Città del Vaticano , 23 October, 2023 / 9:00 AM
Lo scorso 7 ottobre Papa Francesco ha nominato Suor Simona Brambilla, delle Missionarie della Consolata, Segretario del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Succede all’Arcivescovo José Rodríguez Carballo che lascia per tornare in Spagna come Arcivescovo Coadiutore di Mérida-Badajoz.
Acistampa ha parlato con Suor Simona Brambilla del suo nuovo incarico in Vaticano, con particolare attenzione all’aspetto della sinodalità, tema centrale del Sinodo che si sta svolgendo e a cui la stessa religiosa partecipa come membro di nomina pontificia.
Lei è una religiosa delle Missionarie della Consolata: quanto e come il carisma della sua Congregazione le sarà utile in questo nuovo incarico?
Non potrei immaginare me stessa al di fuori del Carisma che il Signore ci ha donato come Missionarie della Consolata, tramite il nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano. La mia persona e la mia esperienza sono marchiate a fuoco da questo Carisma, per cui, in qualche modo, ciò che sento, penso, faccio e vivo porta in sé questa traccia di fuoco. Un Carisma, proprio perché dono dall’Alto, plasma l’identità della persona e della comunità convocata a condividere questo dono, rendendola al contempo solida e flessibile, specifica e aperta, originale e dialogica. Il nostro Carisma di Missione ad gentes nel segno della Consolazione rappresenta per me un enorme dono di Grazia, per il quale sono immensamente riconoscente a Dio e a Maria Santissima Consolata. L’esperienza di contatto fecondo con diverse realtà, popoli, culture, Chiese particolari, forme di Vita Consacrata in Africa, America, Asia ed Europa mi ha trasformato e ha rafforzato in me la coscienza che l’incontro con l’altro è fonte di crescita, di scambio di doni, di grazia. La Missione mi insegna che, se è vero che siamo inviati a “seminare” il Vangelo, è pur vero che Dio stesso ha già seminato e ha fatto crescere i suoi doni ovunque: a noi il compito grato di riconoscerli, accoglierli e raccoglierli, celebrarli insieme. Credo che, anche in questo nuovo servizio che mi viene affidato, sono chiamata a valorizzare l’incontro e riconoscere, raccogliere e celebrare le espressioni della vita che Dio ha seminato e fatto crescere nelle persone, nei popoli, nelle culture, nei carismi.
Il Papa ha scelto una donna e una religiosa per ricoprire questo compito: la sua nomina può essere “letta” in chiave sinodale?
Sinodalità significa “camminare insieme” verso Dio, rispettando e armonizzando le diversità nell’Amore. Questo vale anche per la diversità fra le vocazioni e carismi e fra la dimensione femminile e quella maschile dell’umano. La sinodalità costituisce un invito a vivere relazioni vere, schiette e rispettose, autenticamente umane e cristiane, coltivando lo scambio, la reciprocità, il dialogo. È qualcosa in cui credo profondamente e che, per Grazia, ho avuto la gioia di sperimentare nella mia vita, con sorelle e fratelli, consacrate e consacrati, sacerdoti, laici e laiche, coi quali ho camminato, gioito, sofferto, sognato, lavorato, pregato.
Nell’omelia del 2 febbraio 2022, Papa Francesco disse che “il Signore non manca di darci segnali per invitarci a coltivare una visione rinnovata della vita consacrata”. Come deve rinnovarsi la vita consacrata? Come pensa sia necessario rilanciare ed approfondire l’importanza della vita consacrata per la Chiesa di oggi? Come affrontare la crisi delle vocazioni?
Ecco, sarei contenta di riflettere su queste importanti domande in modo… sinodale, ossia insieme alle consacrate e ai consacrati! Iniziando questo servizio presso il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, sento la necessità e il desiderio di mettermi alla scuola di chi ha molta più conoscenza e sapienza di me e già da tempo offre le proprie competenze e le proprie energie di mente, cuore e anima per l’accompagnamento dei cammini dei consacrati e consacrate nei diversi ambiti: ho molto da imparare da ciascuna delle persone che incontrerò in Dicastero e avrò bisogno della pazienza, del consiglio, dell’aiuto di tutte per conoscere le diverse realtà, comprenderle e poter contribuire al loro bene, mettendomi a disposizione di questo straordinario patrimonio vivo della Chiesa.
Personalmente, sono convinta che l’ascolto di tutti e tutte, delle varie esperienze e cammini, sia un passo fondamentale per lasciare che lo Spirito ci guidi, per aprire il nostro cuore, i nostri sensi interiori alla Sua luce, al Suo tocco, al Suo profumo, al Suo sapore, alla Sua voce affinché ci indichi le Sue vie, per percorrerle insieme.
