interpellare dal conflitto, lasciarci provocare dalle tensioni, per metterci in ricerca dell’armonia e non si abituati a farlo. Il dialogo ci aiuta a risolvere il conflitto, condividere la pluralità. Le dittature non ammettono la pluralità. Una società senza conflitti è una società morta”.

Il Papa ha poi abbracciato Maoz Inon, israeliano, e Aziz Sarah, palestinese. I due hanno perso familiari durante la guerra in Medio Oriente. Il primo i genitori  uccisi il 7 ottobre, il secondo ha perso il fratello.

“Davanti alla sofferenza di questi due fratelli, che è la sofferenza di due popoli non si può dire nulla. Loro – ha detto il Papa - hanno avuto il coraggio di abbracciarsi e questo non solo è coraggio ma è testimonianza di pace e un progetto di futuro. Abbracciarsi. Ambedue hanno perso i familiari con la guerra. A che serve la guerra? Non si può parlare troppo, ognuno preghi nel suo cuore per la pace e decida interiormente di fare qualcosa per far finire le guerre. I bambini nella guerra perdono il sorriso”.

“Abbiamo ascoltato le donne – ha concluso Papa Francesco - e il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano. Sono sempre più convinto che «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento. Voi tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie: la pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti. La pace non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri”.

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