La Valletta, 06 December, 2023 / 2:00 PM
Per il vescovo Mariano Crociata, il grande problema è prima di tutto culturale. Perché i fenomeni che si vivono in Europa, dal rinascente populismo nazionalista alla deriva anti-religiosa, sono complessi e interconnessi, e “i meccanismi di reazione di tipo irrazionale alla fine denunciano il limite culturale e spirituale che affligge il nostro mondo e i nostri Paesi”. È un punto sul quale “siamo interpellati come Chiesa e come pastori, perché viene in questione la nostra capacità di annuncio e il nostro compito educativo. Senza supporto culturale e spirituale anche il processo sociale, politico e istituzionale si inceppa”.
In questa intervista con ACI Stampa, il presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea, che monitora le attività delle istituzioni europee ed è composta dai vescovi delegati dei Paesi membri dell’Unione, fa una riflessione ad ampio raggio che parte proprio dall’attuale contesto europeo e delle attività della COMECE.
Da quasi due anni, l’Unione vive una guerra nel suo cuore. Come può essere una Unione di pace?
La peculiarità di una entità sopranazionale come l’UE, né stato né federazione di stati, sta proprio nel suo essere un soggetto internazionale frutto di una libera condivisione di sovranità in ambiti definiti da parte di Paesi che hanno scelto di aderire ad essa. Da questa capacità di comporre insieme unità e diversità deve scaturire la pace tra gli stessi Paesi membri e tra i Paesi con i quali l’Unione è chiamata a intessere relazioni. Purtroppo, ci sono diverse smentite a questa duplice aspirazione di unità e pace che sta all’origine dell’Unione. La guerra in Ucraina, in particolare,
continua a far soffrire e schiacciare un popolo, a minacciare l’intera Europa e ad avvelenare il clima politico e sociale globale.
Quale è stata l’attività principale della Commissione del corso dell’anno?
L’evento principale è stato senza dubbio la nostra plenaria a Roma nel marzo scorso, culminata con una udienza del Santo Padre. Il Papa ha riproposto in sintesi il messaggio che viene dalle origini e dalla storia dell’Unione Europea, nata dal sogno dei padri fondatori, un sogno di unità e di pace. Abbiamo avvertito le parole di papa Francesco come un richiamo a un impegno che deve essere dei membri della nostra Commissione e delle nostre Chiese, per contribuire così al cammino verso una unità e una pace sempre più grandi nella stessa Unione e in tutto il continente.
Quali sono i vostri obiettivi?
Siamo chiamati a rilanciare la nostra missione istituzionale, anche di fronte alle scadenze che la vita dell’Unione presenta, in particolare la prossima tornata elettorale europea del giugno 2024.
Sono in gioco, infatti, il destino dell’Unione e soprattutto la sua capacità di rispondere in maniera significativa alle attese non solo dei Paesi che le hanno dato vita ma anche alle attese di tanti altri in questo tempo. Il paradosso sta nel fatto che mentre si constata una disaffezione, se non una insofferenza, di non poco conto da parte di molti nelle popolazioni dell’Unione verso di essa, c’è una profonda attesa perché essa raggiunga la capacità di dare soluzione a una serie di nodi e di problemi ai quali i singoli Paesi devono comunque far fronte e che sperimentano di non essere nelle condizioni di sciogliere.
Come pensate di rispondere a queste sfide?
Le Commissioni che lavorano sotto la presidenza di un vescovo e sono passate da tre a sei: oltre a quelle per affari legali, affari socio-economici e azione esterna, ora anche quelle per immigrazione e asilo, etica ed educazione e cultura. Inoltre, si è appena costituito un nuovo gruppo di lavoro sulla sostenibilità, che si occupa di ambiente, energia e agricoltura. Inoltre, il rinnovo di don Manuel Barrios Prieto come Segretario generale della COMECE segna una volontà di continuità e di consolidamento del lavoro che si sta svolgendo.
I conflitti in corso hanno impatto sull’Europa?
Difficile dire gli effetti diretti e indiretti in Europa dei conflitti in corso, di cui auspichiamo, e per questo soprattutto una preghiamo, una soluzione giusta e pacificatrice. Certo, il clima attuale non è determinato solo dalla guerra in Ucraina, ma anche dalla guerra esplosa in Israele e Palestina dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre scorso. È certo che ogni sforzo deve essere messo in campo per indirizzare diversamente discorsi e pensieri rispetto a una deriva rassegnata al peggio.
Quale è stata la risposta della COMECE?
