Città del Vaticano , 16 December, 2023 / 5:46 PM
Il Cardinale Angelo Becciu è stato condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione, 8 mila euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Una sentenza dura, che sicuramente sarà appellata dagli avvocati convinti della “totale innocenza del cardinale”, e che riguarda solo una parte dei reati contestati, e in buona parte riqualificati dal Tribunale vaticano.
Al termine di una camera di consiglio durata circa quattro ore, dopo aver inaugurato l’udienza 86 ringraziando tutti per la collaborazione e ribandendo l’importanza del dibattimento in aula, il presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone legge una sentenza che, in realtà, ha molte assoluzioni e molti capi di imputazione riqualificati, ma che di fatto assolve completamente solo monsignor Mauro Carlino, che fu segretario del Cardinale Becciu quando questi era sostituto e che fu chiamato poi dall’arcivescovo Edgar Pena Parra, successore di Becciu come sostituto, ad aiutarlo a risolvere la questione dell’investimento immobiliare a Londra.
Prima di entrare nei dettagli delle questioni, guardiamo alle condanne.
La sentenza
René Bruelhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente presidente e direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria all’epoca dei fatti contestati, ricevono solo una multa di 1750 euro. Enrico Crasso, il broker che per conto di Credit Suisse prima e poi in altre vesti gestiva i fondi della Segreteria di Stato vaticano, è condannato alle pena di sette anni di reclusione e 10 mila euro di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Raffaele Mincione, cui era stato affidato il fondo che poi fu destinato all’acquisto di quote dell’immobile di Londra, a cinque anni e sei mesi di reclusione, ottomila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Fabrizio Tirabassi, l’officiale della amministrazione della Segreteria di Stato che fu coinvolto dai superiori nelle trattative, è condannato a sette anni e sei mesi di reclusione, diecimila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Nicola Squillace, avvocato, coinvolto da Gianluigi Torzi nella compravendita, ha una pena sospesa di un anno e sei mesi.
Gianluigi Torzi, il broker che rilevò la gestione delle quote dell’immobile da Mincione per conto della Segreteria di Stato, è condannato a sei anni di reclusione, 6 mila euro di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici e sottoposizione alla vigilanza speciale per un anno.
Cecilia Marogna, la sedicente “agente segreta” che ricevette un compenso di 500 mila euro per una operazione di liberazione di una suora rapita in Mali e che secondo l’accusa avrebbe usato per sé, è condannata a 3 anni e 9 mesi di reclusione con interdizione temporanea dai pubblici uffici per lo stesso periodo.
La società della Marogna, la Logsic Humanitarne Dejavnosti D.O.O. pagherà una multa di 40 mila euro e ha divieto di contrattare con le autorità pubbliche per due anni.
Inoltre, il Tribunale ha ordinato la confisca per equivalente delle somme costituenti corpo dei reati contestati per oltre 166.000.000 di euro complessivi. Gli imputati sono stati infine condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, liquidati complessivamente in oltre 200.000.000,00 di euro.
Da cosa si partiva?
Ecco chi erano i dieci imputati, e le relative richieste di condanna: il Cardinale Angelo Becciu (7 anni e 3 mesi), il finanziere Raffaele Mincione (11 anni e 5 mesi), il broker Gianluigi Torzi (7 anni e 6 mesi), il gestore di Credit Suisse Enrico Crasso (9 anni e 9 mesi), i dipendenti della segreteria di Stato monsignor Mauro Carlino (5 anni e 4 mesi) e Fabrizio Tirabassi (13 anni e 3 mesi), gli ex vertici dell’antiriciclaggio vaticano Aif (ora Asif) René Bruelhart (3 anni e 8 mesi) e Tommaso Di Ruzza (4 anni e 3 mesi), l’avvocato Nicola Squillace (6 anni), la sedicente agente segreta Cecilia Marogna (4 anni e 8 mesi).
I tre tronconi del processo
Il processo si divide in tre tronconi principali. Il primo riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che – inizialmente all’oscuro della Segreteria di Stato – mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il pieno controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.
Il secondo filone si concentra sul contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.
Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.
Il processo ha esaminato fatti accaduti tra il 2012 e il 2019. Le difese hanno più volte lamentato che sono stati trascurati personaggi che avrebbero dovuto sedere tra i banchi degli imputati e non tra i testimoni, a partire da monsignor Alberto Perlasca, l’ex capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Fu Perlasca a firmare i contratti per l’acquisto integrale del palazzo di Londra su una stima di circa 230 milioni.
Il dispositivo di sentenza del Tribunale
Il Tribunale vaticano, subito dopo la sentenza, ha inviato un comunicato attraverso la Sala Stampa della Santa Sede.
Il Tribunale ha sottolineato che riguardo la questione del Palazzo di Londra, “il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di peculato (art. 168 c.p.) in ordine all’uso illecito, perché in violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici (ed in particolare del canone 1284 C.I.C.), della somma di 200.500.000 dollari USA, pari a circa un terzo delle disponibilità all’epoca della Segreteria di Stato”.