Mi pare che oggi il tema della piccolezza meriti un approfondimento e un’attenzione particolare. Sono rimasta colpita da qualcosa che Papa Francesco ha detto durante l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali in Kazakistan il 15 settembre 2022:
«Certo, davanti alle tante sfide della fede – specialmente quelle che riguardano la partecipazione delle giovani generazioni –, così come dinanzi ai problemi e alle fatiche della vita e guardando ai propri numeri, nella vastità di un Paese come questo, ci si potrebbe sentire “piccoli” e inadeguati. Eppure, se adottiamo lo sguardo speranzoso di Gesù, facciamo una scoperta sorprendente: il Vangelo dice che essere piccoli, poveri in spirito, è una beatitudine, la prima beatitudine (cfr Mt 5,3), perché la piccolezza ci consegna umilmente alla potenza di Dio e ci porta a non fondare l’agire ecclesiale sulle nostre capacità. E questa è una grazia! Lo ripeto: c’è una grazia nascosta nell’essere una Chiesa piccola, un piccolo gregge; invece che esibire le nostre forze, i nostri numeri, le nostre strutture e ogni altra forma di rilevanza umana, ci lasciamo guidare dal Signore e ci poniamo con umiltà accanto alle persone. Ricchi di niente, poveri di tutto, camminiamo con semplicità, vicini alle sorelle e ai fratelli del nostro popolo, portando nelle situazioni della vita la gioia del Vangelo. Come lievito nella pasta e come il più piccolo dei semi gettato nella terra (cfr Mt 13,31-33), abitiamo le vicende liete e tristi della società in cui viviamo, per servirla dal di dentro».
Ecco, quanto il Santo Padre ha detto al piccolo gregge in Kazakistan credo possa essere di aiuto e di stimolo anche alla vita consacrata in generale, spesso preoccupata per la diminuzione numerica e di forze, almeno in certe parti del mondo.
Anche al Sinodo il Papa ha chiamato molti religiosi, le Conferenze episcopali hanno inviato vescovi che sono gesuiti, francescani, salesiani, redentoristi… Al Sinodo il Papa ha invitato i membri ad essere componenti di una orchestra. Lo stesso invito può essere esteso alle diverse espressioni della vita consacrata all’interno della Chiesa universale?
Nello stesso discorso tenuto in Kazakistan, Papa Francesco afferma: «Essere piccoli ci ricorda che non siamo autosufficienti: che abbiamo bisogno di Dio, ma anche degli altri, di tutti gli altri: delle sorelle e dei fratelli di altre confessioni, di chi confessa credo religiosi diversi dal nostro, di tutti gli uomini e le donne animati da buona volontà. Ci accorgiamo, in spirito di umiltà, che solo insieme, nel dialogo e nell’accoglienza reciproca, possiamo davvero realizzare qualcosa di buono per tutti».
L’invito, espresso in questo discorso, a “realizzare insieme qualcosa di buono per tutti” è esteso, inclusivo, valica i confini delle appartenenze geografiche, culturali, religiose, politiche ecc. A maggior ragione, coloro che percorrono il cammino cristiano nella vita consacrata, sono chiamati a “suonare insieme” la sinfonia gioiosa della sequela di Cristo, ove i diversi carismi offrono il loro apporto originale e irripetibile, componendo melodie inedite. Abbiamo già varie esperienze significative di questo “suonare insieme”: comunità e progetti intercongregazionali, cammini congiunti di riflessione e formazione, molte iniziative in diversi ambiti curate dall’Unione delle Superiore generali, dall’Unione dei Superiori generali e dalle Conferenze dei religiosi e delle religiose in varie parti del mondo ecc.
Lei è stata missionaria in Mozambico, c’è un aspetto o anche più di uno che porterà con sé in questa nuova “missione” in Vaticano?
Il dono della missione in Mozambico, precisamente tra il popolo Macua nel nord del Paese, mi ha profondamente trasformato. Porto con me, con profonda gratitudine, tutto il denso vissuto di quegli anni, le relazioni significative che mi hanno toccato e convertito il cuore, la ricchezza della sapienza originaria macua che mi ha aperto orizzonti umani e spirituali nuovi, la reciprocità della evangelizzazione, e tanti altri regali che il Signore mi ha concesso attraverso l’incontro con un popolo dall’animo così vibrante, caldo, intenso, sensibile.
C’è un proverbio macua che mi ha particolarmente affascinato e che non cessa di essere per me fonte di ispirazione: “Dio non è come il Sole che va solo per il mondo, ma come la Luna che va con le stelle”.
È un proverbio molto… sinodale! La Luna, per il Macua, è quell’astro umile che illumina la notte e la rende affascinante e misteriosa. Astro umile perché, secondo l’espressione della sapienza popolare, mentre il Sole, risplendendo sfolgorante nel cielo, estingue durante il tempo diurno la luce degli altri astri, alla Luna piace convivere col chiarore delle stelle e dei pianeti nel firmamento notturno. Il Sole, per il Macua, viaggia solitario, unico re e signore del giorno. La Luna invece viaggia in compagnia, abita l’orizzonte della comunione e della condivisione che trovano nella notte, perciò nel tempo dell’intimità, espressione privilegiata. Il Sole è talmente luminoso che non lo si può guardare. La Luna si può guardare, godere dello spettacolo del cielo stellato e, al suo chiarore, lasciarsi ispirare.
Il mistero della Luna ha affascinato molti pensatori, poeti, profeti e santi. Papa Francesco lo ha ripreso più volte. Ci riporta al tema della sinodalità, del dialogo, della sinfonia di luci diverse che abitano, rischiarano, impreziosiscono insieme lo stesso firmamento.
C’è un altro proverbio lunare macua che mi accompagna: “C’è chi contempla la Luna lassù nel cielo, e chi ha la Luna nel cuore”. Possa la luce discreta della Luna scendere nel cuore di ciascuno e ciascuna di noi e renderlo ricettacolo del Cielo, aprendolo sempre più alla delicatezza mite e tenace di chi non brilla di luce propria, ma è grato e felice di divenire, insieme agli altri, un umile riflesso della Luce di Dio che ama riscaldare, rivestire, trasfigurare le sue creature con il suo amore tenero e forte.
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