Kinshasa, 01 February, 2023 / 5:12 PM
“Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue”. Incontrando le vittime del conflitto che imperversa a Est del Paese, Papa Francesco non lesina parole dure contro “tutte le entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola”, che si arricchiscono “attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti”. E chiede loro di ascoltare “il grido del loro sangue”, prestando “orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra”.
È un appello che va di pari passo con la necessaria riconciliazione. Arrivando a Kinshasa, Papa Francesco aveva subito detto che il futuro della nazione era nelle mani delle persone. E le persone devono passare attraverso una necessaria riconciliazione, andando oltre l’odio etnico, riscoprendo nel vicino il fratello, e superando il senso di vendetta. Un tema, questo, cruciale nell’Est del Paese, dove si sono contate fino a 60 bande armate, ma dove a contare sono soprattutto due, M23 e la FDA. Le prime, che sono arrivate quasi a demarcare un confine invisibile con lo Stato congolese, che passa da Goma, proprio dove l’ambasciatore italiano Luca Attanasio è stato ucciso e dove il Papa avrebbe voluto celebrare Messa. Le seconde, entrando sempre più a contatto con l’ISIS.
Se il Papa non può andare a Goma, allora è Goma ad andare dal Papa, e le testimonianze di Ladslas, Bijoux, Emelda, che faranno un atto di impegno per perdonare, ma che per ora raccontano solo le violenze che hanno vissuto.
Sono storie durissime, dal bambino di 9 anni rapito che perdona i carnefici alla ragazza di appena 17 anni, rimasta 19 mesi nelle mani dei gruppi armati, violentata, rimasta incinta e ora madre di due gemelli che “non conosceranno mai il loro padre”, che è riuscita a fuggire fortunosamente. Dalla donna che a 15 anni era stata rapita, ridotta a schiava sessuale per tre mesi, cibata di carne umana con carne animale che non si poteva rifiutare di mangiare, pena essere fatti a pezzi, fino al giovane che racconta il dramma della distruzione e del saccheggio nel suo villaggio. Ci sono alcune donne mutilate. Tutti portano un segno e lo metttono sotto la croce, tutti chiedono e danno perdono, con un impegno letto insieme in un momento toccante. La Chiesa è il luogo di consolazione per loro, perché Caritas e parrocchie danno loro consolazione e aiuto.
Il Papa cita ad uno ad uno i luoghi delle tragedie - Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira – sottolinea che i media internazionali non “li menzionano quasi mai”, eppure è lì che le persone vengono prese in ostaggio da chi ha le armi più potenti.
Papa Francesco si rivolge agli abitanti dell’Est, dice che è loro vicino, e “le vostre lacrime sono le mie lacrime, il vostro dolore è il mio dolore”. E ancora, aggiunge il Papa, “Dio vi ama e non si è scordato di voi, ma pure gli uomini si ricordino di voi!”
In nome di Dio, il Papa condanna “le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi, il saccheggio di campi e di bestiame che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo”.
Ma il Papa punta il dito anche contro il “sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese, così come i tentativi di frammentarlo per poterlo gestire”, poiché “riempie di sdegno sapere che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi”.
Papa Francesco chiede a Dio “perdono per la violenza dell’uomo sull’uomo”, e di consolare “le vittime e coloro che soffrono, convertendo i cuoi di “chi compie crudeli atrocità, che gettano infamia sull’umanità intera”, e aprendo “gli occhi a coloro che li chiudono o si girano dall’altra parte davanti a questi abomini”.
Papa Francesco nota che questi conflitti “costringono milioni di persone a lasciare le proprie case, provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare”.
Il Papa non si addentra nella complessa situazione congolese, sottolinea che si tratta di “lotte di parte in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo”, o di “conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso dio”.
Per Papa Francesco, però, si tratta soprattutto di una “guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!”
Il Papa propone due no e due sì alla popolazione stremata dalle violenze. Prima di tutto, il “no” alla violenza, senza se e senza ma, perché “amare la propria gente non significa nutrire odio nei riguardi degli altri”, ma piuttosto “rifiutare di lasciarsi coinvolgere da quanti incitano a ricorrere alla forza”.
“L’odio e la violenza – chiosa Papa Francesco – non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, e a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera altro odio e la violenza altra violenza”.
E va detto “no” a chi propaga odio e violenza in nome di Dio, perché “Dio è Dio della pace e non della guerra”.
“Predicare l’odio – aggiunge il Papa - è una bestemmia, e l’odio sempre corrode il cuore dell’uomo. Infatti, chi vive di violenza non vive mai bene: pensa di salvarsi la vita e invece viene inghiottito in un gorgo di male che, portandolo a combattere i fratelli e le sorelle con cui è cresciuto e ha vissuto per anni, lo uccide dentro”.
Per farlo, non basta evitare atti violenti, ma si devono piuttosto “estirpare le radici della violenza”, come “avidità, invidia e rancore”, con il coraggio di “disarmare il cuore” come hanno fatto i testimoni di oggi, che non vuole dire “smettere di indignarsi di fronte al male e non denunciarlo” né “significa impunità e condono delle atrocità, andando avanti come nulla fosse”.