Il Tribunale sottolinea che “detta somma è stata versata tra il 2013 e il 2014, su disposizione dell’allora Sostituto mons. Giovanni Angelo Becciu, per la sottoscrizione di quote di Athena Capital Commodities, un hedge fund, riferibile al dr. Raffaele Mincione, con caratteristiche altamente speculative e che comportavano per l’investitore un forte rischio sul capitale senza possibilità alcuna di controllo della gestione”.
Per questo, Becciu e Mincione sono stati ritenuti colpevoli di peculato. Mincione, in particolare, “era stato in relazione diretta con la Segreteria di Stato per ottenere il versamento del denaro anche senza che si fossero verificate le condizioni previste, nonché, in concorso con loro, Fabrizio Tirabassi, dipendente dell’Ufficio Amministrazione, ed Enrico Crasso”.
Per quanto riguarda l’utilizzo successivo della somma, “il Tribunale ha ritenuto Raffaele Mincione colpevole del reato di autoriciclaggio (articolo 421-bis c. p.)”, ma ha escluso invece “la responsabilità di mons. Becciu, Crasso Enrico e Tirabassi Fabrizio in ordine agli altri reati di peculato loro contestati perché il fatto non sussiste, non avendo più la Segreteria di Stato la disponibilità del denaro una volta che esso era stato versato per sottoscrivere le quote del fondo”.
(La storia continua sotto)
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Crasso è stato dichiarato colpevole di autoriciclaggio (art. 421-bis c.p.) “in relazione all’utilizzo di una ingente somma di oltre 1 milione di euro, costituente il profitto del reato di corruzione tra privati commesso in concorso con Mincione”.
Inoltre, il Tribunale ha dichiarato Torzi e Squillace colpevoli di truffa aggravata (art. 413 c.p.) in relazione alle operazioni di riacquisto da parte della Segreteria di Stato delle quote del palazzo e poi del palazzo stesso nel 2018 – 2019. Torzi è dichiarato colpevole anche di estorsione in concorso con l’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi, nonché per “autoriciclaggio di quanto illecitamente ottenuto”.
Quindi Torzi, Tirabassi, Crasso e Mincione sono assolti dal reato di peculato sulla ipotizzata sopravalutazione del prezzo di vendita dell’immobile, perché il fatto non sussiste. Tirabassi è stato invece “ritenuto colpevole del reato di autoriciclaggio (articolo 421-bis c.p.) in relazione alla detenzione della somma di oltre 1.500.000 USD a lui corrisposta – fra il 2004 e il 2009 – dall’UBS; il Tribunale ha infatti ritenuto che la ricezione di tale somma da parte dell’imputato integrasse il reato di corruzione in ordine al quale però, dato il tempo trascorso, l’azione penale è ormai prescritta”.
Per quanto riguarda Tommaso Di Ruzza e Renè Bruelhart, “intervenuti nella fase finale del riacquisto del Palazzo di Sloane Avenue, essi sono stati assolti dei reati di abuso di ufficio loro contestati e ritenuti colpevoli solo dei delitti di cui agli articoli 178 e 180 c.p. per omessa denuncia e per la mancata segnalazione al Promotore di giustizia di un’operazione sospetta”. Una questione, questa, procedurale, anche perché non si è dato all’AIF, con la sentenza, la prerogativa tipica delle Unità di Informazione Finanziaria di segnalare l’operazione sospetta solo quando questa era definita.
Per quanto riguarda invece la vicenda Marogna, il Cardinale Becciu e Cecilia Marogna “sono stati ritenuti colpevoli, in concorso, del reato di cui all’art. 416-ter c.p. in relazione al versamento, da parte della Segreteria di Stato, di somme per un totale di oltre 570.000 euro a favore della Marogna, tramite una società a lei riferibile, con la motivazione, non corrispondente al vero, che il denaro doveva essere utilizzato per favorire la liberazione di una suora, vittima di un sequestro di persona in Africa”.
Il Cardinale Becciu è anche ritenuto colpevole di peculato (art. 168 c.p.) “per aver disposto, in due riprese, su un conto intestato alla Caritas-Diocesi di Ozieri, il versamento della somma complessiva di Euro 125.000 destinata in realtà alla cooperativa SPES, di cui era presidente il fratello Becciu Antonino”.
E questo perché “pur essendo di per sé lecito lo scopo finale delle somme, il Collegio ha ritenuto che l’erogazione di fondi della Segreteria di Stato abbia costituito, nel caso di specie, un uso illecito degli stessi, integrante il delitto di peculato, in relazione alla violazione dell’art. 176 c.p., che sanziona l’interesse privato in atti di ufficio, anche tramite interposta persona, in coerenza – del resto – con quanto previsto dal canone 1298 C.I.C. che vieta l’alienazione di beni pubblici ecclesiastici ai parenti entro il quarto grado”. In questo caso, in pratica, l’erogazione è stata considerata data non alla Caritas, ma direttamente al fratello del cardinale, ed è una interpretazione che farà discutere.
