Ginevra, 23 December, 2015 / 12:00 AM
Mentre si fa sempre più concreto il rischio di una guerra civile in Burundi, la Santa Sede ha fatto un appello affinché le Nazioni Unite lavorino sul territorio e fermino l’escalation di una violenza. L’intervento dell’Arcivescovo Tomasi, breve e concise, ha avuto luogo lo scorso 17 dicembre, durante una sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani sul caso Burundi. Una sessione di cui è stata data poca notizia.
Eppure la sessione aveva il suo peso. Perché le Nazioni Unite hanno poi deliberato di inviare 5000 “peacekeepers”, ma le stesse autorità del Burundi hanno affermato di temere una “invasione” occidentale nella crisi. E perché le Nazioni Unite hanno chiuso una missione di pace lo scorso dicembre, e non l’avevano voluta replicare, tanto che la stampa internazionale si è cominciata a chiedere se le Nazioni Unite avrebbero potuto fare di più per il Burundi.
Secondo l’arcivescovo Tomasi, “la presente crisi, e gli ostacoli all’esercizio dei diritti umani in questa città, evocano tensioni passate che hanno colpito questa e alter nazioni nella Regione dei Grandi Laghi. Queste tensioni, come le loro tragiche conseguenze, non sono mai state adeguatamente affrontate nonostante le successive iniziative di recupero e riconciliazione”.
La Santa Sede delinea una road map in quattro punti: porre in essere sforzi internazionali che garantiscano la fine della violenza e prevengano il traffico di armi; promuovere l’effettivo, obiettivo, aperto e trasparente sforzo per la riconciliazione, il dialogo e la costruzione della pace; assicurare una mediazione non di parte sul conflitto e stabilire processi democratici trasparenti e che includano tutti i settori della popolazione; e costruire condizioni che permettano la sicurezza del sicuro e volontario ritorno dei rifugiati.
Tutto deve essere fatto nel rispetto dei diritti umani, conclude l’Arcivescovo Tomasi.
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