Bagnoregio, 31 July, 2023 / 4:00 PM
Il 15 luglio del 2024 si celebrano i 750 anni della morte di San Bonaventura da Bagnoregio.
Abbiamo incontrato monsignor Orazio Francesco Piazza, vescovo di Viterbo per conoscere meglio questo grande teologo.
Chi era San Bonaventura da Bagnoregio e qual è stato il fulcro della sua teologia?
“Sicuramente è una figura di altissimo profilo teologico, ecclesiale, e pastorale. È un uomo che ha attraversato un tempo difficilissimo, teniamo conto che è stato presente al Secondo Concilio di Lione affrontando temi delicatissimi, soprattutto nel dialogo, anche all'interno della Chiesa degli ordini religiosi. È stato un uomo in cui si trova il senso dell'armonia, della consonanza, della pacificazione. I nuclei teologici sono veramente tanti, come anche quelli filosofici, è una figura a tutto tondo, ma possiamo porre in evidenza almeno tre elementi importanti. Quello dell'antropologia, che risulta oggi particolarmente rilevante, quindi la figura dell'uomo, la centralità dell'uomo all'interno della realtà del creato e nella dinamica sociale. Ovviamente la centralità di Cristo, il cristocentrismo, e poi questa opera straordinaria della crescita spirituale che oggi è tanto importante, Itinerario Verso Dio, che significa non solo trovare Dio, ma trovare l'uomo stesso. Infatti le sue radici Agostiniane fanno vedere la similarità di un processo in cui, a partire da Dio, l'uomo trova se stesso”.
Può approfondire un po' questo concetto del l'incontro fra ragione e fede, guardando anche ai testi di Papa Francesco come si mostra la teologia pastorale di San Bonaventura?
“Sicuramente anticipa la dinamica del dialogo dei saperi, anche se lui li pone in una gradualità, in una distribuzione, che può sembrare asimmetrica, ma se ben guardiamo la reciprocità tra fede e ragione, sicuramente nel Evangelii Gaudium – ma anche nella Laudato si e nella Fratelli Tutti – mette in evidenza questa mutualità tra i saperi e, quindi, dimostra che non può esserci una teologia che non sappia servirsi della ragione o non sappia percorrere e risentire della ragione in modo da poter rendere ragionevole ciò che si crede. Era la teoria molto ben chiarita da Papa Benedetto, ma proprio la comprensibilità della fede e la sua traducibilità concreta nel vissuto dell'uomo sono tali per cui serve un dialogo che non è fatto solo di reciprocità, ma è fatto di mutualità.
Papa Francesco porta in evidenza questa dimensione dialogica, però portando anche all'attenzione di tutti il venir meno dell'autoreferenzialità di ogni sapere. A me piace porre in rapporto Edgar Morin, con questo profilo dialogico dei saperi. Lo stesso Morin dice non c'è autoreferenzialità, un sapere che diventa autoreferenziale cade nella frammentazione e la frammentazione pone il semplice punto di vista come distaccato dagli altri.
La mutualità tra i saperi, come ci viene ricordato anche nella Gaudium et Spes, è fondamentale perché proprio nei numeri decisivi di questo tema, 45 B e 46 A, si richiama questa potenza espressa anche da Bonaventura sul necessario rapporto nella fede e nella ragione di questo dialogo fondativo. Io penso che a partire da questo principio oggi si aprano strade di straordinaria qualità. Nell'attualità del nostro contesto, le risposte all'uomo alla società e soprattutto anche in questo tema delicatissimo del creato, tanto caro a Bonaventura al punto che definisce l'uomo coscienza del creato, diventa necessaria questa forma di collaborazione, ciascuno col proprio metodo, ciascuno con le proprie condizione di ricerca ma portandosi sul focus che è l'uomo, è il creato, è quella che Papa Francesco ha chiamato ‘ecologia integrale’ e, se vogliamo anche, la visione integrale dell'uomo. Esplicitando in una dinamica ermeneutica che un po' fa capire che la differenza dei contesti culturali in cui Bonaventura operava con il suo pensiero rispetto all'oggi, ne possiamo cogliere la grande attualità perché il principio portato in evidenza valeva ieri e vale oggi”.
Essendo un dottore della Chiesa – il ‘dottore serafico’ – cosa rappresenta oggi per i credenti? C’è un culto di devozione?
“Come in ogni periodo storico si pongono le basi di un pensiero che costituisce una tappa di un processo. Per grazia di Dio, nella continuità e nella discontinuità dei processi conoscitivi, noi vediamo che ogni soggetto ha una sua particolare connotazione e collocazione. Però i temi dell'ecologia, il tema del creato, il tema dell'economia, il tema della socialità, il tema della composizione armonica delle relazioni – la Fratelli Tutti – fanno sì che oggi anche quella distanza temporale possa essere ridotta perché il principio della organizzazione, della dinamica organizzativa delle relazioni e della qualità delle relazioni costituisce un grande obiettivo sarebbe interessante, lo è sicuramente anche nella lettura di un'economia sociale, perché l'azione economica ha sempre una ricaduta sociale.
Sembrano temi di cui bisognerebbe dibattere oggi, e sicuramente alla base di questa economia c'è anche l'affermazione della dignità dell'uomo e della sua originaria condizione asimmetrica di responsabilità nelle dinamiche del creato e nelle dinamiche sociali, per cui anche la profonda spiritualità di Bonaventura – questa ascensione verso Dio – ha una ricaduta antropologica, sociale, ecologica in chiave integrale di tutto attualità, ma che sicuramente viene sviluppata. Sappiamo bene che proprio a Bagnoregio c'è un centro studi che si sta occupando di queste tematiche”.
A Bagnoregio c’è la reliquia del Santo braccio...
“Io sono un vescovo che è arrivato da pochi mesi, venivo da ambienti accademici dopo un'esperienza di 9 anni in un'altra diocesi. Sono venuto qui e ho trovato la potenza di questa figura che ho studiato e che sicuramente faceva parte dell'orizzonte del mio percorso teologico.
La localizzazione di questa figura è decisamente importante, è un luogo, un crocevia di incontri e di scontri. È un crocevia in cui tantissime figure hanno prodotto azioni concrete in chiave ecclesiale, politica e sociale. Bonaventura per questo luogo è significativo, me rappresenta l'origine, la memoria, ma a mio parere, anche già attraverso il suo nome, Bonaventura “fortunato”. Io posso dire è fortunato questo luogo che mantiene viva questa memoria e posso dire che ho trovato un contesto ecclesiale e sociale profondamente toccato da questa figura di cui vanno fieri e Io credo ha tutta ragione”.
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