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Papa Francesco, quali sono state le riforme del 2023?

Una veduta dello Stato di Città del Vaticano

Forse il documento più di impatto del 2023, decino anno di pontificato, è stato la Fiducia Supplicans, la dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede che apre a benedizioni “non ritualizzate” per persone in coppie irregolari o omosessuali. Tuttavia, si è trattato di un documento dicasteriale, non di una scelta di governo di Papa Francesco. Che pure nel 2023 ha legiferato. Eccome se ha legiferato.

Sappiamo che il Papa predilige i motu propri, ovvero i documenti che nascono dalla sua volontà, per cambiare una legge. Poche consultazioni, poco coinvolgimento degli altri dicasteri, poca struttura documentale se non la volontà del Papa. Ebbene, nel 2023 Papa Francesco ha pubblicato ben 14 motu propri, con riforme varie, che danno un po’ il senso di quello che vuole essere il pontificato.

Possiamo raggruppare i motu propri in quattro diverse categorie: i motu proprio che vogliono rivoluzionare la cultura cattolica, i motu propri che cambiano l’ordinamento vaticano, i motu propri che risistemano le finanze vaticane, e i motu propri “tecnici”, che servono ad implementare alcune riforme già in atto.

La costante di questi motu propri è che tutti portano ad una centralizzazione delle decisioni sulla figura di Papa Francesco. Non solo. I motu propri del Papa riprendono a volte dei linguaggi desueti, che riportano in auge persino la figura del “Papa re”, e in molti casi sono conseguenti a decisioni estemporanee, ovvero regolarizzazioni di decisioni irregolari o di situazioni difficili da gestire.

Motu propri per il cambiamento culturale

Per quanto riguarda i motu propri che puntano alla rivoluzione culturale, il più importante è l’Ad Theologiam promovendam che approva i nuovi statuti della Pontificia Accademia di Teologia.

Il motu proprio chiede proprio un nuovo approccio alla teologia, addirittura chiede alla teologia di aprirsi ad usare i linguaggi di altre discipline, implementando il tema della transdisciplinarietà che c’era già nella Veritatis Gaudium, l’istruzione sulle università pontificie che reca la data del 2018.

Quello che Papa Francesco chiede è un cambio di paradigma, un modo nuovo di approcciarsi alla teologia.

Se questo è il documento per un cambio di prospettiva culturale, ci sono due documenti “tecnici” che però rientrano in questo tema: il decreto di nomina del Consiglio Superiore di Coordinamento della Pontificia Università Lateranense dall’1 agosto 2023, e il decreto di nomina del Delegato Pontificio presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma del 14 settembre 2023. Sono due motu propri che sono parte dell’intenzione di riformare le università pontificie, e metterle a rete – un tema che si trova anche nella lettera di nomina che Papa Francesco ha inviato al nuovo rettore della Pontificia Università Laternanense Amarante.   

C’è poi il decreto circa le realtà di formazione al sacerdozio nel territorio della diocesi di Roma e la nomina del rettore del Pontificio Seminario Maggiore, pubblicato il 4 luglio. Anche qui, Papa Francesco propone il suo modello di formazione, e addirittura chiama come rettore del seminario un sacerdote dell’hinterland milanese che lui conosce personalmente, e che promuove per l’occasione a vescovo. Anche la formazione della diocesi di Roma, insomma, diventa un tema principalmente papale.

Motu propri per il cambiamento dell’ordinamento giudiziario

Il 13 maggio 2023 viene promulgata una nuova legge fondamentale dello Stato di Città del Vaticano. Siamo nella seconda categoria dei motu propri, ovvero quelli che cambiano l’ordinamento costituito.

Su questa legge vale la pena soffermarsi, perché sembra mettere in atto quello che è

un processo di “vaticanizzazione della Santa Sede”. È una sorta di rivoluzione copernicana, che rovescia di fatto un principio fondamentale. Lo Stato di Città del Vaticano è stato infatti concepito come al servizio della Santa Sede, la sua esistenza garantisce una sovranità non solo formale. Ma Papa Francesco ha reso lo Stato sempre più centrale con una serie di decisioni solo apparentemente marginali. Decisioni che hanno rovesciato la prospettiva, e che fanno dello Stato l’entità centrale, con la Santa Sede che deve dare seguito.

L’ultima Legge Fondamentale era stata approvata da Giovanni Paolo II nel 2000, ed aveva uno scopo preciso: riconoscere che l’impegno del Papa era proiettato verso una dimensione universale, e non quella del monarca di uno Stato, e che queste incombenze, poteri si direbbe, venivano lasciati ad una commissione, composta da cardinali perché alla pari con il Papa e con la stessa potestà di governo.

La legge fondamentale di Giovanni Paolo II rispecchiava un percorso di progressivo allontanamento delle incombenze della gestione ordinaria dalla figura del Papa. Questo percorso era cominciato nel 1939 con Pio XI, che passò da una gestione fatta con l’aiuto di un governatore a quella di una commissione cardinalizia. Quindi, Giovanni Paolo II affidò le sue prerogative al Segretario di Stato nel 1984, fino poi a promulgare la nuova legge fondamentale nel 2000. 

