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Un servizio di EWTN News

Blasfemia in Europa, una sentenza controversa, un latente pregiudizio anti cristiano

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a Strasburgo, Francia

Il 20 dicembre 2013, Eloïse Bouton, esponente del collettivo Femen, entrò nella chiesa di Santa Maria Maddalena in Parigi indossando un velo azzurro e una simil corna di spina. Come costume del collettivo Femen, aveva il petto nudo e il corpo tatuato con alcuni slogan. Davanti all’altare, in corrispondenza del tabernacolo, mimò l’aborto con l’aiuto di due pezzi di fegato di manzo. Il gesto blasfemo fu condannato in Francia con sentenza definitiva ad un mese di reclusione. Ma la donna è invece stata assolta dalla Corte Europea dei Diritti Umani, con una sentenza che il Centro Studi Livatino non ha esitato a definire “illogica e contradditoria”. Mentre il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia nota che, se sentenze simili sono la norma quando si parla di cristiani, la questione è tutta diversa se riguarda altre fedi.

Il gesto di Bouton aveva l’intenzione di rivendicare il diritto all’aborto. Tanto che all’altezza del ventre aveva tatuata lo slogan “344eme salope”, riferendosi al manifesto che 343 donne avevano reso pubblico nel 1971, dichiarando di avere abortito, mentre sulla schiena aveva la frase: “Natale è cancellato”.

Per comprendere il gesto, si deve andare alle origini del movimento Femen. Si tratta di un movimento femminista radicale, nato in Ucraina nel 2008 e che oggi ha sede centrale a Parigi, Il suo scopo è compiere azioni provocatorie contro la religione, per sostenere una agenda pro-aborto, anti-violenza delle donne, pro-diritti degli omosessuali. Le azioni sono svolte da donne che usano il corpo, nudo completamente e parzialmente, ricoperto di tatuaggi e slogan. L’intenzione è quella di creare uno shock emotivo.

La performance della chiesa della Maddalena era chiaramente blasfema. Di fatto, però, utilizzava una aperura nel diritto penale francese, che non ha alcuna norma diretta di difesa della libertà religiosa.

Dopo la denuncia del rettore della chiesa, dunque, il procuratore pubblico francese ha condannato Bouton per “esibizione sessuale” ad un mese di prigione. La pena è stata sospesa. È stato richiesto anche un risarcimento di 2000 euro e la partecipazione alle spese legali per 1500 euro. La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Appello, che ha anche definito che il gesto non era giustificato dall’articolo 10 della Convenzione Europea, perché non era stata limitata alcuna libertà di espressione, mentre Bouton aveva attentato alla libertà di pensiero di altre persone e aveva violato la libertà religiosa in generale.

Anche la Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso, sempre spiegando che non era stata in alcun modo limitata la libertà di espressione della donna, anzi aggiungendo che la libertà di espressione deve conciliarsi con il diritto delle altre persone di non essere disturbate nella pratica della propria religione, come sostiene l’articolo 9 della Convenzione Europea.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha invece ribaltato la sentenza, condannando invece la Repubblica Francese a versare a Bouton 9800 euro per il danno morale procuratole, perché la condanna sarebbe una ingerenza indebita nell’esercizio del suo diritto di liberà.

Secondo il Centro Studi Livatino, “l’argomentazione della Corte è confusa e contraddittoria, tale da viziare gravemente la validità giuridica della sentenza.

Invero, dopo aver osservato che l’ingerenza pubblica deve essere valutata alla luce dell’insieme della vicenda, dei motivi invocati per giustificarla e dello scopo perseguito dal soggetto, ha iniziato il suo discorso denunciando la natura e la pesantezza della pena inflitta alla donna”.

La Corte ha dichiarato anche che “la prigione è ammissibile soltanto allorché siano offesi i diritti fondamentali tramite discorsi di odio o di incitamento alla violenza”. Ma con ciò – aggiunge il Centro Studi Livatino – “la Corte ha omesso di considerare che la performance della militante Femen integrava qualcosa di più grave di un semplice discorso di odio”, perché tutta la scena è “intrisa di odio barbaro verso la religione cristiana”, rendendo evidente che “l’obiettivo della rappresentazione era di nuocere alla onorabilità e alla credibilità della religione eccitando reazioni di disprezzo verso la Chiesa Cattolica in quella parte di popolazione che ritiene che l’aborto sia un ‘diritto’.”

Nemmeno è stato considerato l’episodio nel suo insieme, tanto che non ha considerato le varie blasfemie della performance.

Il centro Studi arriva a concludere che “la sentenza della Corte Europea è inequivocabilmente contra ius e pertanto è illegittima e iniqua”.

Una conclusione analoga è stata raggiunta da Gregor Puppinck, direttore dello European Center for Law and Justice (ECLJ).

L’ECLJ nota che la corte arriva addirittura a spiegare che Bouton voleva contribuire “al dibattito pubblico sui diritti delle donne, più specificamente sul diritto all’aborto”.

Puppinck ricorda che recentemente la stessa Corte aveva rigettato l’appello di un cattolico per non aver indicato in maniera precisa a quali Messe non aveva potuto partecipare durante la crisi COVID, in un periodo in cui tute le Messe erano proibite.

Puppinck nota che “sta diventando una abitudine che la Corte Europea per i Diritti Umani difenda questi attacchi nelle chiese e contro la Chiesa”, tanto che nel 2018 la stessa Core aveva sabilito che “la blasfema provocazione del gruppo punk fumminista Pussy Riots nel coro della cattedrale ortodossa di Mosca fosse una forma di espressione protetta dalla Corte”.

L’avvocato delle Pussy Riots, nota il direttore dell’ECLJ a margine, lavorava per la fondazione di George Soros e ora è un giudice della stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Sempre nel 2018, ricorda Puppinck, la corte “ha condannato la Lituania per aver sanzionato pubblicità blasfeme che mostravano Cristo e la Vergine Maria”.

Una posizione che “è piuttosto differente se si parla di Islam”. Nel 2018, per esempio, “la Corte Europea dei Diritti Umani sostenne l’incriminazione di un conferenziere austriaco che fu accusato di aver definito come pedofilia la relazione sessuale di Maometto con Aicha”, sottolineando che il conferenziere non “avesse cercato di informare il pubblico in maniera obiettiva, ma di dimostrare che Maometto non è degno di culto”, e anzi parlare di pedofilia era “una generalizzazione senza basi fattuali”, costituendo così “una maliziosa violazione dello spirito di tolleranza alla base delle società democratiche”.

Si chiede Puppinck come non si possa vedere in questo “un doppio standard, accoppiato ad una cecità colpevole?” E conclude: “Proviamo a immaginare un mondo senza Cristo: vedremo guerra e barbarie. Stiamo già vedendo questa caduta”.

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