Napoli, 12 April, 2024 / 9:00 AM
Napoli, “Museo delle Arti Sanitarie”. Il complesso museale è ospitato nell’edificio che era una volta conosciuto come l’ “Ospedale degli incurabili”. Qui, in queste stanze, si aggirava un dottore “speciale”, un santo dottore: Giuseppe Moscati. Ciò che è possibile vivere in questo luogo è una vera e propria immersione nel lavoro quotidiano del medico santo nato a Benevento il 25 luglio 1880 e morto nella città partenopea il 12 aprile del 1927.
Sono trascorsi 97 anni dalla sua morte, eppure nelle stanze del museo a lui dedicate, sembra che il tempo si sia fermato: una “bolla temporale” che ci permette di riflettere sulla sua preziosa arte medica. Qui, infatti, possiamo trovare custodite alcune delle sue “ricette”. Sono numerosissime. Una frase, più di tutte, colpisce la nostra attenzione: “Nulla di grave”. Una frase che ricorre molto spesso in queste ricette come quando dopo aver scritto una diagnosi di “lieve sclerosi all’apice sinistra dei bronchi”, il Moscati scrive “Nulla di grave!” sottolineato ben tre volte e con un punto esclamativo. Così Giuseppe Moscati parlava ai suoi pazienti. In quel “nulla di grave” non possiamo che trovare il Moscati preoccupato sì della condizione di salute del suo paziente, ma attento soprattutto alla sua condizione psicologica e spirituale: “Nulla di grave”, un vero e proprio ristoro dell’anima per l’ammalato che si sentiva così “coccolato”, supportato dal medico.
In un’altra ricetta si legge questa diagnosi: “Ulcera duodenale”. In questo caso, Moscati segnerà la seguente terapia: tintura di iodio, un antisettico in grado di uccidere l’helicobacter pylori che causa l’ulcera. Il fatto sorprendente è che solo nel 2005 questa cura sarà certificata come efficace per combattere questa tipologia di batterio. Moscati era già avanti nella scienza medica, un precursore.
Il curriculum di scienziato del Moscati è assai ampio, ricco di molteplici esperienze scientifiche. Si appassiona fin da subito alla ricerca scientifica, il giovane santo, e comincia a frequentare i laboratori di biochimica e fisiologia già a partire già dal secondo anno di università. I due campi scelti hanno un significato ben preciso per l’epoca in cui vive: è testimonianza di una visione lungimirante su ciò che la scienza avrebbe poi approfondito nel corso della sua storia. Basti pensare che solo all’inizio del XX secolo scienze come la fisiologia e la chimica (che fino al secolo precedente avevano seguito percorsi separati), si uniranno per portare a sensazionali scoperte. Ed è in questo fermento scientifico che il giovane Moscati indirizzò i suoi primi studi: soprattutto alla comprensione dei meccanismi che legavano fisiologia e chimica.
Nello stesso museo si trova anche un tavolo autoptico. E’ quello dell’anfiteatro anatomico dell’ospedale che si prendeva cura dei malati “incurabili”. Il dottor Giuseppe Moscati era, infatti, direttore del reparto di Anatomia patologica dell’importante struttura partenopea. Una targa colpisce subito lo sguardo: “Ero mors tua, o mors”( “Io sarò la tua morte, o morte”, questa la traduzione). Sono versi dell’Antico Testamento del Profeta Osea. Questa targa campeggiava all’ingresso della sala operatoria: un’iscrizione che lo stesso Moscati volle far mettere. Inoltre, le cronache ci narrano come Moscati si apprestava a sottoporre un corpo a un’autopsia: si segnava la fronte la Croce per il grande rispetto che nutriva davanti al corpo che avrebbe vivisezionato. Il corpo, tempio dello Spirito.
Molto spesso quando pensiamo a Giuseppe Moscati, abbiamo subito l’immagine del santo, dell’uomo di preghiera. Ma questa icongografia non è completa perché spesso è a discapito del grande uomo di scienza. Basterebbe pensare a quanto la sua ricerca medica abbia influito la teoria dell’importanza del metabolismo dei polisaccaridi per la terapia diabetica. Come altrettanti significativi sono stati i suoi studi sulla biochimica della placenta. Fra i temi trattati, anche quello della eugenetica, la disciplina che si prefiggeva di favorire e sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi dell’ereditarietà genetica. Il termine fu coniato nel 1883 da F. Galton, biologo, antropologo climatologo britannico e patrocinatore della stessa eugenetica. Moscati, a riguardo, scriverà: “Il movimento moderno sull’eugenetica, partito da una concezione altissima, quella di proteggere la razza umana dalla decadenza, propone, per conseguire questo fine, mezzi di cui alcuni appaiono lesivi della libertà umana, o dell’etica della vita, o antifisiologici. Non è senza molto scetticismo che si apprendono tali proposte, per eliminare i deboli. Sono mezzi antiumani. I cosiddetti cromosomi sanno aggrupparsi meglio di quanto non ingiungano loro gli eugenisti”. E’ la vittoria della vita sulla scienza.
“Sebbene lontano, non lascerete di coltivare e rivedere ogni giorno le vostre conoscenze. Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell’al di là! In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all’eternità della vita e dell’anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene”. Così il dottor Moscati si rivolgeva a un suo allievo in una lettera del 1922. In queste righe troviamo la sintesi di ciò che voleva dire per il santo partenopeo partecipare al progresso scientifico che deve sempre mirare “al Cielo, e all’eternità della vita e dell’anima”. Una visione scientifica che partiva dall’umanità per sfociare nella fede in un Dio creatore e primo medico. Di tutti.
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