Città del Vaticano , 05 July, 2023 / 10:00 AM
Lui da anni sta accanto a chi ha bisogono qui, nell'ospedale più grande d' Italia, dove si sono ricoverati i Pontefici, dove lavorano circa 6 mila persone e ci sono 1600 malati ricoverati.
Don Nunzio Currao è un "rianimatore spirituale" come lo chiamano al Gemelli. Ufficialmente é Assistente pastorale alla Università cattolica del Sacro Cuore , classe 1967, sacerdote dal 1993. Di fatto la sua cura è soprattutto per i dipendenti del grande ospedale. Vicino a loro ha affrontato la pandemia, e vicino a loro affronta la quotidianità che non va sulle pagine dei giornali.
Eppure Don Nunzio ha avuto l'opportunità di incontrare due Pontefici ricoverati al Gemelli. Quali sono i suoi ricordi?
Di Giovanni Paolo II ricordo la concomitanza del suo primo ricovero nel 1981 dopo l'attentato mentre era ricoverata mia mamma. Quindi fin da piccolo avevo sempre nutrito una grande attenzione nei suoi confronti, e poi la Provvidenza mi dato l'occasione di incontrarlo più volte, ma anche di essere stato ordinato sacerdote da lui. E anche per il ruolo che ricoprivo, perché ero Cappellano volontario, come vice parroco per 10 anni e poi come parroco per 15 anni sono sempre venuto qui in ospedale ad aiutare i cappellani. E questo anche a seguito di una esperienza personale di sofferenza che mi ha aperto un po' gli occhi sull'importanza della assistenza spirituale al malato. Come diceva Giovanni Paolo II se l'uomo è la via fondamentale della Chiesa, a maggior ragione lo è l'uomo che soffre. Mai come in questo frangente si aprono possibilità pastorali enormi data la recettività della persona che soffre, quindi una possibilità di aprirsi di più, ad interrogarsi sul mistero della sofferenza e del dolore. In questi momenti magari inconsapevolmente, anche se non si è fatto prima perché la corsa frenetica della vita ti porta ad occuparti più delle cose materiali, ma quando si è nella sofferenza e nel dolore si guarda alle cose spirituali.
Tornado a Giovanni Paolo II, mi aveva tanto colpito l'aspetto di un Papa che soffre in ospedale. Certo ora siamo più abituati a questa realtà con Papa Francesco, ma con Giovanni Paolo II un Papa ricoverato in ospedale, malato fra i malati, era un fatto inedito, e tanto mi colpiva e tanto colpiva i malati, che mentre si affacciava nella società una esorcizzazione della sofferenza e della malattia, il Papa invece la sdoganava vivendola in prima persona, ma anche aiutando gli altri a saperla affrontare.
E con Papa Francesco cosa è cambiato ?
Giovanni Paolo II li annunciava i ricoveri, a parte gli ultimi due di emergenza, e le occasioni erano soprattutto di saluto all'ingresso o all'uscita. Il Papa salutava i responsabili e quelli che si dedicavano alla assistenza religiosa di malati.
Con Papa Francesco invece c'è stata una specie di svolta perché pur condividendo la situazione di sofferenza e di dolore, l'ha voluta vivere facendo di tutto per non alterare la vita dell'ospedale.
Giovanni Paolo II aveva realmente, come lui simpaticamente chiamava il Gemelli, il Vaticano 3, traferito i suoi uffici. Durante i suoi ricoveri continuava a ricevere i vescovi, gli uomini politici, a lavorare e quindi c'era movimento e un bisogno di sicurezza che doveva controllare tutto e tutti.
Invece Papa Francesco è entrato in sordina. Ad esempio, solo in questo terzo ricovero il Papa è uscito dall'ingresso principale, altrimenti usciva da un ingresso riservato, da dove entrava e uscito. Sorprendentemente invece uscendo ha voluto passare e salutare e manifestare la sua gratitudine perché sapeva che tanta gente desiderava incontralo.
L'ospedale ha sentito meno l'impatto, ma non meno l'empatia. E nonostante la presenza dei media. I bollettini medici dei due precedenti ricoveri sono stati dati dalla Sala Stampa vaticana, non dai medici che lo avevano in cura. Soltanto in questo terzo ricovero, il Papa ha acconsentito alla conferenza stampa.
Non c'è stata però nessuna immagine come quelle di Giovanni Paolo II in "tenuta da malato", in vestaglia, a cominciare da quella storica dopo l'attentato che aveva il significato di dire: il Papa è vivo. Di Papa Francesco non abbiamo immagini "da malato".
Francesco nei momenti pubblici della sua permanenza sono stati all'attiguo reparto di oncologia pediatrica e di neurochirurgia infantile. Ma la mia grande sorpresa, uno dei ricordi più belli che avrò sempre nel mio cuore, è stato il mio incontro con lui inatteso. Ero andato a portare due lettere perché era previsto il saluto prima dell'uscita. Negli altri ricoveri si faceva la mattina e poi il Papa lasciava l'ospedale. Quando sono salito mi hanno detto: fermati il Papa ti vuole parlare.
Nella sua stanza e l'ho visto da malato, abbiamo scambiato qualche battuta e qualche confronto e poi mi ha chiesto la "cortesia" di celebrare insieme la mattina dopo. Ed era la Festa del Sacro Cuore, il 16 giugno.
Quindi nonostante i saluti ufficiali il 15, la mattina dopo c'è stata questa esperienza unica per me. La decisione era di celebrare prima di uscire e insieme, con il personale e chi lo ha operato e ha voluto che facessi io l'omelia. Una cosa del tutto inedita e per me impensabile, celebrare l' Eucarestia con il Papa, il mio vescovo, e nella giornata mondiale di preghiera per la Santificazione dei Sacerdoti. Anche in questo il Papa è stato ispirato. Ho celebrato in tutta serenità. E poi mi ha chiesto di prendere l' Eucarestia e portarla ad una bambina in oncologia pediatrica. E il Papa mi ha detto: vai tu e porta la Comunione a nome del Papa. Quando la mamma mi ha visto arrivare e le ho detto che il Papa mi aveva inviato, poco ci mancava che svenisse. Ho anche fatto un video della mamma che ringraziava il Papa e l'ho mandato al Pontefice. Sono cose che non si dimenticano.
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