Roma, 28 January, 2023 / 1:00 PM
Nel messaggio in occasione del convegno sul morbo di Hansen all’Augustinianum di Roma dal titolo ‘Non lasciare indietro nessuno’, svoltosi nella settimana scorsa, papa Francesco aveva sollecitato a non dimenticare la malattia che colpisce ancora in tanti, soprattutto nei luoghi più disagiati, ricordando la 70^ giornata mondiale dei malati di lebbra, istituita nel 1953 da Raul Follereau: “La lebbra, nota anche come morbo di Hansen, è una delle malattie più antiche della storia umana. Quello che persino la Bibbia, da sola, non basta a ricordarci è che lo stigma legato alla lebbra continua a provocare gravi violazioni dei diritti umani in varie parti del mondo… Non possiamo dimenticare questi nostri fratelli e sorelle. Non dobbiamo ignorare questa malattia, che purtroppo colpisce ancora tanti, specialmente in contesti sociali più disagiati”.
Infatti domenica 29 gennaio nelle piazze italiane si svolge la 70^ giornata mondiale dei malati di lebbra, intitolata ‘Nessuno ai margini’, organizzata dall’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follerau) ed istituita da Raoul Follerau nel 1954, anno in cui scriveva: “Sono sicuro che, un giorno, la carità avrà ragione della violenza, dell’egoismo e del denaro. Sono certo che arriverà un giorno senza più carestie, tuguri e guerre; bambini senza amore; vecchi senza casa; quando tutti quelli che vivranno avranno il diritto di vivere… La nostra ricompensa sarà di aver creduto a questo paradiso, prima di averlo visto”.
Partendo da tali sollecitazioni alla responsabile del Coordinamento Comunicazione e Raccolta Fondi di AIFO, Federica Dona, abbiamo chiesto di spiegarci lo slogan della campagna per debellare la lebbra: “Antonio Lissoni, presidente di AIFO, spiega che ‘il significato della GML non si ferma alla malattia. La lebbra ha il forte valore simbolico di rappresentare tutte quelle malattie, disabilità o situazioni che causano discriminazione, esclusione a tutte quelle persone alle quali non viene riconosciuta la dignità di essere persona per una causa indipendente dalla propria volontà’. Per questo ‘Nessuno ai margini’ è il nostro obiettivo, soprattutto se parliamo di salute”.
Dopo 70 anni, perché ancora non è possibile debellare la lebbra?
“AIFO continua il suo impegno, dopo 70 anni, perché la lebbra continua a colpire più di 140.000 nuove persone ogni anno, con una tendenza ad aumentare: dal 2020 al 2021 si è registrato un incremento del 10% a causa del Covid19. Nei paesi dove la malattia è endemica, oltre alle condizioni precarie di igiene, mancano o non sono sufficientemente formati medici e soprattutto personale sanitario di base nei territori delle comunità più povere per il rapido riconoscimento dei sintomi e soprattutto per la prevenzione. AIFO, quindi, segue la strategia OMS per debellare la lebbra: ricerca attiva dei nuovi casi; interruzione della trasmissione attraverso la cura tempestiva e relativa prevenzione delle disabilità; sensibilizzazione delle persone e delle comunità perché ci sia conoscenza della malattia e della cura e si interrompa la discriminazione che tale malattia si porta dietro. La lebbra sarà debellata solo se la considerariamo come un problema di salute pubblica e un obiettivo comune perché nessuno debba più soffrire a causa di essa.
La precocità della diagnosi, sottolinea il dott. Gazzoli, è essenziale per interrompere la catena di trasmissione e per prevenire le disabilità. Secondo le stime dell’OMS, nel mondo vi sono più di 3.000.000 persone trattate che presentano disabilità gravi e richiedono cure quotidiane. Le disabilità, oltre a determinare un importante carico sanitario a lungo termine, tendono a perpetuare il preconcetto e lo stigma e molte persone, dopo il trattamento, permangono isolate, segregate, senza lavoro e senza possibilità di reinserimento sociale”.
Per quale motivo è una malattia dimenticata?
“La lebbra ancora oggi evoca paure ancestrali per molti fedeli delle principali religioni e una repulsione che emargina e ferisce forse più della malattia stessa. E’ dimenticata perché colpisce soprattutto le persone povere ed emarginate, che non sono in grado di accedere alle cure primarie o comunque di pagarsele. La lebbra non è più una malattia incurabile. Come spiega il medico chirurgo di AIFO ed esperto di malattie tropicali, il dott. Giovanni Gazzoli di AIFO, ‘dal 1981 è curabile grazie ad un trattamento specifico standard, definito dall’OMS, chiamato polichemioterapia con l’associazione di tre farmaci. Dopo l’inizio del trattamento, la persona non è più contagiosa e di conseguenza non è necessario l’isolamento’. Il problema è che a questo trattamento si arriva troppo tardi perché i sintomi non sono stati diagnosticati in tempo.