Si deve, piuttosto “smilitarizzare il cuore”, vale a dire “togliere il veleno, rigettare l’astio, disinnescare l’avidità, cancellare il risentimento”, un atto “sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà la pace”.
Poi, il Papa chiede un “no alla rassegnazione”, perché “la pace chiede di combattere lo scoraggiamento, lo sconforto e la sfiducia che portano a credere che sia meglio diffidare di tutti, vivere separati e distanti piuttosto che tendersi la mano e camminare insieme”.
Il Papa rinnova l’invito a tutti quanti sono in Repubblica Democratica del Congo a impegnarsi per “costruire un futuro migliore”, perché “un avvenire di pace non pioverà dal cielo, ma potrà arrivare se si sgombreranno dai cuori il fatalismo rassegnato e la paura di mettersi in gioco con gli altri”
“Tutti con qualcuno” e non “tutti contro qualcuno”, in un mondo in cui “l’altro, tutsi o hutu che sia, non sarà più un avversario o un nemico, ma un fratello e una sorella nel cui cuore bisogna credere che c’è, pur nascosto, lo stesso desiderio di pace. Anche nell’Est la pace è possibile! Crediamoci! E lavoriamoci, senza delegare il cambiamento!”
Il Papa ammonisce che “non si può costruire l’avvenire restando chiusi nei propri interessi particolari, ripiegati nei propri gruppi, nelle proprie etnie e nei propri clan”. Ricorda il proverbio swahili “jirani ni ndugu” [il vicino è un fratello], e questo vale per tutti quelli che sono vicini, “siano essi burundesi, ugandesi e ruandesi”, tutti fratelli perché “figli dello stesso padre”, e tutti chiamai a dire insieme “mai più violenza, mai più rancore, mai più rassegnazione!”.
Quindi, Papa Francesco chiede di dire sì alla riconciliazione. Il Papa loda l’impegno a perdonarsi a vicenda e ripudiare le guerre e i conflitti “per risolvere distanze e differenze”, da fare sotto “l’albero della croce”, che era “uno strumento di dolore e di morte”, che “attraversato dall’amore di Gesù, è divenuto strumento di riconciliazione, albero di vita”.
Alle vittime che stanno per prendere l’impegno di perdonarsi, il Papa chiede di essere “alberi di vita”, ricordando loro che “la fede porta con sé una nuova idea di giustizia, che non si accontenta di punire e rinuncia a vendicare, ma vuole riconciliare, disinnescare nuovi conflitti, estinguere l’astio, perdonare”.
(La storia continua sotto)
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È una prospettiva che “è più potente del male” perché “trasforma la realtà da dentro invece di sconfiggerla da fuori”, dato che “solo il perdono apre le porte al domani, perché apre le porte a una giustizia nuova che, senza dimenticare, scardina il circolo vizioso della vendetta”.
Papa Francesco sottolinea che “riconciliarsi è generare il domani”, che significa “credere nel futuro anziché restare ancorati al passato; è scommettere sulla pace anziché rassegnarsi alla guerra; è evadere dalla prigione delle proprie ragioni per aprirsi agli altri e assaporare insieme la libertà”.
Il “sì” decisivo è quello alla speranza, perché “se si può rappresentare la riconciliazione come un albero, la speranza è l’acqua che la rende florida”. E la sorgente di questa speranza è Gesù, perché con Gesù “il male non ha più l’ultima parola sulla vita”, con lui si aprono “nuove possibilità” e “ogni tomba può trasformarsi in una culla, ogni calvario in un giardino pasquale”.
Gesù fa nascere la speranza sia “per chi ha subito il male che per chi lo ha commesso” ed è questa speranza che il Papa indica ai fratelli dell’Est del Congo, sottolineando però che questa “è anche un diritto da conquistare, seminandola ogni giorno con pazienza”.
Significa lavorare “pensando alle generazioni future e non ai risultati immediati”, perché “seminare il bene fa bene”, in quanto “libera dalla logica angusta del guadagno personale e regala a ogni giorno il suo perché: porta nella vita il respiro della gratuità e ci rende più simili a Dio, seminatore paziente che sparge speranza senza stancarsi mai”.
Papa Francesco ringrazia i “seminatori di pace che operano nel Paese”, ricorda l’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo nel febbraio 2021, e poi esprime vicinanza agli abitanti di Ituri, del Nord e del Sud del Kivu, prega perché la donna “sia rispetta e valorizzata”, perché “commettere violenza nei confronti di una donna e di una madre è farla a Dio stesso, che da una donna, da una madre, ha preso la condizione umana”.
Conclude Papa Francesco “Gesù, nostro fratello, Dio della riconciliazione che ha piantato l’albero di vita della croce nel cuore delle tenebre del peccato e della sofferenza, Dio della speranza che crede in voi, nel vostro Paese e nel vostro futuro, vi benedica e vi consoli; riversi la sua pace nei vostri cuori, nelle vostre famiglie e sull’intera Repubblica Democratica del Congo”.
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