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Un servizio di EWTN News

L'Incontro mondiale delle Famiglie, un evento "diffuso" per arrivare a tutti

Un incontro mondiale con una formula inedita e multicentrica: accanto alla sede principale dell’evento, che rimane Roma, ci sono tante iniziative locali nelle diocesi di tutto il mondo, analoghe a quelle che contemporaneamente si svolgono nella capitale italiana.

Pur rimanendo infatti Roma la sede designata, ogni diocesi è centro di incontri locali per le proprie famiglie e le proprie comunità, come aveva detto tempo fa Papa Francesco: “Nei precedenti Incontri la maggior parte delle famiglie restava a casa e l’Incontro veniva percepito come una realtà distante, al più seguita in televisione, o sconosciuta alla maggior parte delle famiglie. Questa volta, avrà una formula inedita: sarà un’opportunità della Provvidenza per realizzare un evento mondiale capace di coinvolgere tutte le famiglie che vorranno sentirsi parte della comunità ecclesiale”.

A fra Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della Cei, chiediamo di raccontarci come si sono preparate le diocesi in vista dell’imminente incontro mondiale della famiglia: “Com’è ormai noto, l’Incontro Mondiale delle Famiglie del 22-26 giugno, avrà una forma multicentrica e diffusa. Questo significa che solo una piccola rappresentanza di famiglie (circa 2500/3000 persone) si ritroverà Roma, mentre tutte le diocesi e i territori, si sono attivati per organizzare cammini ed eventi.

In generale molte diocesi hanno intrapreso dei cammini di avvicinamento e preparazione che rispecchiassero e rispettassero le loro esigenze e i temi affrontati nell’anno. Alcune diocesi invece, hanno preferito mettere assieme le forze e organizzare un evento comune (a volte a livello di regione ecclesiastica, penso ad esempio all’Umbria o alla Campania). Prezioso per tutti è stato il materiale fornito dal Dicastero e dal vicariato di Roma (le catechesi e lo schema presente nel kit pastorale) sono state occasioni per raccogliere le famiglie e condividere con loro esperienze e vita. 

Un altro strumento utilizzato dalle diocesi è quello del pellegrinaggio. In molte si sono messi per strada per prepararsi ad un incontro fecondo. Da una ventina di diocesi è stata recepita la proposta offerta dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale Familiare dal RNS e dal Forum delle Associazioni Familiari del pellegrinaggio con le famiglie che solitamente veniva fatto agli inizi di settembre.

Da ultimo, ma non per ultimo, molte piazze si riempiranno in occasione di momenti di festa e di celebrazione. Le famiglie si stringeranno attorno ai loro pastori nel fine settimana del 25 e 26 giugno per ricevere infine il mandato per una nuova evangelizzazione”.

L’incontro mondiale delle famiglie è diffuso: in quale modo la Chiesa si apre alla prossimità?

“La famiglia, piccola chiesa domestica, è il primo presidio di prossimità per le marginalità e per il dialogo con la ‘laicità’ o per dirla con un termine antico con la ‘secolarità’. La famiglia è per natura sua già Chiesa in uscita, abita già quel mondo che non è più cristiano, ma che non è insensibile alla bellezza e all’amore. La famiglia però ha bisogno di essere aiutata a prendere consapevolezza di cosa rappresenta e di cosa custodisce”. 

Come mettere al centro la famiglia sul piano pastorale e sociale?

“A mio avviso non si tratta di mettere al centro la famiglia, ma di riscoprire che l’unica forma di pastorale efficace per il prossimo futuro è quella di una pastorale integrata. Questo tempo la Chiesa sta scoprendo come la sinodalità sia la forma che le appartiene maggiormente e in quest’ottica la struttura che funziona meglio non è quella piramidale (in generale abbandonata da tempo) e nemmeno quella circolare (che pone tutti indistintamente sullo stesso piano, in un’uguaglianza che non valorizza le diversità) ma quella della rete. 

La rete non ha un centro, ma ha dei nodi. Luoghi dove s’incrociano e s’intrecciano diversi fili, da cui poi ripartono. Penso che la strategia per il futuro sia proprio questa. Costruire e consolidare reti relazionali. Per far questo dobbiamo dotarci di luoghi ecclesiali dove crescere nell’ascolto e nella capacità di prendere decisioni, che realizzino la comunione, in altre parole dovremmo dotarci di strumenti per la coprogettazione. Per poter passare dalla collaborazione alla corresponsabilità”.

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