Kinshasa, 03 February, 2023 / 9:08 AM
L’ultimo appuntamento pubblico nella Repubblica Democratica del Congo è per Papa Francesco l’incontro con la locale Conferenza Episcopale.
Nel discorso il Pontefice ha ribadito come questo Paese sia “cuore verde dell’Africa, un polmone per il mondo intero. L’importanza di questo patrimonio ecologico ci ricorda che siamo chiamati a custodire la bellezza del creato e a difenderla dalle ferite causate dall’egoismo rapace”.
La Chiesa congolese è – ha osservato – “giovane, dinamica, gioiosa, animata dall’anelito missionario, dall’annuncio che Dio ci ama e che Gesù è il Signore. La vostra è una Chiesa presente nella storia concreta di questo popolo, radicata in modo capillare nella realtà, protagonista di carità; una comunità capace di attrarre e contagiare con il suo entusiasmo e perciò, proprio come le vostre foreste, con tanto ossigeno: siete un polmone che dà respiro alla Chiesa universale”.
Siete anche però – ha aggiunto – “una Chiesa che soffre per il suo popolo, una Chiesa che, come Gesù, vuole anche asciugare le lacrime del popolo, impegnandosi a prendere su di sé le ferite materiali e spirituali della gente, e facendo scorrere su di essa l’acqua viva e risanante del costato di Cristo. Con voi vedo Gesù sofferente nella storia di questo popolo crocifisso e oppresso, sconvolto da una violenza che non risparmia, segnato dal dolore innocente, costretto a convivere con le acque torbide della corruzione e dell’ingiustizia che inquinano la società, e a patire in tanti suoi figli la povertà. Ma vedo allo stesso tempo un popolo che non ha perso la speranza”.
Ai vescovi il Papa ha suggerito di vivere il ministero episcopale attraverso “la vicinanza di Dio e la profezia per il popolo”.
“Lasciatevi toccare e consolare – è stato l’appello di Papa Francesco - dalla vicinanza di Dio. Per noi, che abbiamo ricevuto la chiamata a essere Pastori del Popolo di Dio, è importante fondarci su questa vicinanza del Signore, strutturarci nella preghiera, stando ore davanti a Lui. Solo così si avvicina al Buon Pastore il popolo che ci è affidato e solo così si diventa veramente Pastori, perché noi, senza di Lui, non possiamo fare nulla. Che non succeda di pensarci autosufficienti, tanto meno di vedere nell’episcopato la possibilità di scalare posizioni sociali e di esercitare il potere. Lo spirito brutto del carrierismo. E soprattutto: che non entri lo spirito della mondanità. La mondanità è il peggio che può accadere alla Chiesa”.
“Curiamo – ha detto ancora il Pontefice - la vicinanza con il Signore per essere suoi testimoni credibili e portavoce del suo amore presso il popolo. L’annuncio del Vangelo, l’animazione della vita pastorale, la guida del popolo non possono risolversi in principi distanti dalla realtà della vita quotidiana, ma devono toccare le ferite e comunicare la vicinanza divina, perché le persone scoprano la loro dignità di figli di Dio e imparino a camminare a testa alta, senza mai abbassare il capo dinanzi alle umiliazioni e alle oppressioni. Se coltiviamo la vicinanza con Dio, ci sentiamo spinti verso il popolo e sentiremo sempre compassione per quanti ci sono affidati. Rincuorati e rafforzati dal Signore, diventiamo a nostra volta strumenti di consolazione e di riconciliazione per gli altri, per sanare le piaghe di chi soffre, lenire il dolore di chi piange, risollevare i poveri, liberare le persone da tante forme di schiavitù e di oppressione. La vicinanza a Dio rende profeti per il popolo, capaci di seminare la Parola che salva nella storia ferita della propria terra”.
Il secondo aspetto tracciato dal Papa è quello della profezia per il popolo. “La nostra identità episcopale” sia “bruciata dalla Parola di Dio, in uscita verso il Popolo di Dio, con zelo apostolico. Si tratta di collaborare a una storia nuova che Dio desidera costruire in mezzo a un mondo di perversione e di ingiustizia. Anche voi, allora, siete chiamati a continuare a far sentire la vostra voce profetica, perché le coscienze si sentano interpellate e ciascuno possa diventare protagonista e responsabile di un futuro diverso. Bisogna sradicare le piante velenose dell’odio e dell’egoismo, del rancore e della violenza; demolire gli altari consacrati al denaro e alla corruzione; edificare una convivenza fondata sulla giustizia, sulla verità e sulla pace; e, infine, piantare semi di rinascita, perché il Congo di domani sia davvero quello che il Signore sogna: una terra benedetta e felice, mai più violentata, oppressa e insanguinata”.
Ciò non diventi però – è il monito di Francesco – “una azione politica. La profezia cristiana si incarna in tante azioni politiche e sociali, ma il compito dei Vescovi e dei Pastori in generale non è questo. E’ quello dell’annuncio della Parola per risvegliare le coscienze, per denunciare il male, per rincuorare coloro che sono affranti e senza speranza. È un annuncio fatto non solo di parole, ma di vicinanza e testimonianza: vicinanza ai preti, ascolto degli operatori pastorali, incoraggiamento allo spirito sinodale per lavorare insieme. E testimonianza, perché i Pastori devono essere credibili per primi e in tutto, e in particolare nel coltivare la comunione, nella vita morale e nell’amministrazione dei beni”.
Bisogna “saper costruire armonia, senza ergersi su piedistalli, senza asprezze, ma dando il buon esempio nel sostegno e nel perdono vicendevoli, lavorando insieme, come modelli di fraternità, di pace e di semplicità evangelica. Gli affari lasciamoli fuori dalla vigna del Signore! Siamo Pastori e servi del popolo di Dio, non amministratori delle cose, non affaristi”.
“Vi prego – ha proseguito Papa Francesco - di non trascurare il dialogo con Dio e di non lasciare che il fuoco della profezia sia spento da calcoli o ambiguità con il potere, e nemmeno dal quieto vivere e dall’abitudinarietà. Dinanzi al popolo che soffre e all’ingiustizia, il Vangelo chiede di alzare la voce”. E il Papa ricorda l’esempio di “Mons. Christophe Munzihirwa, pastore coraggioso e voce profetica, che ha custodito il suo popolo offrendo la vita, ma il suo seme, piantato in questa terra, insieme a quello di tanti altri, porterà frutto”.
“È bene fare memoria, con gratitudine – ha concluso - dei grandi Pastori che hanno segnato la storia del vostro Paese e della vostra Chiesa, di chi vi ha evangelizzato e preceduto nella fede. Sono le vostre radici, che vi irrobustiscono nell’ardore evangelico”. Siate “profeti di speranza per il popolo, voci concordi della consolazione del Signore, testimoni e annunciatori gioiosi del Vangelo, apostoli di giustizia, samaritani di solidarietà: testimoni di misericordia e di riconciliazione in mezzo a violenze scatenate non solo dallo sfruttamento delle risorse e da conflitti etnici e tribali, ma anche e soprattutto dalla forza oscura del maligno, nemico di Dio e dell’uomo. Però, non scoraggiatevi mai: il Crocifisso è risorto, Gesù vince, anzi ha già vinto il mondo. Siate misericordiosi, perdonare sempre. Rischiate per il perdono. Sempre. E seminerete perdono per tutta la società”.
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