Città del Vaticano , 21 November, 2015 / 5:00 PM
Ha dato prova di misericordia e di amore evangelico per il nemico. Ha servito la Chiesa, sia nel suo governo centrale che nelle sue sfaccettature locali, dimostrando che l’amore di Cristo è davvero universale. E soprattutto ha mostrato il suo amore per la giustizia e per la pace, quanto mai fondamentali oggi. Al Cardinal François-Xavier Nguyen Van Thuan manca il riconoscimento di un miracolo perché sia proclamato beato. Dal 2013, la causa di beatificazione – istruita dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace di cui è stato presidente – è nella fase romana. Ma la sua storia racconta già la sua santità. Anche lui è un santo per il Giubileo.
Per conoscere la sua storia, basta leggere una breve, agile biografia, corredata di molte foto, che è come una piccola istantanea di una vita. Il libro è “François-Xavier Nguyen van Thuan. Uomo di speranza, carità e gioia” (Editrice Velar), scritto da Luisa Melo e Waldery Hilgeman, che è il postulatore della causa di beatificazione.
La sua santità viene raccontata in tanti episodi della sua vita. Veniva da una famiglia di martiri, e quando i Viet Cong conquistarono la capitale perse lo zio (che era il presidente del Vietnam) e il cugino. La famiglia del Cardinal Van Thuan era dunque una famiglia di alto livello. E lui stesso parlava correntemente sette lingue, aveva una educazione superiore che aveva affinato a Roma, dove aveva studiato diritto canonico.
Ci sono episodi, nel libro, non molto conosciuti. Come il fatto che il giovane Van Thuan aveva contratto la tubercolosi da giovane, e si prevedeva di asportare quasi completamente il polmone destro. Lui non si perse d’animo, pregò intensamente. Il giorno prima dell’operazione, durante gli ultimi controlli medici pre-operatori, si scoprì che il polmone era completamente risanato: una guarigione inspiegabile, miracolosa.
C’è, nella vita di van Thuan, non solo la tenerezza di una fede profonda, che lo porta a piangere sull’altare nel giorno della prima Messa. C’è la voglia tutta evangelica di donare questa fede agli altri. L’evangelizzazione per attrazione di cui parla Papa Francesco, che prescinde la proclamazione della Parola, e si affida anche al Vangelo vissuto. Era vero negli anni in cui Van Thuan era rettore di seminario, e la sua profondità aveva colpito Paolo VI al punto di farlo arcivescovo-coadiutore di Saigon. E sarà vero ancora di più negli anni della prigionia.
Arrestato nel 1975, spostato in otto prigioni differenti e quasi sempre in isolamento, in ognuna di queste prigioni la carità cristiana, l’amore per Cristo, la semplicità e l’umiltà di Van Thuan conquistano i carcerieri, i primi compagni di prigionia quando ancora non è in isolamento, persino il custode dell’ultima prigione. Van Thuan doveva celebrare messa da solo, eppure qualcuno chiudeva gli occhi, e c’erano persone che si accostavano all’Eucarestia grazie a lui.
Un amore per l’Eucarestia che non ha mai messo da parte. Rilasciato nel 1988, scelse Roma per il suo esilio, dove fu chiamato a servire la Chiesa universale come vicepresidente e poi presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Al braccio diplomatico della Curia vaticana aggiungeva la sua esperienza di cristiano perseguitato figlio di perseguitati, di prigioniero politico, di sacerdote vicino alle persone chiuse in un regime.
Un esempio che oggi risplende ancora più luminoso. Perché il Cardinal Van Thuan non è uno dei tanti santi della carità. È un santo della carità, ma anche della diplomazia. È un santo dell’amore per il prossimo, ma anche dell’amore per la Chiesa, che lui ha sempre servito.
Mentre si sta per aprire il Giubileo della Misericordia, risuonano in tutto il mondo le grida dei cristiani perseguitati e lo stesso mondo occidentale è scosso da una guerra che ormai tocca il suo territorio, i cristiani possono trovare in Van Thuan un conforto ed un esempio. Se Papa Francesco volesse, potrebbe essere davvero lui il Santo di questo Giubileo. Un martire della speranza per il Giubileo della Misericordia.
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