La Lebbra colpisce ancora solo perché è dimenticata dai sistemi sanitari nazionali insieme ad una ventina di altre ‘Malattie Tropicali Neglette’ (classificate così dall’OMS) che colpiscono 1.000.000.000 di persone nel mondo, di queste la metà sono bambine/i al di sotto dei 14 anni. La lebbra e le altre MTN hanno le cause più profonde nella povertà che ostacola l’accesso alle cure primarie e provoca emarginazione”.
Quale è l’eredità di Raoul Follerau?
“Fin dall’inizio Follereau non si accontenta di parlare solo dei malati di lebbra. La malattia è radicata soprattutto laddove ci sono povertà e fame. Se da un punto puramente medico è assolutamente curabile, sono soprattutto l’indifferenza, l’egoismo che impediscono di combattere fame e miseria e di rompere l’isolamento che sono all’origine della malattia e della condizione dei malati.
Questa è l’eredità di Follereau, impegnarsi incessantemente a denunciare quelle che chiamerà le ‘altre lebbre’, ed in modo particolare il culto del denaro. Significativa da questo punto di vista è la sua concezione della solidarietà: non basta liberarsi la coscienza gettando un obolo, ma è necessario impegnare la propria coscienza a liberare il mondo. Ritorna più forte che mai il concetto di Amare è agire, dove l’amore diventa la precondizione dell’azione materiale, altrimenti destinata a restare sterile”.
Per quale motivo oggi ancora non sappiamo scegliere tra ‘bomba atomica o carità’?
“Ancora oggi il mondo non sa scegliere tra '’bomba atomica o carità’, perché esistono ancora le altre lebbre di cui parlava Follereau, esistono egoismi, disuguaglianze, ingiustizie. Per questo il lavoro di AIFO in Italia è continuare a sensibilizzare le persone, soprattutto i giovani, sull'importanza del perseguire la giustizia, l’inclusione e la salute per tutti, mentre nei progetti all’estero AIFO rivolge la sua attenzione sulla persona con fragilità e con lei si occupa del suo sviluppo e della sua dignità.
Dalle parole del presidente di AIFO, Antonio Lissoni, possiamo dire che cooperare significa essere capaci di ascoltare, portare esperienze, crescere con la comunità fragile; la persona in difficoltà è il soggetto protagonista della sua dignità e della sua autonomia e non l’oggetto di un’azione che risolve un problema. Penso spesso alle origini di AIFO, alla lebbra, non ai numeri, ma alla sua capacità di rappresentare le condizioni di coloro ai quali non viene riconosciuta la dignità, vorrei dire lo ‘status’ di persona a causa di una situazione indipendente da loro stessi.
Noi possiamo, anzi facciamo, con queste persone, percorsi comuni di formazione, di presa di coscienza, di dignità e diritti, ma non basta, perché un ex malato di lebbra o di altre malattie invalidanti, così come una persona con disabilità o ancor più una donna disabile resteranno sempre marchiati, stigmatizzati. Noi possiamo fare, anzi facciamo anche una formazione che consenta loro di raggiungere un’autonomia economica, li sosteniamo economicamente, ma non basta, rimarranno sempre ‘lebbrosi’ o malati o disabili. Ecco allora il senso, la necessità del lavoro sulle risorse attive della comunità per la salute di tutti, con l’impegno di azioni accoglienti e rispettose dei diritti di ognuno, nella varietà e nella diversità di ciò che ciascuno può dare.
(La storia continua sotto)
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La comunità che supera pregiudizi e paure irragionevoli si sviluppa in modo inclusivo, è consapevole dei propri problemi, delle difficoltà, ma anche del percorso che ha imboccato e che può seguire. Le persone, ex malati o disabili, che hanno seguito questo percorso di consapevolezza, non solo sono reintegrati come risorse, ma continueranno a ritrovarsi in gruppi di persone con disabilità, continueranno a discutere dei loro problemi, delle loro necessità, delle loro attese.
Sapranno essere interlocutori concreti delle autorità locali e delle altre organizzazioni sociali con l’idea di uno sviluppo che sappia accogliere anche i più deboli e questa loro emancipazione, unita alla consapevolezza acquisita dalle risorse attive della comunità, sono la garanzia di uno sviluppo non solo concreto, ma soprattutto irreversibile. Possiamo dire con una semplificazione, che però coglie la sostanza, che la disabilità, la lebbra ed altre malattie invalidanti possono diventare forme concrete di cambiamento di tutta la comunità”.
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