Città del Vaticano , 21 January, 2016 / 12:10 AM
Religiosità, pietà e spiritualità popolari: Papa Francesco sottolinea questi tre concetti, riprendendo Paolo VI ma soprattutto il documento di Aparecida, incontrando i partecipanti al Giubileo degli Operatori dei Pellegrinaggi. In Aula Paolo VI, il Papa ha ancora una volta mostrato l’apprezzamento per la religiosità popolare, che è – nelle sue parole – “una genuina forma di evangelizzazione”.
Molta commozione per gli operatori dei Pellegrinaggi, nel consueto bagno di folla che il Papa si concede al termine dell’udienza. Papa Francesco sottolinea che “andare pellegrini ai santuari è una delle espressioni più eloquenti della fede del popolo di Dio”, e “manifesta la pietà di generazioni di persone, che con semplicità hanno creduto e si sono affidate all’intercessione della Vergine Maria dei Santi”.
Questa “genuina forma di evangelizzazione” della religiosità popolare ha bisogno “di essere sempre promossa e valorizzata”, nei tre poli della religiosità, pietà e spiritualità, perché “nei santuari – dice il Papa - la nostra gente vive la sua profonda spiritualità, quella pietà che da secoli ha plasmato la fede con devozioni semplici, ma molto significative. Pensiamo a come si fa intensa, in alcuni di questi luoghi, la preghiera a Cristo Crocifisso, o quella del Rosario, o la Via Crucis…”
Non si tratta di una spiritualità “di massa”, perché “il pellegrino porta con sé la propria storia”, e “chi entra nel santuario sente subito di trovarsi a casa sua, accolto, compreso, e sostenuto”. Un po’ come Anna, la madre di Samuele, che pregava con tanta intensità che il sacerdote Eli pensava fosse ubriaca. Dice il Papa: “Anna rappresenta bene tante persone che si possono incontrare nei nostri santuari. Gli occhi fissi sul Crocifisso o sull’immagine della Madonna, una preghiera fatta con le lacrime agli occhi, colma di fiducia. Il santuario è realmente uno spazio privilegiato per incontrare il Signore e toccare con mano la sua misericordia. Confessare in un santuario è toccare con le mani la misericordia”.
Come al solito, il Papa lascia una parola chiave: accoglienza, che deve essere “affettuosa, cordiale e paziente”. Gesù .- afferma il Papa – ha praticato l’accoglienza, perché “quando ci viene detto che i peccatori – ad esempio Matteo, o Zaccheo – accoglievano Gesù nella loro casa e alla loro mensa, è perché anzitutto essi si erano sentiti accolti da Gesù, e questo aveva cambiato la loro vita”.
Il Papa ricorda che il libro degli Atti degli Apostoli si conclude con la scena di San Paolo che a Roma accoglieva tutti quelli che venivano da lui, anche se era un prigionieri. “L’accoglienza – sottolinea il Papa - è davvero determinante per l’evangelizzazione”. E va praticata al pellegrino che spesso arriva al santuario “stanco, affamato, assetato” e per questo “ha bisogno di essere accolta bene sia sul piano materiale sia su quello spirituale. È importante che il pellegrino che varca la soglia del santuario si senta trattato più che come un ospite, come un familiare. Deve sentirsi a casa sua, atteso, amato e guardato con occhi di misericordia. Chiunque sia, giovane o anziano, ricco o povero, malato e tribolato oppure turista curioso, possa trovare l’accoglienza dovuta, perché in ognuno c’è un cuore che cerca Dio, a volte senza rendersene pienamente conto”.
Ma l’accoglienza più importante è quella dei confessori, perché – dice il Papa – “il santuario è la casa del perdono, dove ognuno si incontra con la tenerezza del Padre che ha misericordia di tutti, nessuno escluso. Chi si accosta al confessionale lo fa perché è pentito del proprio peccato. Sente il bisognoso di accostarsi al confessionale. Percepisce chiaramente che Dio non lo condanna, ma lo accoglie e lo abbraccia, come il padre del figlio prodigo, per restituirgli la dignità filiale”.
E dunque Papa Francesco incoraggia i sacerdoti che svolgono il ministero dei santuari ad “avere il cuore impregnato di misericordia; il loro atteggiamento dev’essere quello di un padre”.
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