Con Papa Francesco, però, si torna ad un ruolo centrale del Papa, l’unico che ha poteri, mentre gli altri hanno funzioni. Non solo. Le funzioni di governo sono affidate ad una commissione, ma questa non è più cardinalizia, fedeli al principio che è la missione a dare l’autorità, come stabilito nella costituzione apostolica Praedicate Evangelium. Ma il punto non riguarda tanto l’inclusione di laici uomini e donne nelle strutture di governo.

La nuova Legge Fondamentale elimina tutti i riferimenti alla Segreteria di Stato tranne uno, centralizza tutto sulla figura del Papa, e sottolinea che “lo Stato della Città del Vaticano assicura l’assoluta e visibile indipendenza della Santa Sede per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo e ne garantisce l’indiscutibile sovranità anche nel campo internazionale”.

In pratica, la legge stabilisce la necessità dello Stato per garantire l’indipendenza della Santa Sede. Di fatto, però la Santa Sede ha avuto una indipendenza e una sovranità anche senza Stato e senza territorio.

Altra riforma che ha cambiato l’ordinamento giuridico è il motu proprio sulle modifiche alla normativa penale e all’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 12 aprile 2023.

Prima, si doveva essere appartenenti alla Segnatura Apostolica – il Supremo Tribunale della Chiesa – per poter essere nominato giudici della Cassazione vaticana, costituita dal prefetto della Segnatura, e che assumeva le funzioni di presidente, e da altri due cardinali membri dello stesso tribunale designati dal presidente per un triennio, nonché da due o più giudici applicati nominati per un triennio. In questo modo si assicurava l’accordo del diritto vaticano con il diritto canonico.

Ora si è stabilito che la Corte di Cassazione sia costituita da quattro cardinali nominati per un quinquennio dal Papa, il quale designa tra essi il presidente, nonché da due o più giudici applicati nominati per un triennio.  

La modifica era la terza di Papa Francesco sull’ordinamento giudiziario vaticano, dopo la grande riforma del 2020 e quella del 2013 ereditata da Benedetto XVI. Da notare che il Papa ha anche cancellato con un colpo di penna una delle più grandi novità della legge del 16 marzo del 2020, ovvero la presenza a tempo pieno di almeno uno dei magistrati ordinari del tribunale e di uno dei componenti dell’ufficio del Promotore di Giustizia. 

Motu propri per la gestione finanziaria

(La storia continua sotto)

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Il 20 febbraio 2023, Papa Francesco promulga il motu proprio “Il diritto nativo”. Il motu proprio

ribadisce semplicemente che non c’è ente vaticano o collegato al vaticano che possa considerare i beni come propri, ma piuttosto che tutti gli enti debbano avere chiaro in mente quello che hanno è in realtà parte di un perimetro più vasto.

Perché allora serviva un motu proprio? Papa Francesco aveva cominciato una progressiva centralizzazione della gestione dei beni della Santa Sede, secondo un progetto che era già del Cardinale George Pell come Prefetto della Segreteria per l’Economia.  

Già a dicembre 2020, Papa Francesco aveva deciso che la gestione dei beni generalmente amministrati dalla Segreteria di Stato doveva essere passata all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, una sorta di “banca centrale” del Vaticano.

Quindi, con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, Papa Francesco stabiliva un principio di centralizzazione, che poi veniva ulteriormente precisato con un rescriptum (una nota scritta di suo pugno dal Papa) dell’agosto 2023. In questo rescriptum si stabiliva che “tutte le risorse finanziarie della Santa Sede e di istituzioni collegate con la Santa Sede devono essere trasferite all’Istituto delle Opere di Religione, che è da considerarsi l’unico ed esclusivo ente intitolato ad attività di gestione patrimoniale e depositario del patrimonio mobiliare della Santa Sede e delle istituzioni collegate con la Santa Sede.

Una sola gestione, un solo istituto finanziario collegato (lo IOR, vale la pena di ricordare, non è una banca). In questo modo il Papa intendeva anche rispondere a varie situazioni che si erano create nel corso degli anni, e in particolare a quelle che sarebbero emerse durante il processo per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato.

Prima, la Segreteria di Stato gestiva personalmente le sue risorse, come organo di governo, Propaganda Fide era dotato di totale autonomia finanziaria per gestire liberamente i soldi che andavano alle missioni, le risorse del Governatorato dello Stato di Città del Vaticano erano in un bilancio dedicato – e non ce n’è uno dal 2017.

Le perdite del bilancio di missione erano coperti dagli attivi di altri fondi, anche dell’Obolo di San Pietro, secondo un principio di collaborazione tra tutti gli organismi vaticani.

