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Un servizio di EWTN News

Processo Palazzo di Londra, verso la sentenza a metà dicembre

una foto di archivio del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato

Nella settimana che termina il 16 dicembre, non solo saranno finite tutte le arringhe difensive dei dieci imputati, ma avranno avuto luogo anche le repliche del promotore di Giustizia Alessandro Diddi (l’11) e le controrepliche dei difensori (il 12). E dunque sarà alla fine di quella settimana e all’inizio della successiva che il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone potrebbe consegnare la sentenza, che chiuderebbe così il processo di primo grado dedicato alla gestione dei fondi della Segreteria di Stato.

La sentenza non metterà una pietra tombale sulla vicenda, perché ci saranno gli appelli. Però avrà la capacità di mettere in luce come il Tribunale vaticano ha recepito questi due anni e tre mesi di processo, quattro anni includendo le indagini, la cui narrativa era inizialmente squilibrata verso le tesi dell’accusa e poi, man mano che si dipanavano le vicende, diventava più simpatetica verso gli imputati, fino al drastico cambio di narrativa che è avvenuto con le ultime arringhe.

Documenti alla mano, ci si trova di fronte ad indagini che non hanno considerato tutti i contesti e le vicende, che hanno creato un quadro accusatorio sul quale sono rimasti fermi (nella sua requisitoria, Diddi ha mantenuto tutti i punti del rinvio a giudizio di tre anni fa, come se non ci fosse stato dibattimento), e che ora si trovano messe in discussione dai difensori degli imputati.

Questo scenario si è ripetuto durante le ultime tre udienze, che hanno visto l’arringa dell’avvocato Matteo Santamaria, uno dei difensori del broker Gianluigi Torzi, e poi la lunga arringa dell’avvocato Luigi Panella, difensore di Enrico Crasso, che per anni è stato incaricato di gestire i fondi della Segreteria di Stato. Panella, tra l’altro, ha ribadito la necessità di azzerare il processo di fronte ai tanti vizi procedurali, e soprattutto di fronte agli interventi pesanti del Papa sulle procedure (ben quattro rescritti) che avrebbero portato ad un processo che “non si sarebbe potuto celebrare in questo modo”.

Prima di andare nel dettaglio delle udienze, vale la pena però riassumere il quadro delle accuse.

Il processo e i capi di accusa

Il processo si divide in tre tronconi principali. Il primo riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che – inizialmente all’oscuro della Segreteria di Stato – mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il pieno controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Il secondo filone si concentra sul contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.
Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.

L’arringa dell’avvocato di Torzi

Va ricordato che il 5 giugno 2020 Gianluigi Torzi è stato incarcerato in Vaticano, dove si era recato per essere interrogato, con una procedura quanto mai inusuale.

Oggi è latitante a Dubai, negli Emirati, perché sulla sua testa spicca un mandato di cattura, ma di certo non ha dimenticato l’esperienza del carcere vaticano, da cui è uscito con un corposo memoriale.

Torzi è accusato di peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio, autoriciclaggio, corruzione, estorsione. In particolare, l’accusa sostiene che l’estorsione abbia avuto luogo quando Torzi accettò di liquidare le sue mille azioni con diritto di voto del palazzo di Sloane Avenue a seguito di un pagamento di 15 milioni.

L’avvocato ricorda l’episodio “doloroso” dell’arresto, parla di “interrogatorio aggressivo”, “Domande nocive”, “presupposti errati”, e sottolinea che l’arresto è “il simbolo delle modalità in cui è stata condotta l’indagine”.

Santamaria definisce l’indagine “caotica”, fatta sulla base di tesi, lamentando che “anche chi ci insegna e ci fa appassionare al valore dei diritti è disposto a sacrificarli sull’altare di interessi ulteriori, come quello investigativo”.

Santamaria ha smontato una per una le ipotesi accusatorie, partendo proprio dalla descrizione del presunto reato. Ha ricordato che le clausole contrattuali sulle quote dell’immobile erano chiare, che Mincione non era tenuto a cedere le quote perché c’era un lock up, era un contratto che prevedeva uno sviluppo su una base temporale, e che lo stesso broker ha rinunciato a quello che lui chiamava un trophy asset per una cifra definita da Santamaria congrua pari a 40 milioni di euro.

