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Un servizio di EWTN News

Dal Dicastero per la Comunicazione Vaticano, un vademecum per abitare il digitale

La conferenza stampa di presenza del documento "Verso una piena presenza", Sala Stampa della Santa Sede, 29 maggio 2023

Come la Chiesa deve abitare il digitale? Superando la logica dell’aut aut, considerando virtuale e reale come un unico spazio di evangelizzazione, raccontando storie e mettendo in piazza la propria testimonianza e non limitandosi a scambiare informazioni, e prendendo sul serio l’influenza che ciascun cristiano può avere nell’ambiente digitale. Sono i punti centrali di un lungo documento del Dicastero della Comunicazione vaticano, intitolato “Verso la piena presenza. Una riflessione pastorale sull’impegno nei social media”.

Non è un tipo di documento nuovo per la Chiesa, che dal 1995 è online con un sito internet e tutti i testi dei Papi disponibili, cosa che ne ha fatto un pioniere della comunicazione digitale. E vale la pena di ricordare che nel 2002 uscirono due istruzioni del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, “La Chiesa ed Internet” ed “Etica in Internet”. Ovviamente, però, le sfide sono sempre diverse, e anche il cammino sinodale in cui la Chiesa è impegnata oggi ha dimostrato la necessità di coinvolgersi ancora di più nel mondo digitale.

Il documento del Dicastero parla di una sfida pastorale, ed il linguaggio è in linea con l’idea di Papa Francesco di mettere l’evangelizzazione al primo posto. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero della Comunicazione, spiega che “il documento non è un direttorio, né una sorta di guideline teorico-pastorale, il suo focus è l’uomo, non la macchina, il cuore e non l’algoritmo”.

In 87 punti, il documento fa prima una ampia disamina dello spazio digitale come si presenta adesso, guardando anche agli sviluppi dell’intelligenza artificiale e agli algoritmi che ormai dominano la percezione umana perché preposti a selezionare ed evidenziare le informazioni che ritengono migliori nel sovraccarico informativo di oggi.

E già queste sono sfide non da poco. Anche perché ci si trova di fronte ad una Chiesa che da una parte ha bisogno di abitare il virtuale, ma dall’altra è chiamata a costruire comunità; che da una parte approfitta delle innovazioni tecnologiche per fare arrivare le liturgie nelle case di tutti (è successo durante il lockdown), ma dall’altra sa che l’Eucarestia “non si può guardare”, si deve vivere, e si deve vivere in comunità.

Monsignor Lucio Ruiz, segretario del Dicastero della Comunicazione, afferma: “La nostra cultura va assunta per essere redenta, e che redenta va assunta e vissuta. È questo il nostro luogo che dobbiamo abitare, è questo lo spazio dove trovare gli uomini e le donne per annunziare il lieto messaggio. È la nostra terra di missione”.

Ecco allora che la necessità prima è quella di costruire comunità, di “condividere un pasto”, attività che non si può fare virtualmente, ma solo stando davvero insieme. In fondo, si tratta di trasportare la logica del samaritano anche nella piazza virtuale, con la consapevolezza che “le relazioni comunitarie nelle reti social dovrebbero rafforzare le comunità locali e viceversa”.

Ma come deve essere il cristiano nei social media? “Lo stile cristiano – si legge nel documento - deve essere riflessivo, non reattivo, anche sui social media. Pertanto, dobbiamo essere tutti attenti a non cadere nelle trappole digitali nascoste in contenuti che sono intenzionalmente progettati per seminare conflitti tra gli utenti, provocando indignazione o reazioni emotive”.

La risposta è la testimonianza, e “i social media possono diventare un’opportunità per condividere storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza che sono fisicamente lontane da noi. Così facendo, potremo pregare insieme e cercare insieme il bene, riscoprendo ciò che ci unisce”.

Il documento chiede anche di coltivare un “dialogo con il Padre”, di mantenere spazi di preghiera che ricorderanno sempre “che tutto è stato ribaltato con la croce”.

Quello che sembra venir fuori dal documento è l’idea di “umanizzare” il virtuale. “Cosa significa – si legge - ‘curare’ le ferite sui social media? Come possiamo ‘ricucire’ le divisioni? Come costruire ambienti ecclesiali in grado di accogliere e integrare le “periferie geografiche ed esistenziali” delle culture odierne? Domande come queste sono essenziali per discernere la nostra presenza cristiana sulle ‘strade digitali’.”

Comunque, si legge ancora nel testo, “c’è ancora molto su cui riflettere nelle nostre comunità di fede rispetto a come sfruttare l’ambiente digitale in un modo che integri la vita sacramentale. Sono state sollevate questioni teologiche e pastorali su vari aspetti: ad esempio, lo ‘sfruttamento commerciale’ della ritrasmissione della Santa Messa”.

Un punto di partenza, dunque, non un punto di arrivo. Con la consapevolezza che “per comunicare la verità, dobbiamo innanzitutto accertarci di trasmettere informazioni veritiere; non solo nel creare i contenuti, ma anche nel condividerli. Dobbiamo assicurarci di essere davvero una fonte attendibile”.

Ma anche che “per comunicare bontà, abbiamo bisogno di contenuti di qualità, di un messaggio orientato ad aiutare, non a danneggiare, a promuovere un’azione positiva, non a perdere tempo in discussioni inutili”.

E ancora, “per comunicare la bellezza, dobbiamo accertarci che stiamo comunicando un messaggio nella sua interezza, il che richiede l’arte della contemplazione, arte che ci permette di vedere una realtà o un evento in relazione con molte altre realtà ed eventi”.

Si riparte allora da Gesù Cristo “via, verità e vita”, punto fermo nel contesto delle post-verita e delle fake news, e anche guardando al mondo dei social nella loro funzione commerciale, e non più di condivisione. Ci vuole la consapevolezza, insomma, che siamo tutti consumatori e fruitori allo stesso tempo, che tutto può essere strumentalizzato.

Il cristiano, allora, può rispondere con l’ascolto, specialmente per contrastare la velocità e l’immediatezza della cultura digitale. “Impegnarsi nell’ ascolto sui social media è un punto di partenza fondamentale per progredire verso una rete fatta non tanto di byte, avatar e ‘mi piace’ quanto di persone. In questo modo passiamo dalle reazioni rapide, dalle ipotesi fuorvianti e dai commenti impulsivi al creare opportunità di dialogo, sollevare domande per saperne di più, manifestare cura e compassione, e riconoscere la dignità di coloro che incontriamo”.

Un tema particolarmente importante anche considerando il percorso sinodale oggi in corso. Suor Nathalie Becquart, sottosegretario della Segreteria Generale del Sinodo, parla di un percorso sinodale che ha portato a questo documento, nascendo da un processo dalla base, perché “molti cristiani chiedono ispirazione e guida, poiché i social media hanno avuto un impatto profondo” anche sulla nostra fede. Anzi, i giovani nel pre-sinodo dei giovani avevano chiesto “riflessioni per aiutarli a discernere in Internet e a muoversi nello spazio digitale per vederli come spazio fecondo per l’evangelizzazione”, ed è un tema che è venuto fuori anche durante la fase continentale dell’attuale percorso sinodale.

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