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Un albero di melo in Vaticano in memoria della famiglia Ulma

La piantumazione dell'albero di melo generato da quello innestato da Józef Ulma nei Giardini Vaticani, 6 marzo 2024

Józef Ulma aveva piantato un albero di melo nel giardino della casa della sua famiglia a Markowa, lì dove aveva nascosto, in un posto strettissimo, anche due famiglie di amici ebrei. E proviene dai semi di quel melo l’albero piantato nei giardini vaticani lo scorso 6 marzo, a ricordo duraturo del martirio della famiglia di “samaritani”, marito, moglie e sette bambini, incluso quello non ancora nato e che non si sa per quanto tempo vide la luce al momento della morte della madre.

Dopo la beatificazione del 10 settembre, la memoria della famiglia Ulma si perpetua anche nei Giardini Vaticani, in un fazzoletto di terra che si distende alle spalle della grotta di Lourdes, e dalla quale, non lontana, si staglia la tomba di San Giovanni. Il melo di Jozef Ulma è il primo albero da frutto piantato in Vaticano, se si eccettua l’ulivo piantato da Papa Francesco, il presidente israeliano Ariel Sharon e il presidente palestinese Mahmoud Abbas nel 2014. Ed è il segno che il seme che muore porta molto frutto, parte di una campagna della regione di Podkparpacie dal titolo “Li riconoscerete dai loro frutti”. Da quel melo originario sono stati piantumati altri 100 alberi di melo, in varie istituzioni (uno nel giardino del Palazzo Presidenziale di Varsavia), in Europa e persino negli Stati Uniti, a testimonianza che il martirio dei “samaritani di Markowa” è un segno vivo nella memoria di tutti.

Gli Ulma, Jozef, Wiktoria e i loro figli Stanisława di 8 anni, Barbara di 7 anni, Władysław di 6, Franciszek di 4, Antoni di 3, Maria di 2, e il bimbo senza nome che vedeva la luce forse nel momento del martirio della madre, furono trucidati dai tedeschi nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, insieme alle due famiglie ebree che nascondevano dal 1942. Sono giusti tra le nazioni dal 1995, e sono beati dal 10 settembre 2023.

La loro storia e la loro beatificazione ha rappresentato anche un momento fondante della storia polacca, di cesura con il passato e con le accuse di antisemitismo nate dalla campagna comunista, ma anche cesura dal periodo dell’occupazione nazista. Dopo la beatificazione, lo scorso settembre, in un momento molto toccante, fu lo stesso presidente Andrzej Duda a visitare il cimitero ebraico dove si trovano anche le famiglie ebree uccise dai nazisti. E non è un caso che lo stesso presidente Duda abbia inviato un messaggio alla cerimonia di piantumazione del melo in Vaticano, lodando l’amore eroico degli Ulma e di “migliaia di altri eroi silenziosi”, con l’auspicio che siano “faro di speranza per tutti coloro che temono la diffusione del male nel mondo”.

Alla cerimonia era presente il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che ha letto un testo molto personale, incentrato sulla storia della famiglia Ulma, in cui ha ricordato che Jozef Ulma, a chi lo intimava di non nascondere gli ebrei per non mettersi nei guai, rispondeva: “Questa sono persone, non le butterà mai fuori”.

Il Segretario di Stato vaticano ha detto di provare “una vera ammirazione per la testimonianza di questa famiglia. Vogliamo anche rendere omaggio a tutti coloro che, in momenti tragici della storia, hanno rischiato la vita per aiutare i perseguitati, e in particolare gli ebrei, durante la Seconda Guerra Mondiale”.

“Gli Ulma – ha proseguito Parolin - furono denunciati, una pattuglia di gendarmi nazisti giunse alla loro casa. Furono tutti uccisi: prima gli otto ebrei, quindi Wiktoria e suo marito, in modo che gli abitanti del villaggio vedessero la punizione che attendeva chi nascondeva gli ebrei. I sei bambini cominciarono a urlare ma anche loro vennero assassinati. In pochi minuti morirono 17 persone incluso il settimo figlio degli Ulma, ancora nel grembo materno nella fase finale della gravidanza. Anche a questo piccolo mai nato il cui nome è noto solo al cielo, è stata riconosciuta la palma del martirio”.

In particolare, il Cardinale Parolin si è soffermato sulla figura di Józef Ulma, definito “un grande attivista sociale e un grande innovatore”, specializzato nella coltivazione di ortaggi e frutta e nell’apicoltura, e appassionato fotografo. In fondo, è grazie a lui se abbiamo così tante foto della famiglia Ulma, perché lui si era costruito una fotocamera e un laboratorio fotografico e ritraeva la sua famiglia, nonché scene di vita vissuta del suo villaggio.

Il Cardinale Parolin ha voluto omaggiare così “tutti coloro che nei momenti tragici della storia hanno messo a rischio la propria vita per aiutare i perseguitati, e durante la Seconda Guerra mondiale soprattutto gli ebrei”.

Infine, il Cardinale ha sottolineato: “Tutte le ideologie totalitarie recano ovunque e sempre odio, sofferenza e morte, e causano tragedie devastanti. La mia speranza è che questa iniziativa, grazie all’esempio e all’intercessione dei beati martiri Ulma ci aiuterà a vivere le parole di Nostro Signore: ‘Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. È l’unica strada per costruire un mondo più giusto, più solidale, più fraterno”.

E poi, spontaneamente, prima della benedizione finale, il Cardinale ha chiesto di recitare tre Gloria per la famiglia Ulma, pregando Dio perché “ci aiuti a vivere con gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti degli Ulma. È l’unica maniera per costruire qualcosa di nuovo, questo amore che si sa spingere fino al dono della propria vita... È una storia sconvolgente questa della famiglia Ulma, ma che è di grande esempio per tutti noi e soprattutto in questa situazione del mondo in cui ci troviamo”.

L’arcivescovo Adam Szal di Przemyśl, l’arcidiocesi sotto la cui amministrazione è il villaggio di Markowa, ha definito questa cerimonia “una continuazione della beatificazione” della famiglia Ulma.

All’evento hanno partecipato, tra gli altri: L'Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede Adam Kwiatkowski, il Maresciallo del Voivodato della Podkarpackie Władysław Ortyl, il vicepresidente dell'Istituto della Memoria Nazionale Mateusz Szpytma, nipote di un fratello di Wiktoria Ulma, e il sottosegretario al Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita Gabriella Gambino.

Dopo la beatificazione, si lavora per la canonizzazione. Padre Witold Burda, postulatore della causa, dice ad ACI Stampa che sono state già inviate 1000 reliquie della famiglia Ulma in tutto il mondo, e che dal giorno della beatificazione ha trascorso probabilmente “solo due domeniche a casa, perché il resto del tempo sono chiamato a raccontare la storia della famiglia Ulma”.

Per la canonizzazione ci vuole un miracolo attribuito all’intercessione degli Ulma avvenuto dopo la beatificazione, ma prima di tutto, spiega padre Burda, si deve lavorare “alla diffusione del culto e alla formazione culturale sulla storia della famiglia Ulma”. Una storia ancora viva, che può essere testimonianza forte in un mondo diviso e ancora non riconciliato.

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