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Un servizio di EWTN News

Daniele Comboni, il suo epistolario racconta vita e missione con l'amore per l'Africa

“Ho finito finalmente i santi esercizi. Dopo essermi consigliato con Dio, e cogli uomini, n’ebbi che l'idea delle Missioni è la mia vera vocazione. Per la qual cosa ho deciso assolutamente di partire nel prossimo settembre”. Le parole di questa lettera - datata Verona, 13 agosto 1857 - sono indirizzate al suo amico don Pietro Grana, parroco di Limone sul Garda, piccolo comune della regione piemontese dove il 15 marzo 1831 nasceva Daniele Comboni, il fondatore degli istituti dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù e delle Pie Madri della Nigrizia, canonizzato da San Giovanni Paolo II il 5 ottobre del 2003. 

Le lettere di Comboni riescono, prima di tutto, a far comprendere al lettore d’oggi  l’evoluzione della sua missione per l’Africa: vi sono trascritti i dati dei suoi viaggi nel continente africano e vi è registrata tutta la sua forte spinta missionaria;  ma non solo: queste epistole possono rappresentare bene lo scrigno prezioso del suo animo: tra le righe, si sente - forte e ardente - il battito del suo cuore; si ascoltano le idee e i sentimenti che animano Daniele Comboni fin dalla sua prima missione del 1857. 

Ma in tutto questo fuoco missionario, spicca il ricordo - costante e profondamente umano - per i propri genitori lontani. Cogliere questa straordinaria relazione, è essenziale per cogliere l'uomo Comboni, nei suoi sentimenti, nella sua straordinaria forza d'animo e nell'immenso coraggio con cui ha affrontato la dura missione per l’Africa: la mamma morirà qualche mese dopo la sua partenza; il papà invece vivrà più a lungo dello stesso Comboni. In una lettera a loro indirizzata del 30 ottobre 1857, scritta a Siut, città dell'Alto Egitto situata a 379 chilometri dal Cairo, Comboni descrive così la situazione di fronte alla quale si trova al suo arrivo: “Il Cairo, secondo la statistica dell'anno scorso, comprende un milione e più d'anime: ha quattrocento e cinquanta superbe moschee (templi maomettani) con altrettanti elegantissimi minareti (specie di torri) molti dei quali superano in altezza la torre di Verona; e fra queste soltanto sonvi (mi duole il dirlo) circa 4000 cattolici, e tre chiese cristiane, nelle quali fanno le loro funzioni i maroniti, i copti, i greci, gli armeni, sicché in due specialmente di queste nasce una vera Babilonia”.

Colma di vivo affetto, è una lettera per la madre, scritta due mesi dopo. E’ datata 9 dicembre 1857:  “A dirvi il vero, mi parrebbe di commettere un delitto se lasciassi anche una sola occasione di parteciparvi i sinceri ed affettuosi sentimenti del mio cuore. Oh! se sapeste quanto mi siete cara, e quanto apprezzi e stimi la vostra generosa risoluzione! Ogni momento parmi vedervi concentrata nel vostro dolore, ora lieta per una speranza futura, ora in una inesplicabile incertezza, ora tutta assorta nella confidenza in Dio. Il cuore dell'uomo è fatto così, cara mamma. Dio ora non fa che scherzare, perché vi ama”. 

La terribile realtà della schiavitù lo assorbe completamente. Comboni, con estremo coraggio, non solo descrive la situazione, ma denuncia persone e autorità coinvolte in questo raccapricciante mercato;  chiede l'intervento dell’alto clero romano affinché possa essere aiutato nella sua missione. E’ il caso della lettera (del 1873) al Cardinal Alessandro Barnabò, prefetto della Congregazione de Propaganda Fide dal 1856 al 1874: 

“L'unico mezzo per abolire o scemare la tratta dei negri è di favorire ed aiutare efficacemente l'apostolato cattolico di quelle infelici contrade, donde si strappano violentemente a migliaia e migliaia i poveri negri commettendo i più orribili eccessi, ed ove si esercita l'infame traffico. Fra tutti i paesi del mondo è l'Africa Centrale, ove si fa il più fiero scempio di queste infelici creature. E siccome questa orribile piaga dell'umanità interessa altamente il mio Vicariato, io avrò molto da fare ad agire e carteggiare sovra tale argomento”.

I semi di speranza, allo stesso tempo, non mancano. Comboni vive il suo ministero missionario con fiducia e passione, mettendo sempre Dio e la Sua Parola, al centro di tutto. E’ nel Signore l’inizio e il fine della sua opera: “Mio primo pensiero fu quello di mettere in vigore ogni domenica e festa la predicazione evangelica nella Messa parrocchiale; e fra breve stabilirò pure la Dottrina Cristiana”. Queste parole sono state scritte a Khartoum, la capitale del Sudan, dove Comboni giunge dopo quattro mesi dall’inizio della spedizione: è il giugno del 1873. L'impatto con la realtà africana è enorme: si rende conto bene delle difficoltà che la sua nuova missione comporta (fatiche, clima insopportabile, malattie, morte di numerosi e giovani compagni missionari),- ma non dimentica mai la fiducia in Dio, la grande forza che lo spinge ad andare avanti e a non desistere mai dall’opera che ha iniziato con tanto entusiasmo e che continuerà - senza sosta - fino al giorno della sua morte avvenuta in quell’assolato e afoso Sudan, il 10 ottobre 1881, a soli cinquant'anni. Scriverà: “Io muoio, ma la mia opera non morirà”: parole quanto mai profetiche. 

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