Città del Vaticano , 13 March, 2023 / 4:00 PM
In quelli che sono gli ultimi sforzi diplomatici “pubblici” di Papa Francesco, il Papa ha reiterato più volte che è pronto ad andare a Kyiv, ma solo se questo viaggio potrà essere combinato con un viaggio a Mosca. E sono intenzioni che dimostrano una volontà diplomatica forte di Papa Francesco: la volontà di non prendere posizione alcuna, ma anzi piuttosto di poter parlare con tutti gli interlocutori. Anche se questa volontà di dialogo a tutti i costi potrebbe essere in qualche modo male interpretata.
È una linea guida che è stata costante durante il pontificato di Papa Francesco. In dieci anni, Papa Francesco ha abbandonato la tradizionale prudenza diplomatica della Santa Sede, decidendo piuttosto per un approccio pragmatico di dialogo diretto. Le linee guida di questo approccio si leggono già nella Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica che è in qualche modo la base ideologica del pontificato. Papa Francesco intende aprire processi, più che proporre soluzioni.
Visto da questo punto di vista, tutte le azioni diplomatiche del pontificato sembrano allinearsi in una certa logica. Il criterio vale sia per il primo successo diplomatico della Santa Sede, ovvero la mediazione per il ripristino delle relazioni tra Santa Sede e Cuba nel 2014, che per l’ultimo controverso accordo con la Cina per la nomina dei vescovi, siglato nel 2018 e rinnovato già due volte. Ma vale anche per le “regole di ingaggio” del primo incontro di un Papa con un Patriarca di Mosca, avvenuto a Cuba nel 2016, e, appunto, per la questione di una eventuale mediazione per giungere alla pace nella guerra in Ucraina.
L’idea di aprire processi si unisce anche alla volontà di sviluppare un dialogo ecumenico e interreligioso, che porti ad una alleanza tra le religioni su temi concreti. Inoltre, Papa Francesco basa buona parte della sua diplomazia sulla nozione del dovere di proteggere – e anche questa è una linea guida che si applica ad un ampio spettro di circostanze. C’è, infine, una diplomazia dei viaggi pontifici che si è applicata nel tempo, e anche quella ha i suoi linguaggi.
La diplomazia dei viaggi pontifici
Al momento, Papa Francesco ha compiuto 40 viaggi internazionali. C’è sempre curiosità, tuttavia, per quella che sarà la meta del prossimo viaggio. Ci sarà Budapest dal 28 al 30 aprile, ed è scontato che il Papa sarà a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù ad Agosto. Si parla già, però, di un viaggio del Papa in Mongolia, da dove arriverebbe direttamente da Marsiglia, Francia.
Funzionerebbe così: il Papa andrebbe a Marsiglia per partecipare all’incontro dei vescovi del Mediterraneo, e poi da lì andrebbe direttamente in Mongolia, là dove nessun Papa è andato finora.
Così impacchettato, il viaggio mostrerebbe due criteri cardine di Papa Francesco nella scelta delle nazioni da visitare. Il primo: non andare in nazioni che hanno già un loro peso. Il Papa non andrà in Francia, ma a Marsiglia, senza passare dalla capitale, mettendo così in luce che il passaggio in territorio francese sarà solo per un evento. Era successo così anche nel 2014, quando Papa Francesco andò a Strasburgo per visitare il Consiglio d’Europa.
Il secondo criterio: privilegiare le nazioni piccole, andando là dove c’è bisogno di Dio.
La Mongolia è una nazione mai visitata da un Papa prima, ed ha un gregge cattolico molto piccolo. Non a caso, il Papa ha voluto creare cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaan Bator, a segnalare una particolare predilezione per il Paese che, tra l’altro, si trova al confine con la Cina.
Papa Francesco, poi, ha sempre voluto che i viaggi avessero un particolare significato di dialogo. In Europa, le scelte dei luoghi sono quasi sempre ricadute su posti dove i cattolici sono minoranza: Bulgaria, Romania e Macedonia del Nord nel 2019, i Paesi Baltici nel 2018 (dove solo la Lituania è in maggioranza cattolica), Grecia e Cipro nel 2021, la Svezia nel 2016, e la visita al Consiglio Mondiale delle Chiese nel 2018.
