Kiev, 23 June, 2022 / 9:00 AM
Sarà l’inverno più duro, per una Ucraina che ormai è al quarto mese di guerra, che subisce l’aggressione russa e che si trova a fare i conti non solo con le conseguenze a breve termine del conflitto, ma anche con quelle di lungo termine, perché la catastrofe umanitaria è la più grande che si sia mai vista dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il quadro della situazione ucraina descritto dall’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk è desolante e disperato, ma anche pieno di orgoglio per una popolazione che sta lottando per la sua libertà.
Sua Beatitudine è intervenuto il 22 giugno, collegandosi con la Riunione Opere di Aiuto alle Chiese Orientali (ROACO), che ha dedicato alla crisi ucraina un’ampia fetta di discussione. Tutto a porte chiuse, compreso il dibattito, perché la delicatezza delle situazioni che si affrontano (si discute anche di Siria, Medio Oriente) necessita riservatezza, calma e prontezza.
Il testo dell’intervento dell’arcivescovo maggiore Shevchuk è stato comunque diffuso dalla sua segreteria, e diventa a pieno diritto parte del suo lavoro pastorale in tempo di guerra, insieme ai videomessaggi che manda quotidianamente e che sono quasi una piccola enciclica del lavoro della Chiesa Greco Cattolica Ucraina in zona di guerra.
L’arcivescovo maggiore Shevchuk parla di una “guerra totale, una guerra di terra bruciata” messa in atto in Ucraina, portata avanti con una violenza che “ha effetti devastanti sulla popolazione civile e sull’infrastruttura vitale delle nostre città e villaggi”, che ha portato a perdere la metà del suo potenziale economico.
Siamo – ha detto Sua Beatitudine - “solo all’inizio della profonda crisi umanitaria che rischia di degenerare presto in una catastrofe umanitaria. L’inverno che dovremo affrontare, dal punto di vista delle forniture del riscaldamento e dei viveri, sarà il più difficile della storia del nostro Paese. Il freddo e la fame potranno uccidere insieme a missili, razzi e bombe russe”.
Shevchuk sottolinea che anche le organizzazioni umanitarie, che pure hanno esperienza in difficili zone di guerra, si sentono persino scoraggiate “dalle dimensioni e dalla gravità della situazione umanitaria in Ucraina,
perché questa guerra supera ampiamente tutto quello che loro hanno visto prima”.
La Caritas Ucraina e il Centro di emergenza della Curia dell’Arcivescovado Maggiore sono state riorganizzate per rispondere all’emergenza.
Caritas Ucraina ha chiesto a Caritas Internationalis un sostegno di emergenza di un mese, che sarà esteso, e ha distribuito fino ad ora il 20 per cento degli aiuti umanitari arrivati in Ucraina dall’estero.
Il Centro di Emergenza coordina la risposta della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, sia in patria che in diaspora, per creare un sistema logistico di raccolta, arrivo in Ucraina e distribuzione di aiuti umanitari nelle zone più colpite e alle persone più vulnerabili. È un servizio cruciale, perché le persone si avvicinano alle parrocchie, più che alle organizzazioni umanitarie.
Il territorio ucraino è stato così diviso in tre zone.
La prima zona è quella dei combattimenti, dove “vige un regime di legge marziale molto rigido”, come è stato a Kyiv dove “erano state dichiarate intere giornate di coprifuoco con il divieto di uscire di casa, e chiunque camminasse per strada poteva essere eliminato. In queste zone non funzionavano né negozi, né farmacie. Nelle circostanze del genere molte persone vulnerabili, intrappolate nelle loro case senza luce, acqua né riscaldamento, senza cibo né assistenza medica, esposte agli attacchi di razzi, missili e bombe, erano condannate”.
Tutti i sacerdoti – sottolinea con orgoglio Shevchuk - sono rimasti al loro posto, e “grazie alla loro presenza, siamo riusciti ad organizzare, anche nelle zone occupate, i centri di accoglienza, nella maggior parte dei casi abbiamo trovato il modo per far arrivare in quei luoghi gli aiuti umanitari e creare i corridoi verdi per l’evacuazione della popolazione civile.
La seconda zona è quella che confina direttamente con la zona dei combattimenti, che è oggi sia luogo di prima accoglienza dei profughi in fuga da Est verso l’Ovest e dall’altra centri di smistamento degli aiuti umanitari.
La terza zona è invece è il territorio relativamente tranquillo dell’Ucraina occidentale, e che – specialmente nelle zone al confine con l’Unione Europea, sono diventati “spazi dell’assistenza e dell’accoglienza dei profughi”.
I numeri sono drammatici: ci sono 6 milioni di emigrati, specialmente donne e bambini, mentre gli sfollati sono 8 milioni. Il fenomeno – spiega Shevchuk – è comunque “molto complesso e in continua evoluzione”, perché le persone in movimento “appartengono a diversi livelli di estrazione culturale e sociale”, e “la loro identità religiosa è un tema ancora tutto da scoprire”.
“Molti di loro – dice l’arcivescovo maggiore - cercano immediatamente di integrarsi nella società e di trovare un lavoro per provvedere a sé stessi e non dipendere totalmente da aiuti umanitari. Ma molti altri devono essere assistiti ed aiutati per ambientarsi nelle nuove circostanze. È chiaro che queste persone nelle nuove circostanze sono le più vulnerabili, e se la guerra durerà ancora, avremo altre ondate di profughi e numerose persone senza mezzi di sussistenza”.
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