Abbiamo diffuso il 10 novembre una Dichiarazione firmata da tutti i vescovi delegati, nella quale si segnala una grande preoccupazione per le vittime, per i popoli e i loro diritti, per gli effetti di deterioramento del clima sociale (si fa riferimento non a caso a diversi fenomeni di disgregazione della coesione sociale) e non ultimo dei rapporti tra le nazioni. Abbiamo notato che “la polarizzazione della comunità internazionale, alimentata da una rinnovata logica di competizione tra grandi potenze, insieme all’erosione della fiducia nei contesti di cooperazione multilaterale, lascia aperto anche lo scenario di un’escalation incontrollabile con conseguenze catastrofiche per l’intera umanità”.
Cosa farete in vista delle elezioni?
Abbiamo definito un documento di lavoro che racchiude una rassegna delle più importanti questioni che stanno a cuore alla comunità ecclesiale e che sono comunque determinanti per il futuro della stessa Unione Europea. Questi i temi: stato di diritto e democrazia, dialogo basato sull’art. 17 TFUE, diritti fondamentali, diritto di famiglia e difesa della vita umana, guerra e pace, giustizia sociale - lotta alla povertà - difesa dei più vulnerabili, digitalizzazione e intelligenza artificiale, cura della casa comune, migrazione e asilo, allargamento dell’UE, relazioni esterne dell’Unione Europea – posto e missione dell’Europa nel mondo.
Ma come vede la situazione in Europa?
Penso si debba allargare lo sguardo per fissarlo su alcune dinamiche culturali che si muovono nel fondo della vita dei nostri popoli.
A cosa si riferisce?
Mi riferisco alla tendenza a chiudersi in difesa di una sicurezza che ci si illude di garantirsi istallandosi in un dorato isolamento, effetto in realtà di una paura che non riesce ad essere gestita perché mancano gli strumenti di lettura e di interpretazione della complessità, adattandosi a risposte semplicistiche ma proprio per ciò inutili. I segnali che arrivano dagli esiti delle tornate elettorali nazionali, come l’ultima nei Paesi Bassi, destano qualche preoccupazione almeno per tre fattori: l’affermarsi della tendenza populistica, l’incertezza degli esiti del voto spesso con l’effetto di produrre una situazione politica difficilmente governabile, la consistenza crescente dell’astensionismo.
Cosa segnalano questi fenomeni?
Si tratta di fenomeni che segnalano una debolezza e rendono sempre più fragili le strutture e la vita delle democrazie. La regressione è segnalata ancora di più dal ritorno non solo della guerra sul suolo europeo ma già di situazioni conflittuali che sembrano riportare a epoche e climi storici del passato.
(La storia continua sotto)
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E come può reagire la Chiesa?
La difficoltà a convivere con la complessità e i fenomeni di regressione a cui ho accennato non sono facili da gestire, anche perché ormai siamo tutti interconnessi. I meccanismi di reazione di tipo irrazionale alla fine denunciano il limite culturale e spirituale che affligge il nostro mondo e i nostri Paesi. Su questo punto mi pare che siamo interpellati come Chiesa e come pastori, perché viene in questione la nostra capacità di annuncio e il nostro compito educativo. Senza supporto culturale e spirituale anche il processo sociale, politico e istituzionale si inceppa.
Quale dunque la risposta?
A questo riguardo, sebbene su fronti formalmente diversi, tutti dobbiamo attivare un impegno convergente. Il cammino sinodale nel quale le nostre Chiese sono coinvolte è una opportunità irripetibile di condivisione e di confronto, dentro e fuori le nostre comunità, per rianimare con la nostra visione della società le sorti delle comunità credenti e la presenza della Chiesa nel nostro continente, nonché il suo specifico apporto all’Unione Europea.
E quale è il contributo della COMECE al cammino sinodale?
È un contributo peculiare, portato precisamente attraverso il dialogo con le realtà istituzionali espressione dell’Unione Europea, attraverso un ascolto e un discernimento attenti e una offerta di contributi volti a promuovere il bene comune nell’Unione in un’ottica cristiana; e inoltre facendo riverberare i contenuti e gli effetti di tale dialogo in ambito più propriamente ecclesiale attraverso le conferenze episcopali dei delegati e le rispettive Chiese. L’ottica cristiana poi, che è peculiare della natura e del servizio della COMECE, richiama il fatto che, inseparabilmente dalla specificità cattolica della sua identità e della sua missione, essa svolge il suo compito in un collegamento stabile e in una collaborazione cordiale con la CEC, e perciò con una sensibilità e una attenzione propriamente ecumeniche.
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