Sono scelte di campo precise, che prevedono proprio l’apertura di processi. La visita in Bulgaria, per esempio, fu anche occasione di un incontro con la Chiesa Ortodossa Bulgara, che non partecipa neanche alla Commissione Teologica Mista Cattolica Ortodossa.
La mediazione della Santa Sede
Cuba è diventata il luogo di due dei successi più importanti del pontificato: l’incontro con Kirill, ma anche il luogo da cui arrivare negli Stati Uniti, a simboleggiare quella riapertura delle relazioni diplomatiche di cui la Santa Sede si è fatta facilitatore. E lo ha potuto fare in nome dei 75 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la isla e in nome del grande lavoro fatto nei tempi passati. Niente nella Chiesa accade all’improvviso, tutto è frutto di un lungo lavoro.
Così, dai viaggi si arriva a capire il lavoro diplomatico.
Cuba è il segno di un nuovo impulso alle mediazioni pontificie, che hanno operato finché è stato possibile in Venezuela su diretta richiesta delle parti in causa, ma anche in Nicaragua, dove ora la linea diplomatica sembra essere quella di rimanere un passo indietro. La decisione di non nominare un nuovo nunzio, dopo l’espulsione improvvisa da Managua dell’arcivescovo Waldemar Sommertag, va nella direzione di non dover dialogare con il governo di Managua per il gradimento di un diplomatico, pur mantenendo una presenza nel Paese.
La linea del dialogo è stata applicata anche nei difficili rapporti con la Cina. Papa Francesco ha voluto un accordo per la nomina dei vescovi, firmato nel 2018 e rinnovato già due volte per due anni. Finora, solo sei vescovi sono stati nominati dopo l’accordo, mentre Pechino sembra voler spingere sempre più le religioni (e non solo il cattolicesimo) ad un processo di cosiddetta “sinicizzazione”.
La linea, però, è di avere prima di tutto un accordo, anche se non perfetto, per poter avere una base su cui trattare.
Le guerre nel mondo
Il criterio del dialogo ad ogni costo è stato alla base degli sforzi diplomatici del Papa sulla guerra in Ucraina. La Santa Sede ha seguito la situazione a Kyiv sin dalle proteste di Majdan del 2014. Papa Francesco ha addirittura lanciato una colletta speciale, il Papa per l’Ucraina, mentre nel 2019 ha voluto ci fosse un incontro interdicasteriale in Vaticano con il Sinodo e i vescovi della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.
Papa Francesco ha però voluto mantenere aperti i canali con Mosca, tanto che il suo primo istinto, allo scoppio della guerra, è stato quello di andare personalmente all’ambasciata della Federazione Russa per cercare di parlare con il presidente Vladimir Putin.
Papa Francesco ha poi più volte sottolineato che sono molti i territori impegnati in quella che lui chiama “una guerra mondiale a pezzi”. L’Iraq, che ha visitato personalmente nel 2021; lo Yemen, spesso citato dal Papa; la Siria, il cui nunzio è stato creato dal Papa cardinale.
La diplomazia della preghiera
La Siria è l’esempio della “diplomazia della preghiera” di Papa Francesco, perché fu per la situazione in Siria che Papa Francesco, nel settembre 2013, proclamò una giornata di digiuno e di preghiera per la Siria e per il Medio Oriente. E un’altra preghiera, quella per la pace nei Giardini Vaticani del giugno 2014, è stata usata come grimaldello diplomatico per cercare di creare un punto di incontro.
(La storia continua sotto)
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Bottom of FormNella visione di Papa Francesco, le religioni devono incontrarsi per creare bene comune, il dialogo interreligioso è parte della diplomazia. Si leggono in questa chiave le restaurate relazioni con l’Università al Azhar del Cairo, tra i maggiori centri dell’Islam sunnita.
Durante il viaggio in Egitto nel 2017, il Papa ha partecipato alla Conferenza Internazionale della Pace organizzata dalla stessa istituzione, e ha ribadito ancora una volta che non può esserci violenza in nome di Dio.
Da qui, anche la decisione di recarsi negli Emirati Arabi Uniti, dal 3 al 5 febbraio 2019, così come quella di andare in Marocco, il 30 e 31 marzo 2019. Ad Abu Dhabi, poi, ha firmato con il Grande Imam di Al Azhar Ahmed al Tayyb una dichiarazione sulla Fratellanza Umana che è diventata linea guida diplomatica, tanto che il Papa ne ha regalato una copia a tutti i capi di Stato che gli hanno fatto visita.