Il dito dell’avvocato Santamaria è stato puntato poi sull’architetto Luciano Capaldo, prima collaboratore di Torzi e poi della Segreteria di Stato, che sarebbe stato, secondo le testimonianze di Pena Parra. Secondo l’avvocato, Capaldo ha rilasciato una “deposizione inquietante”, anche perché lui stesso avrebbe determinato “valori gonfiati” dell’immobile.

Santamaria sostiene che si nota che “Capaldo è al centro del progetto, fa tutto lui”, “Capaldo dovrebbe stare sul banco degli imputati”.

L'avvocato Santamaria parla anche del presunto ruolo dello studio Dentons. “Se si dovesse applicare la disciplina che indica la parte civile IOR – sottolinea Santamaria - io credo che ci dovrebbe essere Dentons”. Questa, aggiunge l’avvocato “fa da consulente nella trasformazione del fondo UK Opportunities”, ed è una consulenza “non solo formale, ma sostanziale”, “non fa una consulenza fiscale”, “ha visto tutti i contratti, è responsabile di tutti i contratti. Se leggete, i documenti costitutivi sono tutti approvati e rivisti da Dentons e Segreteria di Stato”. È comunque un tema che fino ad ora è stato sollevato solo dall’avvocato Santamaria e non prevede alcun tipo di reato.

Non si è affrontato il tema della presunta estorsione, che sarà invece parte di una seconda fase dell’arringa difensiva di Torzi. Resta la feroce critica delle procedure adottate durante l’indagine, che non è nuova all’aula e che mette, ancora una volta, in discussione il modo in cui l’impianto accusatorio è stato costruito.

L’arringa dell’avvocato di Crasso

Luigi Panella, avvocato di Enrico Crasso, è andato ancora oltre con la critica, chiedendo addirittura l’azzeramento dell’intero dibattimento, perché si sarebbe derogato dalle regole del giusto processo.

In particolare, Panella ha parlato di “mancato rispetto” da parte del promotore, durante le indagini, dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In realtà, la Santa Sede non ha mai sottoscritto la convenzione (ci sono dei problemi, soprattutto riguardo i nuovi diritti che promuove), ma secondo Panella comunque la Santa Sede vi avrebbe aderito quando ha sottoscritto la Convenzione Monetaria dell’Unione Europa.

Su Crasso pende una richiesta di condanna di 9 anni e 9 mesi di reclusione più 18 mila euro di multa per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, truffa, peculato, abuso d’ufficio, corruzione, estorsione, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato, falso in scrittura privata e indebita percezione di erogazione a danno dello Stato.

Panella punta il dito contro i rescripta del Papa, che avrebbero riportato le lancette della storia indietro a Canossa, al 1075, con il Papa re. “Questo – sottolinea Panella - è un processo storico: saremo giudicati per quello che diremo e per quello che faremo”.

(La storia continua sotto)

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Pannella affronta, uno ad uno, i 20 capi d’imputazione a carico del suo assistito, e quello, la truffa, a carico delle società riconducibili a Crasso, da HP Finance LLC a Prestige Family Office SA, fino a Sogenel Capital Investment. Crasso in realtà ha gestito i fondi della Segreteria di Stato prima come dipendente di Prime Consult e poi di Credit Suisse.

Panella contesta il fatto che Crasso fosse “un pubblico ufficiale”, come si definisce in dodici imputazioni, anche se poi in un’altra imputazione, del 30 marzo 2023, viene definito estraneo alla Pubblica Amministrazione Vaticana.

L’avvocato ha dunque gioco facile a sottolineare che il promotore di Giustizia “confonde la gestione degli investimenti della Segreteria di Stato e la gestione del cliente Segreteria di Stato per conto della società Credit Suisse”, che è quello che avrebbe fatto il suo assistito. Che “è sempre stato retribuito dalle banche e dalle società d’investimento, non dalla Segreteria di Stato”.