Infine, il Cardinale Becciu, Mincione, Torzi, Tirabassi, Squillace, Crasso, Di Ruzza, Bruelhart “sono invece stati assolti, con le formule specificate nel dispositivo, da tutti gli altri reati loro ascritti”. Monsignor Mauro Carlino è stato assolto da tutti i reati.
Le confische
Pesanti anche le confische, che restano comunque sospese fino all’appello. Il Cardinale Becciu, Crasso, Mincione e Tirabassi subiscono la confisca di 200 milioni 500 mila dollari oltre interessi e rivalutazione a far data dal 26 febbraio 2014 come profitto del delitto di peculato. In pratica, si chiede la restituzione dei soldi destinati al fondo che poi gestì il palazzo di Londra.
Crasso e Mincione vedranno confiscati, se le condanne saranno confermate in appello, 1 milione 500 mila dollari, oltre interessi e rivalutazione a partire dal 15 agosto 2016, come “prezzo del delitto di corruzione tra privati”.
Crasso e Tirabassi ricevono anche una confisca di 1.540.292 euro oltre interessi e rivalutazione a far data dal 31 dicembre 2009 per il delitto di autoriciclaggio.
Torzi e Tirabassi dovrebbero anche vedersi confiscati 15 milioni di euro oltre interessi e rivalutazione a far data dal 2 maggio 2019 “quale profitto del reato di estorsione” – in pratica, il denaro che la Segreteria di Stato ha liquidato a Torzi per cedere il controllo del palazzo, reato che viene attribuito in concorso anche a Tirabassi, che invece sembrava essere uno di quelli che si opponeva alla trattativa e fu anche estromesso da Torzi dal board del fondo GUTT che gestiva le quote.
Al Cardinale Becciu, a Marogna e alla societò Logsic la confisca di 589.400 oltre interessi e rivalutazione a far data dall’8 luglio 2019, quale profitto del reato di truffa aggravata.
Il Cardinale Becciu si dovrebbe vedere anche confiscati i 125 mila euro da lui destinati alla Caritas di Ozieri “quale profitto del reato di peculato”.
Per ora, la confisca resta “sospesa fino alla irrevocabilità della sentenza di condanna, sia mantenuto il sequestro in atto su tutte le somme di cui è stata disposta la confisca”, ma nel frattempo resta il sequestro di tutte le somme di cui è disposta la confisca.
Per quanto riguarda i risarcimenti alle parti civili, il cardinale Becciu, Crasso, Mincione e Tirabassi dovranno risarcire 91 milioni come danno emergente in favore dell’APSA, e 15 milioni a titolo di lucro cessante maturato a tutto il 2 maggio 2019.
Torzi e Tirabassi sono chiamati a risarcire l’APSA per 15 milioni a titolo di danno emergente, la Logsic e Marogna devono risarcire 575 mila euro a titolo di danno emergente all’APSA, mentre Becciu deve risarcire 125 mila euro di danno emergente all’APSA.
Da notare che, sebbene il danno sia stato maturato dalla Segreteria di Stato, è l’APSA che riceve il risarcimento, perché all’APSA sono state passate tutte le competenze amministrative della Segreteria di Stato.
Tutti gli imputati sono chiamati a liquidare 80 miloni di danno non patrimoniale alla parte civile Segreteria di Stato e altri 100 mila come danno non patrimoniale in favore della parte civile IOR “per tutti i reati in ordine ai quali vi è stata pronuncia di condanna”.
Di Ruzza e Bruelhart devono invece liquidare all’ASIF un danno non patrimoniale di 10 mila euro.
Tutti gli imputati dovranno dividersi le spese delle parti civile, ovvero 70 mila euro per ogni parte civile e 50 mila euro di spese in favore della Segreteria di Stato, che “ne ha fatto espressa richiesta”.
Verso l’appello
Si chiude così un processo durato 86 udienze, concluso con i ringraziamenti del presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone il quale, prima di riunirsi in camera di consiglio, ha voluto ribadire l’utilità e l’importanza del dibattimento che aiuta a portare alla “verità processuale” e magari anche il più vicino possibile alla “verità senza aggettivi”.
Questa è solo il dispositivo di sentenza di primo grado, mentre la sentenza completa non verrà pubblicata prima di sei mesi. Entro tre giorni, tuttavia, le decisioni del giudice potranno essere impugnate e ci si potrà appellare al secondo grado. Il processo di secondo grado in Vaticano, tuttavia, è soprattutto documentale, c’è pochissimo dibattimento, e così sarà per la Cassazione. Siamo però di fronte a reati di tipo finanziario, e allora l’ultimo grado di giudizio potrebbe essere la Corte dei Conti Europea di Lussemburgo.
Inoltre, c’è un procedimento per diffamazione intentato a Londra da uno degli imputati, Raffaele Mincione, contro la Segreteria di Stato, e questo proseguirà su binari paralleli. Senza considerare che ci sono altri procedimenti penali collegati, in quello che appare essere un procedimento infinito.
Resta da vedere se Papa Francesco deciderà di prendere provvedimenti nei confronti del Cardinale Becciu vista l’interdizione dai pubblici uffici. Va considerato, però, che è ancora una sentenza di primo grado.
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