Una linea guida diplomatica, quella della Dichiarazione sulla Fraternità, che è stata ben presente nel viaggio di Papa Francesco in Iraq dal 5 all’8 marzo 2021, che ha avuto come momento culminante l’incontro con il Grande Ayatollah al Sistani e quello con le altre religioni alla Piana di Ur (ma senza rappresentanti ebrei, cosa che è sembrata forse una eccessiva prudenza diplomatica). Ma era una linea guida presente anche nell’ultimo viaggio di Papa Francesco nel Golfo, in Bahrein, nel 2022.
Il tema della fraternità è poi sfociato in una enciclica, la Fratelli Tutti, sviluppata durante la pandemia e ora diventata parte degli strumenti diplomatici della Santa Sede e presentata il 15 aprile 2021 ad un evento di Alto Livello presso le Nazioni Unite.
Il dovere di proteggere
Insomma, si deve dimostrare prima di tutto di essere amici. Ma poi, dal punto di vista diplomatico, le cose vanno avanti in maniera precisa. La linea l’ha dettata il Cardinale Parolin, nel settembre 2014, quando da Segretario di Stato passò una settimana al Palazzo di Vetro tra discorsi e conferenze che sono il sale della settimana di inaugurazione della sessione annuale ONU. E la parola d’ordine era “dovere di proteggere”.
Un dovere di proteggere che la Santa Sede, in questi anni, ha applicato all’ambiente (basti pensare all’enciclica Laudato Si e all’impegno per l’accordo con il clima), alle minoranze perseguitate (grazie all’impegno diplomatico della Santa Sede si è cominciato a parlare per la prima volta nelle istituzioni europee di persecuzione dei cristiani), alle persone vittime di traffico di esseri umani (forse il tema principale dell’attività diplomatica di Papa Francesco), ai migranti (Papa Francesco ha destinato un intero ufficio della Curia romana, sotto le sue dirette dipendenze, all’emergenza migranti).
Al tema dei migranti è stato poi dedicato tutto l’impegno diplomatico della Santa Sede nel 2018, in vista dell’accordo globale sulle migrazioni che è stato discusso a Marrakech il 10 e 11 dicembre 2018.
La rete diplomatica
In questi anni, è cresciuta la rete diplomatica della Santa Sede. Sono tre le nazioni che si sono aggiunte alla rete diplomatica della Santa Sede nel corso del Pontificato. Nel 2016, la Mauritania aveva stabilito piene relazioni diplomatiche. Nel 2017, era stato il Myanmar a stringere i legami con la Santa Sede, spianando così la strada al successivo viaggio del Papa nel Paese. E, nel febbraio 2023, la Santa Sede e l’Oman hanno avviato relazioni diplomatiche.
La Santa Sede ha ora relazioni diplomatiche con 184 nazioni nel mondo. E si aspetta che presto si aggiunga a queste nazioni anche il Vietnam, dove la Santa Sede ha attualmente un rappresentante non residente.
Le prossime sfide
In questi dieci anni, la diplomazia di Papa Francesco ha seguito queste linee guida. Ci sono dei grandi temi che sono ricorrenti. Papa Francesco ha spesso messo in guardia dalla colonizzazione ideologica, e ha difeso le culture indigene in diversi interventi, in particolare nei suoi viaggi in America Latina e nel più recente viaggio in Canada.
E si può già prevedere che i prossimi discorsi diplomatici del Papa potranno avere come oggetto anche nuovi temi, come quello dell’intelligenza artificiale, entrata sempre più al centro delle attività.
La linea di Papa Francesco è comunque quella di una diplomazia pratica, prima che del dialogo. Una diplomazia che nasce prima di tutto da relazioni personali, più che da grandi dibattiti. Così, alla fine, ci sono oggi due velocità diplomatiche nella Santa Sede: da una parte, la Segreteria di Stato, che continua il suo programma dei viaggi, mantiene i suoi focus particolari (c’è, ultimamente, un grande interesse per i Balcani) e lavora sui canali diplomatici tradizionali; e dall’altra, Papa Francesco, che opera e decide autonomamente anche sulla base di suggestioni personali.
Il successo di questo modello starà soprattutto nell’abilità degli attori, e del Papa, di portarlo avanti.
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