Non solo. Crasso controllava soprattutto che gli investimenti di Segreteria di Stato fossero compatibili con la sua classe di rischio, e l’avvocato mette in luce come quel tipo di investimenti immobiliari fossero operati dalla Segreteria di Stato già dagli anni Novanta.

Diverso il discorso delle presunte “tangenti”, che in realtà sono – spiega l’avvocato – le fees che Crasso riceveva per la sua attività di introducer.

Da Falcon Oil al Fondo Athena

Come si è arrivati all’investimento di Londra? Si partiva dall’ipotesi di investire sulla Falcon Oil, una società petrolifera in Angola, e Mincione era stato individuato come un esperto di commodities. Quando si decise di non investire più perché non ce n’erano le condizioni, fu lasciata a Mincione libertà di investire. Ma cosa sapeva Crasso di come Mincione gestisse l’investimento? Nulla, secondo l’avvocato, che contesta così molti dei reati già nei presupposti.

Panella poi sottolinea che "è un'assurdità anacronistica pensare che la Chiesa debba liberarsi dei sui beni, dei suoi immobili per darli ai poveri: anche secondo il Codice di Diritto canonico, la Chiesa può possedere, gestire e amministrare i suoi beni per ottenere i suoi fini” pastorali e di evangelizzazione. “La stessa destinazione delle offerte dei fedeli – per Panella - può essere il mantenimento della Sede apostolica e il complesso delle sue attività, cosa sfuggita al promotore di giustizia, che ha confuso l'impiego dei beni con la loro amministrazione".

Gli investimenti di Crasso

Considerando che gli investimenti sono sempre stati in linea a partire dagli anni Novanta, dice l’avvocato, è “grave dire, come ha fatto la parte civile Segreteria di Stato, che grazie al Cardinale Becciu i mercanti sono entrati nel tempio”. Anzi, anche il “credit Lombard– una particolare forma di prestito - utilizzato nel 2012 per reperire le risorse per Falcon Oil “ha fruttato 16 milioni di sterline di plusvalenze” e dunque è stata una ottima soluzione per la Segreteria di Stato.

Per quanto riguarda invece il coinvolgimento di Crasso nell’acquisto del palazzo di Londra, questi non aveva “prima di tutto idea del valore dell’immobile”. Poi, è vero, partecipò alle riunioni a Londra per il passaggio delle quote dalla GOF di Mincione alla GUTT di Torzi, ma non solo non fu parte di “alcun accordo fraudolento”, ma era stato anche escluso dalle riunioni dopo aver messo in luce alcune criticità. Insomma, Crasso, non aveva partecipato alla definizione dell’accordo che conferiva a Torzi le uniche mille azioni con diritto di voto, e non ha mai “dettato” il famoso memorandum del novembre 2018, richiesto dal nuovo sostituto, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, all’avvocato Squillace, un altro degli imputati.

Secondo l’avvocato Panella, il processo è stato costruito su “elementi privi di fondamento”. Crasso è coinvolto anche in un incontro con l’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi (anche lui sotto processo) e il broker Torzi all’Hotel Bulgari di Milano nel dicembre 2018. Lo stesso Crasso registrò la conversazione, e l’avvocato dice che dalla conversazione integrale si nota chiaramente come Crasso sia estraneo alle vicende, piuttosto marginale, mentre sono attivi gli officiali di Segreteria di Stato che cercano di convincere Torzi a cedere le sue quote alla Santa Sede.

L’obiettivo di Torzi – secondo il suo avvocato – era quello di “fare fuori” Crasso dalla gestione degli investimenti e prendere il suo posto.

La riunione era “molto tesa” – spiega il legale – ma dalla registrazione non risulta nemmeno che nessuno abbia mai offerto a Torzi 9 milioni, e dunque né l’estorsione di Torzi né la corruzione potrebbero sussistere.

Anzi, il momento in cui viene proposto di far transitare le azioni attraverso il fondo Centurion riconducibile a Crasso viene considerato da Torzi un “atto di guerra”, ed è in quello stesso giorno che si apre la chat di gruppo “I magnifici tre” con Torzi, Giuseppe Milanese (ovvero l’amico di Papa Francesco chiamato dal Papa a fare il negoziato con Torzi per rilevare l’immobile, che poi uscirà di scena) e l’avvocato Manuele Intendente. Torzi escluderà l’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi dal board GUTT.