Secondo il motu proprio, i beni della Santa Sede “hanno natura pubblica ecclesiastica”, e sono considerati beni a destinazione universale, e “gli enti della Santa Sede li acquisiscono e utilizzano, non per loro stessi, come il privato proprietario, ma, nel nome e nell'autorità del Romano Pontefice, per il perseguimento delle loro finalità istituzionali, del pari pubbliche, e quindi per il bene comune e a servizio della Chiesa Universale".

Una volta che sono stati loro affidati, dice infine il Motu proprio, "gli enti li amministrano con la prudenza che la gestione della cosa comune richiede e secondo le regole e le competenze che la Santa Sede si è data, di recente, con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium e, ancor prima, con il lungo cammino delle riforme economiche e amministrative".

Con questo motu proprio, è caduto un principio che aveva governato le finanze vaticane in epoca moderna, ovvero la diversificazione degli investimenti e delle risorse, delineato in modo da permettere l’autonomia della Santa Sede.

I motu propri per implementare riforme già in atto

Il 2 aprile 2023, Papa Francesco ha promulgato il motu proprio recante con cui si modificano i termini di ricorso del membro dimesso da un istituto di vita consacrata, mentre il 25 marzo c’era stato un aggiornamento della Vos Estis Lux Mundi, che nel 2019 aveva introdotto alcune norme per prevenire e contrastare gli abusi sessuali contro i minori e gli adulti vulnerabili.

L’aggiornamento ha luogo dopo quattro anni di sperimentazione. Molte modifiche sono state introdotte per armonizzare il testo delle procedure contro gli abusi con le altre riforme normative introdotte dal 2019 ad oggi, in particolare con la revisione del motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” (norme emendate nel 2021); con le modifiche al Libro VI del Codice di Diritto Canonico (riforma del 2021) e con la nuova Costituzione sulla Curia Romana, “Praedicate Evangelium” (promulgata nel 2022).

Il 16 aprile 2023, Papa Francesco pubblica la lettera apostolica in forma di motu proprio Iam Pridem, che muta alcune norme del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali sui vescovi che hanno raggiunto gli ottanta anni di età nel Sinodo delle rispettive Chiese sui iuris.

Con le modifiche quindi, anche per i Patriarchi, gli Arcivescovi Maggiori, i Vescovi eparchiali e gli Esarchi scatta al compimento dell’ottantesimo anno di età l’impossibilità di avere voce attiva all’interno del Sinodo dei Vescovi, e anche nell’elezione della terna da presentare al Romano Pontefice per la nomina dei Patriarchi, dei Vescovi e dei candidati agli uffici di Vescovo eparchiale, di Vescovo coadiutore, o di Vescovo ausiliare. È una equiparazione della norma che sottolinea come i cardinali ultraottantenni non possano eleggere il Papa.

Il 2 aprile, Papa Francesco con un motu proprio modifica i termini di ricorso del membro dimesso da un istituto di vita consacrata, che allunga i termini per la presentazione del ricorso da parte dei consacrati dimessi.

Con la Vocare Peccatores del 20 marzo 2023, Papa Francesco ha riformato il Diritto Penale delle Chiese Orientali, che armonizzava la disciplina orientale con quella latina. Un lavoro che era cominciato già con Benedetto XVI, con norme che determinano molto più chiaramente quando deve intervenire l’autorità ecclesiastica nel caso dei delitti, e anche le pene sono più chiare e meglio determinate.

Tra gennaio e febbraio dello scorso anno, infine, Papa Francesco ha promulgato un decreto per l’assegnazione dei settori, degli ambiti e servizi pastorali ai vescovi ausiliari della diocesi di Roma (6 gennaio) e il regolamento della Commissione Indipendente di Vigilanza del Vicariato (14 febbraio), due motu propri che sono una diretta conseguenza della riforma del Vicariato della Diocesi di Roma. Riforma, anche in quel caso, che accentrava il ruolo del Papa, facendo del Vicario solo un ausiliare tra i tanti.

Merita invece una menzione a sé la lettera apostolica in forma di motu proprio con la quale vengono modificati i canoni 295-296 relativi alle prelature personali dell’8 agosto 2023.

È un provvedimento che tocca l’Opus Dei, finora unica prelatura personale della Chiesa. Papa Francesco, con la Costituzione Praedicate Evangelium, aveva affidato al Dicastero per il Clero la competenza delle prelature personali, e poi il 14 luglio 2022, con un altro motu proprio chiamato Ad Charisma Tuendum, il Papa aveva stabilito delle norme per istituire la prelatura personale secondo la nuova organizzazione di Curia.

Con il decreto, la prelatura personale cambia il suo profilo. Diventa una prelatura solo di sacerdoti, mentre l’Opus Dei è una struttura composta da sacerdoti e laici, uniti da una vocazione comune e da una complementarietà di funzioni. Non si tratta, insomma, di un raggruppamento di sacerdoti che chiama alcuni laici a collaborare.

L’Opus Dei ora è chiamato ad una difficile riforma degli Statuti e una ulteriore trasformazione dopo quelle che lo avevano portato a costituirsi nella Chiesa come prelatura personale.

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