Era stato Perlasca, continua la difesa, a consigliare, per uscire dall’impasse, la sottoscrizione di quote del fondo Centurion.  Panella sottolinea che la Segreteria di Stato “non ha tratto alcun dalle operazioni” svolte con le società di Crasso Hp Finance, Prestige e Sogenel, anzi come sottoscrittore di Centurion la Santa Sede ha goduto di una plusvalenza di 5,5 milioni di euro.

L’avvocato Panella sottolinea che non ci sono prove nemmeno della corruzione di Crasso e Tirabassi compiuta dal broker Raffaele Mincione, tra gli imputati, come sostenuto da Torzi (in una dichiarazione non utilizzabile nel processo) e il testimone Fabio Perugia, che riferisce accuse sentite da Alessandro Noceti e che “aveva solo l’interesso di prendere il posto di Crasso come consulente della Segreteria di Stato”.

L’avvocato nega l’accusa di autoriciclaggio. La società Aspigam, che veniva usata come veicolo ed era di proprietà del broker Simetovic e non di Crasso, ha ricevuto dal Fondo Athena 2 milioni 259 mila dollari americani, e 3,5 milioni di euro sono stati versati a Divanda, società di Crasso. Ma questa cifra sarebbe quelle delle commissioni da Credit Suisse attraverso Apsigam a Crasso, per la sua attività di introducer, esercitata dal 2014, una volta lasciata la banca svizzera da pensionato. 

Le parti civili

Panella ha contestato anche le richieste di risarcimento delle parti civili. L’avvocato nota che la Segreteria di Stato ha chiesto 128 milioni di danni non patrimoniali, ma di immagine, sulla base di una perizia che era piuttosto – dice Panella – “una rassegna stampa del processo”. Dunque, il danno di imagine lo avrebbe fatto il clamore mediatico del processo, non le accuse. “È legittimo chiedere un danno – ha insistito Panella – se c’è un nesso di casualità diretto con i fatti che vengono contestati”.

Per quanto riguarda l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), questa non sarebbe nemmeno intitolata a chiedere un risarcimento, perché l’eventuale perdita finanziaria riguardava la Segreteria di Stato, e solo successivamente le competenze amministrative furono trasferite alla Segreteria per l’Economia. Era un tema sollevato all’inizio del processo, anche se poi il presidente del Tribunale Pignatone aveva ammesso la presenza della parte civile APSA

Lo IOR è addirittura arrivato a chiedere alla Segreteria di Stato i soldi versati come contributo volontario dal bilancio perché siano restituiti al Papa. Si tratta di un contributo dal profitto dello IOR, nell’ultimo bilancio definito dividendo, che ha sempre aiutato la Santa Sede a coprire il bilancio e che veniva dato dallo IOR senza vincolo di destinazione, versati alla Segreteria di Stato.

Panella sottolinea che quelli sono “soldi della Segreteria di Stato”, e “non erano sufficienti alla gestione della Curia Romana e che nulla dimostra che siano state investite a Londra”.

Nel corso della requisitoria, Panella ricorda anche che non sono mai stati usati soldi dell’Obolo di San Pietro, come era la narrativa iniziale, ma altri fondi.

Enrico Crasso

Al termine dell’udienza dell’11 novembre, Enrico Crasso ha voluto leggere una lunga dichiarazione spontanea. Rotto dall’emozione, ha ripercorso i passi della sua vita, la sua carriera, i suoi inizi da famiglia modestissima, e la sua crescita di “un ragazzo che si è fatto da solo”, passo dopo passo. Crasso ha rivendicato di aver sempre operato per la Segreteria di Stato e di aver fatto il massimo per il cliente.

Ora si trova anche con una richiesta del fisco svizzero, che ha valutato la sua società Sogenel dieci volte quanto ascritto a bilancio, e con fondi congelati che non gli permettono di ottemperare alle richieste delle autorità svizzere. L’avvocato chiede per lui l’assoluzione con formula piena, ma anche la revoca della confisca e, nel momento della sentenza, una rapida trasmissione della stessa alle autorità svizzere.

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